La postura è definita come la disposizione delle varie parti del corpo all’interno di uno spazio.
La postura è una caratteristica individuale che varia per ogni persona. Essa ha dei tratti comuni a tutti gli esseri umani ma è influenzata da aspetti personali, situazioni di dolore o semplicemente abitudini errate.
Una postura errata provoca una non perfetta efficienza biomeccanica del corpo, con conseguenti patologie dolorose.

Che cos’è la RPG: Rieducazione Posturale Globale

La RPG è un metodo riabilitativo che si basa sul concetto della bipolarità muscolare, ovvero considera le differenze tra le funzioni muscolari statiche e dinamiche. Queste differenze possono essere di tipo anatomico, metabolico o funzionale.

Questo metodo fisioterapico è stato sviluppato da Philippe Souchard nel 1981. Ad oggi è però estremamente attuale in quanto considera il corpo nella sua globalità, con un approccio olistico che non si limita alla sola parte dolente ma mira a ristabilire un equilibrio nel paziente.

All’interno di Vitalia, i terapisti utilizzano con successo questa tecnica con moltissimi pazienti, aiutandoli sia in caso di patologie dolorose sia nella performance sportiva.

 

Seduta di RPG a distanza con un atleta della nazionale giovanile di arrampicata sportiva

Secondo i principi della RPG, la funzione muscolare statica è la principale responsabile degli atteggiamenti posturali errati, causa e/o conseguenza di disfunzioni meccaniche dolorose.
La RPG utilizza alcune posture attive che vanno a reclutare diverse catene muscolari di tutto il corpo. La muscolatura viene attivata con delle contrazioni isometriche (che mantengono invariata la lunghezza del muscolo) ed eccentriche a lunghezza muscolare crescente (che offrono una resistenza muscolare a delle forze esterne). In questo modo, il terapista vuole ottenere una riduzione del meccanismo patologico muscolare che causa nel paziente retrazione tendinea e ipertono, con conseguente dolore ed errata postura.

Gli obiettivi della RPG

La Rieducazione Posturale Globale ha come obiettivo la riprogrammazione e la riarmonizzazione della postura della persona, contenendo la rigidità ed i dolori dell’apparato muscolo-scheletrico.
Essa permette di prendere coscienza di ciò che il corpo è in grado di comunicare riguardo le forme e le condizioni di muscoli ed articolazioni, individuando le tensioni muscolari che alterano la normale simmetria corporea.
Il trattamento posturale si pone obiettivi a medio-lungo termine. Non sempre occorre correggere immediatamente una postura squilibrata.
Ad esempio, talvolta una postura squilibrata è il risultato di una posizione antalgica, ovvero la ricerca inconscia del fisico di una posizione che lenisca un dolore localizzato in un segmento corporeo. Correggere la postura nella fase in cui il paziente è dolorante, non farebbe altro che accentuare tale discomfort ed incrementare lo squilibrio posturale. Occorre quindi, in una prima fase, assecondare lo squilibrio posturale per poi poter intervenire su di esso quando il dolore sarà regredito. In questa seconda fase, infatti, il paziente comincerà a recuperare autonomamente una postura corretta, ed il compito del fisioterapista sarà quello di intervenire per accompagnare e facilitare questa normalizzazione.

Come si svolge una seduta di RPG

Le sedute sono individuali e prevedono:
• un lavoro attivo da parte del paziente per mantenere la posizione di allungamento impostata dal terapista,
• l’intervento manuale del terapista per correggere tutti i compensi che la messa in tensione globale rileverà.

La messa in tensione globale (la postura finale che si vuole ottenere) non può essere ottenuta subito ad inizio seduta.
In una prima fase, il fisioterapista deve “accettare” le tensioni del paziente, il cui corpo si rivelerà reticente nel mettere in pratica le richieste del professionista. Nella fase finale della seduta le parti si invertiranno ed il paziente sarà in grado di accettare ciò che viene richiesto dal fisioterapista per raggiungere la postura richiesta con meno compensi possibili.
Nonostante l’allungamento muscolare possa dare spesso delle sensazioni sgradevoli, esso è necessario per raggiungere lo scopo della seduta.
È fondamentale che il fisioterapista ed il paziente dialoghino. Il paziente deve comunicare le sensazioni che prova, guidando così le scelte consapevoli del terapista. Egli potrà quindi propendere per una sospensione momentanea della progressione della postura, correggendo le tensioni muscolari per poi procedere nuovamente con la fase di allungamento.
Occorre fare molta attenzione alla comparsa di compensi durante gli allungamenti in globalità. Spesso, il paziente cerca di “scappare” da una postura che gli viene richiesta: compito del terapista è quello di eliminare i compensi, riportando il paziente nella postura corretta per continuare la seduta. Il terapista utilizza la sua manualità per sentire dove intervenire in modo preciso, fare la correzione che ritiene opportuna ed ottenere sul corpo del paziente tale correzione.
A seconda della catena neuromuscolare su cui si vuole intervenire si deciderà la postura più adeguata per il trattamento.

Le posture si dividono in quattro famiglie:
• apertura coxo-femorale, braccia addotte
• apertura coxo-femorale, braccia abdotte
• chiusura coxo-femorale, braccia addotte
• chiusura coxo-femorale, braccia abdotte

Ricordiamo che l’articolazione coxo-femorale corrisponde all’articolazione dell’anca.

 

P. Souchard
Rieducazione posturale globale RPG – Il metodo;
ELSEVIER

All’interno della stesso gruppo di posture, il fisioterapista sceglie, a seconda dell’obiettivo terapeutico, se utilizzare una postura in scarico (con il paziente sdraiato supino) oppure in carico (con il paziente seduto od in piedi).
Le postura in decubito dorsale (supine) sono utilizzate maggiormente per pazienti in età avanzata oppure che presentano una prevalenza di dolore. Le posture in carico sono invece più attive ed impegnative e richiedono un ottimo controllo motorio da parte del paziente stesso.
Normalmente, durante una stessa seduta si utilizzano due posture, intervallate da una piccola pausa.

La frequenza consigliata è:
• in caso di problematiche dolorose: bisettimanale, per poi passare a settimanale con il progressivo miglioramento della sintomatologia
• in caso di dismorfismi: settimanale

L’importanza del tempo

Come già detto, la RPG richiede tempo: il tempo è il mezzo, non il fine di questa tecnica.
Esso è fondamentale perché tutte le parti che compongono la catena muscolare trattata durante la seduta possano essere messe progressivamente in tensione.
L’allungamento muscolare è legato al concetto di fluage, ovvero l’allungamento definitivo che è proporzionale al tempo di trazione. Questo vuol dire che più a lungo verrà mantenuto l’allungamento, migliore sarà il risultato di allungamento sulla catena muscolare, riducendo così la tensione.

Si capisce quindi perché la RPG richieda lentezza, delicatezza e gradualità.

 

Bibliografia

P. Souchard Rieducazione posturale globale RPG – Il metodo; ELSEVIER

P. Souchard Basi del metodo di rieducazione posturale Globale. Il campo chiuso. Ed. Marrapese

Lawand P, Lombardi Júnior I, Jones A, Sardim C, Ribeiro LH, Natour J.
Effect of a muscle stretching program using the global postural reeducation method for patients with chronic low back pain: A randomized controlled trial.
Joint Bone Spine. 2015 Jul;82(4):272-7. doi: 10.1016/j.jbspin.2015.01.015. Epub 2015 Apr 13.

Oliveri M, Caltagirone C, Loriga R, Pompa MN, Versace V, Souchard P.
Fast increase of motor cortical inhibition following postural changes in healthy subjects.
Neurosci Lett. 2012 Nov 14;530(1):7-11. doi: 10.1016/j.neulet.2012.09.031. Epub 2012 Sep 28.

Paolucci T, Attanasi C, Cecchini W, Marazzi A, Capobianco SV, Santilli V.
Chronic low back pain and postural rehabilitation exercise: a literature review.
J Pain Res. 2018 Dec 20;12:95-107. doi: 10.2147/JPR.S171729. eCollection 2019. Review

 

 

C’è un lavoro silenzioso dietro i concerti esplosivi di Jovanotti. C’è, anche se non si vede. Al massimo si intuisce: dalle foto di Lorenzo su Instagram, da qualche video su Youtube. Il motore che lo fa scatenare sui palchi di mezza Italia ha un meccanico, anzi due: il fisioterapista Fabrizio Borra e il preparatore atletico Luca Borra, suo figlio. Fabrizio è uno storico amico di Vitalia, ha curato il top dello sport e degli spettacoli: da Alonso a Pantani, fino a Fiorello. Lo avevamo intervistato qui, stavolta siamo andati a trovarlo dietro le quinte delle tappe torinesi di “Lorenzo nei Palazzi”.

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Fabrizio, non parli mai con i giornalisti, per il blog di “Vitalia” fai eccezione?
Beh, è quasi un dovere, per seguire Jova il confronto con “il Doc” è molto utile.

Cioè?
Premessa: Lorenzo vive a New York, allenarlo a distanza non è proprio facile.

Come ci riuscite?
Abbiamo adottato la stessa tecnologia che usa Vitalia e che sfrutta un’app: “Omega Wave”. Funziona così: ogni mattina l’atleta indossa una fascia toracica, che grazie a un sensore ne valuta i parametri. Il sistema permette di capire se si è affaticati o se il lavoro del giorno prima è stato smaltito. È tutto informatizzato: ricevo i dati di Jova in Italia e definiamo il programma della giornata. Lo usiamo ogni giorno anche durante questo tour.

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Fabrizio Borra e il lettino torinese di Jova

Non sei solo un riabilitatore quindi.
Sono al suo fianco da vent’anni e mi occupo dei vari aspetti importanti per la sua condizione fisica: dalla schiena alla prevenzione di raffreddore e influenza, che sembrano un problema banale ma possono far saltare una tappa. Ovviamente il segreto è collaborare con tanti professionisti: dall’esperto della voce al medico dello sport. Chiedo spesso consigli a Massimo.

Jovanotti è un atleta?
Assolutamente sì. Metodico, preciso, determinato come i migliori che ho conosciuto. La stessa testa. E poi il movimento è una componente fondamentale della sua arte, lo usa per coinvolgere il pubblico. I suoi spettacoli sono una festa, la gente esce esausta: anche chi va per ascoltare finisce per ballare con lui. È il suo modo di fare musica.

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Quando parte non si ferma più.
Sono 2 ore e mezza di sforzo intenso: avanti e indietro su un palco di 100 metri quadri. Ha un po’ di recupero con i pezzi più lenti e i cambi costume. In quei momenti cerco di dargli qualche integratore.

A che tipo di gara si può paragonare una serata di Jova?
Più che la singola serata, il problema è il tour. Lorenzo ha 49 anni e nei palazzetti, ad esempio, farà 35 date in 50 giorni. Sono ritmi da Giro d’Italia o Tour de France. Nei giorni di “riposo” si viaggia, non c’è tregua.

Per voi cosa significa?
Lo gestiamo esattamente come si fa con i ciclisti: lo prepariamo bene prima dell’inizio e lo aiutiamo a recuperare durante la corsa.

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In camerino lo schema con gli esercizi di Jova. Ricordano i nostri!

Cosa prevede la preparazione?
Quando è in Toscana, a Cortona, tanta bicicletta, il suo sport preferito. A NY sarebbe impossibile e si esercita in palestra. Tutti i giorni un paio d’ore, su tre fronti: spinning, pilates e allenamento funzionale. Lo spinning serve per la capacità aerobica; il pilates, all’americana, cioè più dinamico del nostro, stimola la flessibilità. Il resto è per la forza. In pratica sviluppiamo tutte le abilità di base.

Ce n’è una su cui puntate?
Sì, dobbiamo esaltare la stabilità dinamica lombo-pelvica, la core stability, per intenderci. Questo perchè Lorenzo è alto e gran parte dei suoi movimenti sono saltelli, che sollecitano la zona lombare. Ha avuto parecchi problemi di schiena in passato. Nel suo programma di esercizi ci basiamo sul metodo del Technogym Ability Training messo a punto con Massimo e con “Cuzzo” (ndr Francesco Cuzzolin, intervista qui).

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Ti ha conosciuto per il mal di schiena?
No, vivevamo entrambi a Forlì e lui frequentava la mia palestra. Poi mi chiese una mano per il tour di quell’anno. Era il ’97 e già aveva capito l’importanza di curare la parte atletica. Un precursore…

E l’alimentazione?
È vegetariano: ma con pesce e uova reintegra le proteine. Dedica molte attenzione anche al cibo.

Torniamo alla ginnastica. Fa riscaldamento prima del concerto?
Una volta sì, ma abbiamo un po’ cambiato, non era tanto efficace. Adesso facciamo la “riattivazione” alle 18,30, cioè due ore e mezza prima della musica.

In cosa consiste?
È un circuito funzionale a basso impatto, con allungamento dinamico. Dura 35/40 minuti, lo prepara mio figlio Luca. Stiamo avendo ottimi risultati, Jova si sente meglio sul palco.

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E dopo lo spettacolo?
Il problema è recuperare velocemente. Quando finisce lo mandiamo nella vasca con il ghiaccio, una tecnica usata ormai in tutti gli sport. Così smorziamo le infiammazioni. Poi intervengo io, con la terapia manuale. Finisco all’una di notte.

È dura anche per te!
Impegnativo, come tutti i lavori. Anzi no: per me stare accanto a Lorenzo non è più un lavoro. Ormai c’è un rapporto di fratellanza.

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Eva, massiofisioterapista, è una “colonna” di Vitalia. E’ la prima storica collaboratrice del Doc. Ha visto crescere Vitalia e ogni giorno non vede l’ora di ricominciare. 

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Estate 2006. Vitalia era appena nata e…
Me ne parlò un amico che conosceva Massimo. Io volevo cambiare, dopo tanti anni nelle aziende cercavo nuovi stimoli. Mi innamorai del progetto, mi piaceva l’idea di unire l’esercizio terapia alla rieducazione funzionale, all’allenamento personalizzato. E poi riconobbi in lui i miei valori: trasparenza, correttezza, passione. Il gusto per le cose fatte bene, la cura del lavoro e dei materiali; il desiderio di migliorarsi sempre.

Che cosa facevi prima?
Arrivo dal fitness. Dopo il diploma alla Royal Academy of London ho collaborato con Rebook e Why Be Normal?, occupandomi principalmente di formazione. Ho studiato bioenergetica e quindi massofisioterapia.

Cosa c’è nel tuo curriculum sportivo?
Un po’ di danza, e poi salto in lungo e 100 m. Atletica e ginnastica sono i miei grandi amori…

Qualche nome?
Nadia Comaneci, che era una bambina quando guardavo le sue prime gare, e “Il Signore degli Anelli” (Yuri Chechi, ndr). Poi Carl Lewis e Serhij Bubka, due fenomeni assoluti.

Ti piacerebbe allenare un campionissimo?
Serve una vivacità che non mi sento più. Ma chiacchierarci insieme sì, e sentire raccontare la fatica. Lo sport a quei livelli è sempre sacrificio.

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In palestra lasci gli atleti a Claudia…
Sì, di solito seguo altri pazienti. Lei è perfetta nel ruolo: è brillante e preparata, davvero in gamba per quanto è giovane! Ha pazienza ed energia, è responsabile e seria: è un piacere collaborare con lei.

Non vi assomigliate per niente.
Infatti ci completiamo bene. Che poi è il segreto di Vitalia: ci sono competenze e profili diversi e si lavora tutti in un’unica direzione. C’è rispetto delle conoscenze degli altri e dialogo costante, così si affrontano i problemi a 360°. Con la porta sempre aperta, perchè Massimo dallo studio possa supportarci in palestra e viceversa.

La cosa più bella del tuo mestiere?
Tutto! Quando sono entrata qui ho finalmente capito che cosa volevo fare da bambina: questo. Ogni mattina mi sveglio contenta di ricominciare. Adoro stare con le persone, morirei in mezzo alle macchine. Poi mi piace la varietà: i massaggi, le ginnastiche, le sedute a casa dei pazienti che non possono venire da noi. E i corsi di yoga e pilates, quando finisco in via Della Rocca.

Prossime sfide?
Continuiamo ad aggiornarci, a leggere e confrontarci con i colleghi in giro per il mondo. Massimo ha tantissimi contatti internazionali, una straordinaria opportunità per Vitalia: dopo dieci anni continuiamo a crescere, sperimentare, metterci in gioco.

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“Solo feedback positivi”. Atlete e pazienti se lo sentono ripetere continuamente. Paolo è un martello: “Tutto quello che ci diciamo di negativo resta e diventa quello che siamo. I dubbi si trasformano in paure. Sbagliato, bisogna sempre pensare positivo”. Non è filosofia, ma tecnica vera e propria: come quella per sciogliere una contrattura.

Paolo Goria ha ventisei anni, è un fisioterapista e da qualche mese collabora con Vitalia (con il collega Fabio). Lo trovate in via Della Rocca oppure al Cus di via Panetti: Paolo è uomo di sport a 360°, giocatore, allenatore, massaggiatore. Siede sulla panchina di una delle coppie più forti del beach-volley azzurro (Giulia Aprile – Elisa Fragonas) e di un gruppo, quello cussino, che rappresenta un’eccellenza nel panorama italiano. Nel tempo libero è un “pro” a sua volta, con ottimi piazzamenti nei più prestigiosi tornei nazionali. In pratica è sempre in giro per le spiagge del Mediterraneo. “Viaggiare è la cosa più bella di questo sport. Ti tiene vivo”.

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Com’è la tua giornata tipo?

Al mattino presto sono in campo con le ragazze. Finisco e corro dai miei pazienti. Nel tardo pomeriggio e alla sera ho i corsi di base del Cus. Insegniamo la pallavolo a tutti, dai 10 ai 50 anni. Nei ritagli mi alleno, un paio di volte alla settimana con la palla, altrettante a secco, con i pesi. Nel week-end ci sono i tornei: cioè tanti chilometri e partite in luoghi meravigliosi.

Poi il lunedì si ricomincia con i massaggi. Da quanto sei fisioterapista?

Ho iniziato subito dopo la laurea, a 22 anni, come libero professionista. Ho studiato a Novara e ho una formazione neurologica, ma seguo da sempre le mie giocatrici e ho approfondito anche il filone sportivo.

Cos’hanno in comune un paziente neurologico e un atleta?

Entrambi patiscono per il loro problema fisico, soffrono, ci stanno proprio male. Attenzione: per gli sportivi spesso si tratta di dettagli, cose di per sé piccole. È importante ricordarselo: ci sono invalidità ben più pesanti. Chi ha avuto un ictus deve reimparare cose fondamentali come vestirsi da solo… la riabilitazione richiede un cammino sul piano fisico e psicologico.

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La paura di non farcela, però, è la stessa.

Infatti è fondamentale stabilire un buon contatto con il malato. Convincerlo a fidarsi e credere in se stesso, per ritrovare forza e sicurezza. E poi cerco sempre di esortare al movimento, anche se bisogna stringere i denti e sopportare qualche fastidio. In particolare con gli agonisti: il dolore fa parte della normalità. Ma solo chi ha una mentalità positiva ne esce bene.

Vale anche per i campioni?

Certo, almeno negli sport di situazione, come il calcio, il basket, la pallavolo. Il campione non è quello che ha dei picchi di prestazione, ma quello che rende anche se non è al top. L’ho capito allenando: spesso la partita ti chiede un gesto atletico che non sai o non puoi fare perché hai male. Pazienza. Il campione non si fa condizionare, trova soluzioni. Crea le forze per aggirare e superare gli ostacoli.

Altre caratteristiche?

Cura di sé e capacità di autogestirsi, sotto il piano alimentare, sportivo e umano. Sì i valori contano e non tutti i professionisti li hanno, i campioni sì. I miei preferiti? Roger Federer, nel tennis, Stefano Mancinelli nel basket. L’ho conosciuto alla PMS, con cui ho collaborato: un signore.

Sei un po’ uno psicologo?

Mi interessa molto l’aspetto mentale. Allenare le donne mi ha aiutato a capire quanto la testa influenzi i muscoli. Per approfondire sto studiando anche un po’ di programmazione neurolinguistica.

Il tuo motto?

“Tutto perfetto”. Lo dico alle mie giocatrici… proprio quando non è tutto perfetto, ma il risultato c’è. Il risultato è quello che conta.

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Sei mesi di corse, un doc e quattro runners. Ieri si è concluso il progetto 4 girls for marathon.

4girls

L’allenamento delle ragazze è iniziato con i test estivi (qui il racconto)

E’ finita l’avventura con le 4 girls. Un’avventura iniziata a giugno con l’obiettivo di portare quattro donne “normali” a correre al loro meglio la maratona di Firenze. Un percorso cominciato con i primi test di soglia all’inizio dell’estate, la costruzione di un piano e la ricerca di fornitori tecnici che ci aiutassero: Asics, Garmin, Enervit.

Allenamento dopo allenamento, ritmi, programmi, chilometri, infortuni, caldo, pioggia. Ogni settimana siamo partiti dall’analisi dei dati sul sito Garmin (ecco come funziona) e sulla costruzione della nuova tabella settimanale.

A settembre le distanze si sono allungate. Poi ad ottobre, alla mezza della Corsa da Re, il personal best per Carlotta, Sara ed Elena ed il primo incidente: la rinuncia di Vale che avendo passato tutta l’estate sui libri, non è riuscita a fare il miracolo. Si va avanti, le tre rimaste continuano a correre bene, il mese passa macinando km.

Arriva novembre, la stanchezza accumulata inizia a farsi sentire. Piccoli segnali da non trascurare: un tallone dolorante, un polpaccio contratto. C’è chi minimizza e chi enfatizza, difficile essere obiettivi. Forza, manca poco, tra una settimana inizia lo scarico. Tra un alleggerimento degli allenamenti e una seduta di fisioterapia, il tutto condito con ghiaccio, è già la vigilia.

Atletica: Firenze Marathon, pettorina anche a ministro Lupi

Alla Firenze Marathon hanno dominato i kenyoti

Tensione e pochi messaggi.
Si parte, si spera.
Si arriva. E’ andata bene, poteva andare benissimo.
Grazie girls, mi avete fatto lavorare, ma ci siamo divertiti.

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Nome: Fabio
Team Vitalia dal: 2011
Formazione: Laurea in Fisioterapia, sta conseguendo laurea magistrale in Scienze della Riabilitazione

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Di che cosa ti occupi?

Ho fatto corsi di RPG, Kinesio Taping, tecniche osteopatiche ed altri ancora e mi interesso di problematiche posturali ma soprattutto di pazienti ortopedici. Seguo giovani sportivi che hanno appena subito un intervento chirurgico. Curo la fase acuta post operazione, per permettere loro di tornare alla vita normale.

I tuoi pazienti hanno il morale a terra…

Già. Per questo durante il trattamento riabilitativo cerco di instaurare un rapporto molto umano: andare al di là della riabilitazione aiuta moltissimo il paziente sotto il profilo psicologico.

Anche tu sei uno sportivo?

Sì. Gioco a calcetto con gli amici e vado a correre.

Come lavora il Team Vitalia?

C’è una collaborazione molto stretta tra di noi. In modo particolare io mi confronto tantissimo con il Dott. Massarini perché seguo la parte acuta post intervento. In questa fase – ma non solo – il rapporto con le figure mediche (ad esempio l’ortopedico che ha operato un nostro paziente) è costante e giornaliero. Lo scambio di informazioni tra me, Claudia o Eva, il dott. Massarini e il chirurgo è molto importante per il paziente: non viene mai abbandonato e cerchiamo di gestirlo nella sua globalità. Quando ho finito la mia parte tocca a Claudia ed Eva iniziare l’attività di recupero in palestra.

Perché hai scelto questa “squadra”?

Mi sono piaciute le persone che ne facevano (e ne fanno) parte. Sono contentissimo di lavorare qui: mi trovo bene.

 

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Nome: Claudia
Team Vitalia dal: 2007
Formazione: Laurea in Scienze Motorie, Master in Traumatologia e Riabilitazione Sportiva

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Dal mare della Sardegna alla nebbia del Piemonte. Che cosa ti ha portata qui?

Dopo la laurea sono venuta a Torino per il Master. Ero preoccupata: il mio percorso sembrava chiudermi tutte le strade. Rimanevano solo la palestra e la scuola che sono ambiti un po’ limitati rispetto all’iter degli studi. Non mi vedevo in un ambiente chiuso, al lavoro su sport individuali (ho giocato a lungo a pallavolo). Poi il mio interesse è variato più verso la riabilitazione sportiva.

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E hai conosciuto Massimo.

Cercava laureati in Scienze motorie e mi ha convinta subito: credeva nella mia formazione. Prima di cominciare con Vitalia sono tornata nella mia Sardegna per un’esperienza al Forte Village. Dopo l’estate ho iniziato qui in via della Rocca.

Sotto le ali di Eva…

Mi ha aiutata tanto. Mi ha insegnato soprattutto a rapportarmi con le persone: prima di definire un programma bisogna ascoltarle, prima dell’esercizio capirle. Solo così si ottengono risultati. La cosa più difficile è proprio creare empatia con il paziente: lui deve avere fiducia in me perché sto lavorando con la sua salute!

Come fai con gli sportivi infortunati?

 Il primo step è rincuorarlo: nella vita di uno sportivo l’infortunio va accettato, è inevitabile! Insomma affronto la situazione innanzitutto dal punto di vista psicologico: spesso la persona è demoralizzata e non vede l’ora di recuperare. Ha interrotto i suoi sogni, non solo la sua attività: per questo si lamenta (in più c’è il dolore fisico) e si innervosisce. Serve tanta pazienza, ma è il bello del mio lavoro: ho avuto un sacco di soddisfazioni. Quando un paziente mi dice “sono tornato a sciare” è una vittoria!

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Nella tua carriera di pallavolista hai avuto qualche stop?

Uno solo per fortuna. Mi sono dovuta fermare per una brutta distorsione alla caviglia con rottura del legamento. Mi ha segnata molto perché è successo in un anno decisivo: stavo giocando bene e in una categoria importante.

Ti alleni ancora?

Ho smesso per ragioni logistiche. Poi mi sono dedicata al beach volley indoor, adesso al tennis.

Com’è cambiata Vitalia in questi anni?

Quando sono arrivata era appena nata e Massimo stesso voleva sviluppare la sua idea. La mia passione per la traumatologia e riabilitazione ha fatto sì che diventassimo questo: un centro dove si guarda l’individuo a 360 gradi. Oggi non ci occupiamo solo di anziani e ginnastica posturale, ma anche di sportivi, diabetici, pazienti con disturbi alimentari: proviamo a far vivere meglio qualsiasi persona.

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Nello sport più arrivi in alto più e più è difficile gestire le situazioni. I grandi atleti chiedono la massima professionalità e discrezione, collaborano con poche persone e di fiducia. Si deve saper dire la parola giusta e non dire quella sbagliata; esserci quando serve e diventare invisibili quando è ora. È l’errore di molti colleghi, pur bravi: durano poco perchè non sanno dominare l’aspetto emotivo e parlano a sproposito”.

Devi saper riconoscere le occasioni: “devi”, non puoi sbagliare. Il tempo, il luogo, quel tempo, quel luogo…“in certi ambienti” si annusano. “Bisogna avere la capacità di starci, in certi ambienti”.

Fabrizio Borra

Fabrizio Borra è uno dei fisioterapisti più stimati in Italia, da venticinque anni: “arrivare in alto è dura, ma io sono stato fortunato e ho fatto in fretta. Il problema è rimanerci: basta un errorino per precipitare. Ci si deve aggiornare continuamente”. Fabrizio è un osservatore, uno che guarda da tutta la vita: suo fratello maggiore già fisioterapista, poi gli americani innovatori, i cestisti di Forlì, i ciclisti in salita, le Ferrari in giro per il mondo. Quello che impara sperimenta, su muscoli d’oro: quelli del cecchino Bob McAdoo, di Pantani, Cipollini, Basso, Fernando Alonso, Fiorello, Jovanotti. Dal 1988 studia i campionissimi:

Gli atleti devono esasperare il loro corpo, farlo rendere al 110%. Devono andare al limite di loro stessi: è un obbligo. È lì che li accompagno.

Fabrizio, “Fisiology” è un centro frequentato da persone normali e olimpionici. Come conciliate esperienze così lontane?

Abbiamo un presupposto tecnico preciso: il metodo per trattare il mio vicino di casa e l’atleta professionista è lo stesso. Cambia il dosaggio. La persona normale parte da un basso grado di disabilità, dovuto ad una patologia, e deve recuperare la capacità di svolgere le sue attività quotidiane; l’atleta vuole guarire e migliorare la sua performance. Il razionale è uno solo: sono diversi gli obiettivi. Per portare in alto l’atleta devo trovare soluzioni innovative: se l’esperimento funziona ho una nuova tecnica con cui aiutare gli altri pazienti. In questo modo sono sempre stimolato a fare ricerca e offro trattamenti d’avanguardia.

Concretamente, di che cosa ti occupi?

Sono un fisioterapista, non un preparatore, non un medico. Nel mio centro ci sono questi profili, ma ognuno fa la sua parte: io curo la salute a livello fisioterapico. A seconda delle circostanze devo declinare il mio ruolo, ma la premessa è comune: un atleta è come una macchina da corsa (una persona comune è un’auto stradale) e gli aspetti strutturale, scheletrico, muscolare, tendineo costituiscono la meccanica della macchina; la prestazione è il motore; la testa è la centralina, su cui posso agire in due modi: neuromuscolare e psicomotivo. Posso seguire la macchina a 360°, com’era con Pantani ed ora è per Alonso; oppure valutare solo la carrozzeria e il bilanciamento: per i ciclisti, ad esempio, mi limito alla biomeccanica posturofunzionale. Poi tocca al preparatore atletico agire sulla performance.

La tua giornata tipo?

La mia base è “Fisiology” a Forlì e viaggio per alcuni pazienti. Pantani e Alonso mi chiedevano un impegno di 250 giorni l’anno: un ritmo troppo intenso, per me, oggi! Proprio per questo ci dividiamo i compiti con suo cognato Edoardo Bendinelli.

Fabrizio con Alonso

Segui Alonso da dodici anni. Com’è cresciuto?

Aveva diciott’anni quando ci siamo conosciuti: era un ragazzino. Ha capito che il rapporto poteva svolgersi non solo sul piano fisioterapico ma anche su quello umano. Abbiamo creato un’équipe di specialisti con cui interagire a seconda delle necessità: gli atleti come lui preferiscono relazionarsi con un unico riferimento. Il legame si è stretto e alla stima si è aggiunta l’amicizia.

Come si allena un pilota di Formula 1?

Ha due esigenze: innanzitutto deve avere tutte le capacità di base portate verso l’alto, come la forza e la capacità cardiovascolare. È facile con Fernando: gli piacciono tutti gli sport e non sta mai fermo. Ma un atleta come lui ha sempre bisogno dello stimolo della competizione: con gli altri o con se stesso, dev’esserci la componente agonistica. Gioca a calcio, nuota, corre e va tanto in bici (15mila km all’anno): gli è molto utile il ciclismo perché impara a gestirsi (deve tornare a casa: anche dopo 130 km!) e le strutture sono in scarico. La seconda caratteristica da affinare è la capacità di controllo neuromuscolare per combattere la forza centrifuga. Le monoposto sono pezzi di carbonio lanciati sull’asfalto: le sollecitazioni sulla colonna sono spaventose e bisogna investire molte energie sulla funzionalità globale e sull’addestramento delle abilità.

E le sollecitazioni al collo sono ancora un problema?

Le macchine sono cambiate rispetto a cinque anni fa, quando faticavano soprattutto le braccia e il collo. Oggi è cambiata l’aderenza e grazie all’idroguida il volante si governa con un dito. I nuovi mezzi richiedono una straordinaria lucidità mentale: bisogna memorizzare gli schemi e abbassare i tempi di reazione. Non c’è tempo per pensare in Formula 1, quando lo fai è già tardi. Le manovre vanno sottocorticalizzate, cioè l’impulso deve essere immagazzinato nella parte più profonda del cervello perchè diventi un automatismo: l’unico sistema è ripetere i gesti sui simulatori.

Anche il ciclismo ti ha dato soddisfazioni.

Sono stati da me molti dei migliori degli ultimi anni: Cipollini, Basso, Bettini, Cancellara, Bennati… Ma l’esperienza più forte della mia vita ha un nome ed un cognome: Marco Pantani.

Marco Pantani

18 ottobre 1995, Milano-Torino: frattura di tibia e perone frammentaria esposta.

Fu la mia più grande scuola. Lo rieducai grazie a quanto appreso in America e ad un delicato lavoro multidisciplinare: coordinai una squadra di esperti per rimetterlo in sella. Tornammo in alto, all’apice del successo: vinse il Giro e il Tour, ci sembrò di sfiorare la punta del cielo. Poi il crollo: aveva toccato il fondo. Non ci fu modo di aiutarlo, la crisi lo portò all’autodistruzione. In dieci anni accompagnare il tuo atleta dal cielo al cimitero: sono cose che ti porterai dentro.  È stata una lezione durissima.

Le tue mani hanno massaggiato i più forti. Che cosa c’è nel corpo di un campione?

Un fisico allenato dall’infanzia e poi testa e talento. Un buon atleta ha un buon talento e una buona testa. Un campione ha un grande talento e una grandissima testa.

Che cosa pensi dei mental coach?

Secondo me un vero campione non ne ha bisogno: non può essere dipendente – a livello mentale – di un altro.  È giusto che i giovani siano aiutati a crescere in fretta anche nella psicologia e nell’emotività, ma ad un certo punto bisogna saper fare da sé: il campione ce l’ha dentro, il mental coach. Non ha bisogno di sostituirlo ogni due anni… In alcuni momenti specifici può farsi aiutare, ma dev’essere padrone di se stesso: sarà la sua determinazione a fare la differenza.

I tuoi “numeri uno” non sono solo atleti, ma anche uomini dello spettacolo. Perché vengono da te?

Ho cominciato con Jovanotti nel ’97, mi chiese qualche dritta per preparare la sua tournée. I suoi concerti sono molto fisici, si muove come un matto, le date sono vicine e non ha un attimo di tregua: doveva imparare a recuperare in fretta. La collaborazione continua ancora oggi. Fu un amico comune a presentarmi Fiorello, che non riusciva a superare un dolore alla spalla. Anche con lui la relazione si è consolidata: su Twitter mi aveva definito come il suo “ansiolitico”.

Jovanotti scatenato sul palco

Come sei arrivato fin qui?

Ho iniziato per colpa del mio ginocchio: ero stato operato ma non riuscivo a riprendermi. Mio fratello aveva una palestra a Brescia (la mia città) e andavo da lui per la rieducazione: volevo capire perché il ginocchio non funzionasse. Dovevo ancora finire le superiori. Mi appassionai e decisi di iscrivermi al corso di massiofisioterapia. Mio fratello mi permise di fare pratica mentre studiavo e questo mi diede una marcia in più.

Mister Maifredi ti volle subito al suo fianco.

Dopo poco. La mia fortuna fu che a quel tempo il Brescia aveva due squadre (calcio e basket) nelle massime serie. Ebbi da subito contatti con i rispettivi massaggiatori e imparai tantissimo. Poi Maifredi mi prese “in custodia” per alcune fortunate avventure: tra queste le stagioni con Ospitaletto (C2) e Bologna (B). Anche un amico che correva in macchina, Alex Caffi, mi volle con sé quando approdò in Formula 1. Intanto continuavo con la pratica da mio fratello ed era nato mio figlio: mia moglie mi voleva a casa, viaggiavo tropp

Il segreto era cambiare casa!

Mi chiamarono a Forlì, nel 1990. Era arrivato dall’America il giocatore più forte del momento, veniva a chiudere la carriera da noi e voleva un terapista: era Bob McAdoo, stella dei Lakers, che avrebbe dato una svolta alla mia formazione. Mi diceva: “Tu sei un buon trainer – l’equivalente della mia figura in NBA- ma devi andare in America!”.

Sei salito su un aereo?

Non me lo potevo permettere! A fine anno mi regalò lui i biglietti per Los Angeles, e una spinta per un tirocinio con i Lakers. Con il suo nome si aprirono le porte, ma c’era spazio solo per un apprendista-tuttofare: ci andai d’estate, per la Summer League. Al mattino stavo in clinica, il resto della giornata con la squadra. Portavo le borracce, gli asciugamani, pulivo i parquet. Tornai per diverse estati, nel frattempo era nata un’amicizia straordinaria con Gary Vitti, il trainer dei Lakers (ormai, dopo vent’anni, è diventato il mio “fratello” americano) ed era lui ad ospitarmi.

Gary Vitti con Bryant

Gli americani erano più bravi?

Nella traumatologia erano e sono tra i migliori al mondo. Allora poi i loro libri non si trovavano in Italia e venivano tradotti dopo tre o quattro anni, quando loro avevano già inventato nuove tecniche. L’unico modo per essere aggiornati, prima di Internet, era andarci.

In quello spogliatoio c’era gente tipo Magic Johnson…

Era il posto più bello del mondo per uno del mio mestiere. Pur di rimanerci ero disposto a tutto. Non mi sono mai pesati i lavori umili, non mi sono mai vergognato. Oggi i neolaureati sono tutti dottori, nessuno ha voglia di sporcarsi le mani: ma la gavetta è un passaggio fondamentale!

A che punto è la fisioterapia in Italia?

All’estero ci sono una cultura e un know how che noi ci sogniamo: qui siamo fermi ai protocolli. Ai convegni io spiego il razionale, non l’esercizio: invece i rieducatori italiani vogliono gli esercizi. Ecco il nostro limite: l’esercizio si misura sul paziente, non esistono protocolli. Nella mia ottica il paziente ha un percorso soggettivo: rispetto i tempi che mi dà il chirurgo e divido il percorso in fasi, come delle tappe. Passo alla successiva solo quando si è raggiunto il traguardo della precedente. Controllo le risposte del paziente e formulo gli esercizi ad hoc: devo capire ogni giorno di che cosa ha bisogno. Oggi pochi hanno voglia di pensare…

Anche tu fai parte del Team Technogym Ability Training, insieme al dott. Massarini. Dove volete arrivare?

Siamo un gruppo di professionisti che si sono tolti le loro soddisfazioni e ora vogliono provare a cambiare le cose, con una rivoluzione culturale: noi crediamo il movimento sia costituito dalle abilità di base, quindi ogni allenamento deve essere strutturato per migliorarle. Dopo un infortunio è necessario recuperarle tutte. Anche Massarini ne è convinto – del resto collaboriamo da una vita – e il metodo Vitalia è lo stesso che uso io. La mia rieducazione è più esercizio che lettino (per il 90% dei colleghi essa è esclusivamente lettino): l’esercizio è la soluzione alla maggior parte dei problemi!

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L’esercizio-terapia non può aspettare: è una medicina che va presa tutti i giorni. Iniziate subito! E se vi va passate a trovarci: apriamo alle 7.30 e chiudiamo verso le 19.00. Siamo in Via della Rocca 22 a Torino.

Il nostro centro è dotato di  tecnologia d’avanguardia. Negli ambulatori svolgiamo test e valutazioni funzionali dell’apparato cardiovascolare e muscolare, oltre a tutti gli altri test medici di routine (spirometria, test urine, glicemia, pressione arteriosa). In base ai risultati ed ad un colloquio individuale sulle preferenze ed aspettative, viene elaborato un programma di allenamento finalizzato al miglioramento generale della funzionalità ed a un abbassamento di eventuali fattori di rischio (soprappeso, ipertensione). I programmi possono essere svolti nell’area dedicata all’esercizio della nostra struttura, un’ampia palestra attrezzata con le più moderne apparecchiature per sedute di esercizio terapia, rieducazione funzionale e ginnastiche mediche, presso altre sedi o all’aria aperta.

Che servizi offriamo?

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I test medici costituiscono il primo passo per acquisire i dati necessari alla programmazione del piano di esercizio fisico.

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