Rieducazione Posturale Globale: come migliorare la postura ci aiuta a vivere meglio

La postura è definita come la disposizione delle varie parti del corpo all’interno di uno spazio.
La postura è una caratteristica individuale che varia per ogni persona. Essa ha dei tratti comuni a tutti gli esseri umani ma è influenzata da aspetti personali, situazioni di dolore o semplicemente abitudini errate.
Una postura errata provoca una non perfetta efficienza biomeccanica del corpo, con conseguenti patologie dolorose.

Che cos’è la RPG: Rieducazione Posturale Globale

La RPG è un metodo riabilitativo che si basa sul concetto della bipolarità muscolare, ovvero considera le differenze tra le funzioni muscolari statiche e dinamiche. Queste differenze possono essere di tipo anatomico, metabolico o funzionale.

Questo metodo fisioterapico è stato sviluppato da Philippe Souchard nel 1981. Ad oggi è però estremamente attuale in quanto considera il corpo nella sua globalità, con un approccio olistico che non si limita alla sola parte dolente ma mira a ristabilire un equilibrio nel paziente.

All’interno di Vitalia, i terapisti utilizzano con successo questa tecnica con moltissimi pazienti, aiutandoli sia in caso di patologie dolorose sia nella performance sportiva.

 

Seduta di RPG a distanza con un atleta della nazionale giovanile di arrampicata sportiva

Secondo i principi della RPG, la funzione muscolare statica è la principale responsabile degli atteggiamenti posturali errati, causa e/o conseguenza di disfunzioni meccaniche dolorose.
La RPG utilizza alcune posture attive che vanno a reclutare diverse catene muscolari di tutto il corpo. La muscolatura viene attivata con delle contrazioni isometriche (che mantengono invariata la lunghezza del muscolo) ed eccentriche a lunghezza muscolare crescente (che offrono una resistenza muscolare a delle forze esterne). In questo modo, il terapista vuole ottenere una riduzione del meccanismo patologico muscolare che causa nel paziente retrazione tendinea e ipertono, con conseguente dolore ed errata postura.

Gli obiettivi della RPG

La Rieducazione Posturale Globale ha come obiettivo la riprogrammazione e la riarmonizzazione della postura della persona, contenendo la rigidità ed i dolori dell’apparato muscolo-scheletrico.
Essa permette di prendere coscienza di ciò che il corpo è in grado di comunicare riguardo le forme e le condizioni di muscoli ed articolazioni, individuando le tensioni muscolari che alterano la normale simmetria corporea.
Il trattamento posturale si pone obiettivi a medio-lungo termine. Non sempre occorre correggere immediatamente una postura squilibrata.
Ad esempio, talvolta una postura squilibrata è il risultato di una posizione antalgica, ovvero la ricerca inconscia del fisico di una posizione che lenisca un dolore localizzato in un segmento corporeo. Correggere la postura nella fase in cui il paziente è dolorante, non farebbe altro che accentuare tale discomfort ed incrementare lo squilibrio posturale. Occorre quindi, in una prima fase, assecondare lo squilibrio posturale per poi poter intervenire su di esso quando il dolore sarà regredito. In questa seconda fase, infatti, il paziente comincerà a recuperare autonomamente una postura corretta, ed il compito del fisioterapista sarà quello di intervenire per accompagnare e facilitare questa normalizzazione.

Come si svolge una seduta di RPG

Le sedute sono individuali e prevedono:
• un lavoro attivo da parte del paziente per mantenere la posizione di allungamento impostata dal terapista,
• l’intervento manuale del terapista per correggere tutti i compensi che la messa in tensione globale rileverà.

La messa in tensione globale (la postura finale che si vuole ottenere) non può essere ottenuta subito ad inizio seduta.
In una prima fase, il fisioterapista deve “accettare” le tensioni del paziente, il cui corpo si rivelerà reticente nel mettere in pratica le richieste del professionista. Nella fase finale della seduta le parti si invertiranno ed il paziente sarà in grado di accettare ciò che viene richiesto dal fisioterapista per raggiungere la postura richiesta con meno compensi possibili.
Nonostante l’allungamento muscolare possa dare spesso delle sensazioni sgradevoli, esso è necessario per raggiungere lo scopo della seduta.
È fondamentale che il fisioterapista ed il paziente dialoghino. Il paziente deve comunicare le sensazioni che prova, guidando così le scelte consapevoli del terapista. Egli potrà quindi propendere per una sospensione momentanea della progressione della postura, correggendo le tensioni muscolari per poi procedere nuovamente con la fase di allungamento.
Occorre fare molta attenzione alla comparsa di compensi durante gli allungamenti in globalità. Spesso, il paziente cerca di “scappare” da una postura che gli viene richiesta: compito del terapista è quello di eliminare i compensi, riportando il paziente nella postura corretta per continuare la seduta. Il terapista utilizza la sua manualità per sentire dove intervenire in modo preciso, fare la correzione che ritiene opportuna ed ottenere sul corpo del paziente tale correzione.
A seconda della catena neuromuscolare su cui si vuole intervenire si deciderà la postura più adeguata per il trattamento.

Le posture si dividono in quattro famiglie:
• apertura coxo-femorale, braccia addotte
• apertura coxo-femorale, braccia abdotte
• chiusura coxo-femorale, braccia addotte
• chiusura coxo-femorale, braccia abdotte

Ricordiamo che l’articolazione coxo-femorale corrisponde all’articolazione dell’anca.

 

P. Souchard
Rieducazione posturale globale RPG – Il metodo;
ELSEVIER

All’interno della stesso gruppo di posture, il fisioterapista sceglie, a seconda dell’obiettivo terapeutico, se utilizzare una postura in scarico (con il paziente sdraiato supino) oppure in carico (con il paziente seduto od in piedi).
Le postura in decubito dorsale (supine) sono utilizzate maggiormente per pazienti in età avanzata oppure che presentano una prevalenza di dolore. Le posture in carico sono invece più attive ed impegnative e richiedono un ottimo controllo motorio da parte del paziente stesso.
Normalmente, durante una stessa seduta si utilizzano due posture, intervallate da una piccola pausa.

La frequenza consigliata è:
• in caso di problematiche dolorose: bisettimanale, per poi passare a settimanale con il progressivo miglioramento della sintomatologia
• in caso di dismorfismi: settimanale

L’importanza del tempo

Come già detto, la RPG richiede tempo: il tempo è il mezzo, non il fine di questa tecnica.
Esso è fondamentale perché tutte le parti che compongono la catena muscolare trattata durante la seduta possano essere messe progressivamente in tensione.
L’allungamento muscolare è legato al concetto di fluage, ovvero l’allungamento definitivo che è proporzionale al tempo di trazione. Questo vuol dire che più a lungo verrà mantenuto l’allungamento, migliore sarà il risultato di allungamento sulla catena muscolare, riducendo così la tensione.

Si capisce quindi perché la RPG richieda lentezza, delicatezza e gradualità.

 

Bibliografia

P. Souchard Rieducazione posturale globale RPG – Il metodo; ELSEVIER

P. Souchard Basi del metodo di rieducazione posturale Globale. Il campo chiuso. Ed. Marrapese

Lawand P, Lombardi Júnior I, Jones A, Sardim C, Ribeiro LH, Natour J.
Effect of a muscle stretching program using the global postural reeducation method for patients with chronic low back pain: A randomized controlled trial.
Joint Bone Spine. 2015 Jul;82(4):272-7. doi: 10.1016/j.jbspin.2015.01.015. Epub 2015 Apr 13.

Oliveri M, Caltagirone C, Loriga R, Pompa MN, Versace V, Souchard P.
Fast increase of motor cortical inhibition following postural changes in healthy subjects.
Neurosci Lett. 2012 Nov 14;530(1):7-11. doi: 10.1016/j.neulet.2012.09.031. Epub 2012 Sep 28.

Paolucci T, Attanasi C, Cecchini W, Marazzi A, Capobianco SV, Santilli V.
Chronic low back pain and postural rehabilitation exercise: a literature review.
J Pain Res. 2018 Dec 20;12:95-107. doi: 10.2147/JPR.S171729. eCollection 2019. Review

 

 

Cosa fare quando lo stress è alto: piccole strategie per resistere alla clausura

L’attuale situazione caratterizzata dall’emergenza Covid19 è causa di forte stress per tutti noi: incertezza sul futuro, mancanza di contatti sociali, alterazioni delle abitudini quotidiane e vita sedentaria concorrono a creare una serie di fattori negativi che possono incidere sulla salute mettendo il sistema nervoso sotto attacco.

Per meglio comprendere come lo stress può trasformarsi in vere e proprie patologie è bene iniziare a capire cosa regola gli organi e gli apparati del corpo umano.

La nostra “centralina elettronica”

Così come in un’auto moderna, anche il corpo umano è governato da una “centralina elettronica”. Nel nostro caso si tratta del sistema neurovegetativo (SNA) che riceve informazioni e che, dopo averle elaborate, invia segnali ai vari organi e apparati. Molti fattori possono agire alterandone l’equilibrio: stress acuto e cronico, alterazione dei ritmi del sonno, sedentarietà o eccesso di esercizio, alterazioni dell’alimentazione, alcool, fumo, per citarne alcuni. (1)

Il SNA è costituito da 2 strutture, il simpatico ed il vago, che interagiscono continuamente nell’arco della giornata e delle circostanze per far sì che l’organismo si adatti alle molteplici situazioni che si trova a dover fronteggiare.

Ad esempio, se ci si trova a dover fare uno sforzo improvviso, come salire una rampa di scale velocemente, il simpatico manderà stimoli al cuore, ai polmoni e al sistema endocrino per mettere il corpo in condizione di portare sangue, ossigeno e nutrienti ai muscoli che permetteranno di eseguire il gesto; se invece abbiamo consumato il pasto serale, il vago invierà stimoli all’apparato gastro intestinale per facilitare la digestione ed abbasserà il livello di attenzione per favorire il riposo notturno.

In sintesi possiamo semplificare dicendo che il simpatico è l’acceleratore ed il vago è il freno del nostro organismo.

In una situazione di benessere e di allenamento i due sistemi interagiscono in maniera ottimale e ci permettono di adattarci velocemente alle diverse situazioni.

Quando, però, un fattore stressante, come quelli sopra citati va a inserirsi per un tempo più o meno prolungato si genera un disequilibrio nel SNA.

Se lo stressor si protrae nel tempo, l’alterazione a livello del SNA finisce con il modificare l’attività di apparati come ad esempio quello endocrino, quello cardiocircolatorio.

Le malattie generate dallo stress

Se, come abbiamo detto, il SNA controlla tutte le funzioni del corpo, è facile comprendere come una sua alterazione, se protratta nel tempo, possa comportare alterazioni del sistema endocrino, del sistema cardiocircolatorio, di quello digerente e del sistema immunitario.

I danni più frequentemente riscontrabili sono alterazioni della pressione arteriosa, tachicardia, respirazione superficiale, accumulo di grasso corporeo, perdita di massa muscolare e diminuzione della densità ossea.

Come proteggersi

Per evitare che ciò succeda dobbiamo mettere in atto alcune strategie.

In primis, bisogna mantenere dei ritmi di vita regolari, andando a dormire e svegliandosi alla stessa ora e senza fare le ore piccole, soprattutto evitando di passare le ultime ore della giornata davanti a forti fonti luminose come gli schermi degli smart phones. Meglio leggere qualche pagina di un buon libro. Il rispetto di queste regole permette di mantenere il ritmo circadiano a cui è collegato il sistema endocrino.

Il secondo consiglio è di dedicare 5 minuti, 3 volte al giorno, ad esercizi di respirazione con il ritmo di 5 secondi in inspirazione, 2 secondi di trattenuta e 5 secondi di espirazione. Questo ritmo respiratorio permette di migliorare l’ossigenazione dell’organismo e di stimolare il SNA.

 

 

Svolgere quotidianamente dai 15 ai 30 min di esercizio, preferibilmente appena svegli o prima di pranzo, con la modalità dell’interval training, alternando quindi 15-30 secondi di lavoro molto intenso a 15-30 di recupero ad intensità blanda. Variazioni rapide allenano il fisico a cambiare velocemente dallo stato di riposo a quello di impegno elevato e quindi predispongono il SNA a inviare con prontezza i segnali alla periferia.

 

Questi consigli, semplici da attuare ci aiuteranno a superare indenni la situazione attuale e a vivere meglio.

1-Chrousos, G. Stress and disorders of the stress system. Nat Rev Endocrinol 5, 374–381 (2009). https://doi.org/10.1038/nrendo.2009.106

ALIMENTAZIONE AI TEMPI DI COVID: QUALCHE CONSIGLIO PER ORIENTARSI IN QUARANTENA

La maggior parte di noi in questo momento così particolare si starà interrogando sul se e sul come impostare il proprio regime alimentare…
A giudicare dalle immagini postate sui social e dai rumors , probabile che ai più sia venuta voglia di gettare la spugna e utilizzare il cibo, tanto e troppo, nella sua veste consolatoria.
Ma è davvero la scelta più opportuna?
Prima di rispondere, ritengo opportuno ricordare a tutti il concetto di infiammazione cronica sistemica di basso grado.
Detta anche l’assassino nascosto (o la madre di tutte le malattie) è una condizione patologica diffusa ed in continuo aumento nei paesi industrializzati, correlata allo stile di vita (pattern dietetico, sedentarietà, alterazione dei ritmi circadiani) e all’inquinamento ambientale. Promuove numerose patologie tra le quali obesità, diabete tipo 2, aterosclerosi, neoplasie maligne e malattie neurodegenerative.
I fattori più importanti collegati con la sua insorgenza / progressione sono:
1) l’eccessiva assunzione calorica, l’acidosi metabolica latente, l’eccessiva produzione di insulina, la disbiosi intestinale e la carenza di fibre, lo squilibrio omega 3 / omega 6, tra le cause dietetiche;
2) la ridotta / assente attività fisica;
3) lo stress e l’alterazione dei ritmi biologici.

Proprio in questo periodo questi fattori si combinano pericolosamente, sommando i loro effetti negativi; questo ci dovrebbe imporre una riflessione su come scegliere al meglio gli alimenti da includere nella nostra dieta e la loro preparazione.
Di seguito qualche consiglio utile iniziando dai carboidrati.
Sono il nostro tallone d’Achille, in questo momento più che mai; che si ami il dolce o il salato loro ne fanno sempre parte sotto forma di zuccheri o farine bianche per i dolci e di farine raffinate o cereali perlati per primi, pizze, pane e focacce. Bisognerebbe dunque ridurne l’indice e il carico glicemico limitandone le quantità e utilizzando al posto dello zucchero il miele, lo sciroppo d’agave o il succo d’acero; al posto delle farine raffinate quelle integrali macinate a pietra, così come i cerali integrali o quelli decorticati.
Per la verdura e la frutta mai come in questo momento sono utili; sono fonte di vitamine e minerali, rinforzano le difese immunitarie proteggendo le vie respiratorie, consentono un’ottima idratazione (contendo in media oltre il 90% di acqua), sono ricche di fibre che aiutano il microbiota intestinale a mantenere il suo equilibrio e infine col loro volume aiutano a raggiungere più rapidamente il senso di sazietà. La verdura può essere assunta cruda a pranzo e cotta a cena; la frutta lontano dai pasti in quantità di uno/due pezzi al giorno.

Da non trascurare il ruolo dei grassi: utilizzate l’olio extravergine di oliva (meglio a crudo) e l’avocado ricchi di grassi mono-insaturi ma ricordate anche gli acidi grassi omega tre che sono presenti nel pesce (soprattutto quello azzurro) e in alcuni semi oleaginosi (semi di lino) e nella frutta secca (in particolare le noci).

Per le proteine infine 0.8/1 grammi pro/kilo è la quantità giornaliera raccomandabile; in assenza di controindicazioni particolari è importante che siano presenti in tutti i pasti (suddivise in circa ¼ a colazione, ¼ a pranzo e ½ a cena); assunte all’inizio dello stesso aumentano il senso di sazietà e riducono l’indice glicemico del pasto nel suo insieme. Indicato alternare in ogni pasto quelle animali (carne, pesce, uova latte/formaggi) con quelle vegetali (legumi come ceci, lenticchie, fagioli, piselli e soia).

Questo momento difficile ci sta offrendo la possibilità di dedicare più tempo, cura ed attenzione alla preparazione dei nostri pasti: proviamo ad utilizzarlo al meglio per preparare ricette gustose e salutari; saranno utili per fisico e mente, nostro e dei nostri cari!

Dott. Ettore Pelosi

Medico Nutrizionista

App per allenamento? La tecnologia insieme al tuo coach

Può un app per allenamento aiutarti a guarire? La risposta è sì e ora vi illustriamo come.
È esperienza comune, oltre che comprovato da ricerche mediche, che sia meglio fare delle brevi sessioni di esercizio per interrompere periodi prolungati di immobilità anziché concentrare il movimento in poche e  lunghe sessioni di attività motoria dopo aver trascorso lunghe ore di inattività.

Questo è vero, soprattutto, se parliamo di soggetti in fase di riabilitazione o sedentari che, a causa del decondizionamento fisico, non riescono a sostenere allenamenti prolungati mentre, al contrario, beneficerebbero di brevi sessioni di esercizio distribuite lungo la giornata e durante la settimana. Ma come riusciamo a conciliare questa esigenza con le tradizionali metodologie di lavoro in ambito motorio e riabilitativo?

La tecnologia può venirci in aiuto!app per allenamento prescribe

Premesso che è sempre consigliato effettuare almeno un periodo di esercizio guidato e supervisionato da personale specializzato, utile soprattutto nella fase di apprendimento della corretta tecnica di svolgimento degli esercizi, l’utilizzo di software informatici appositamente progettati per la prescrizione di movimento risulta molto utile ed efficace nel rispondere all’esigenza di aumentare la frequenza delle sessioni di attività motoria svolte in autonomia.

Infatti, grazie all’utilizzo di un’applicazione per smartphone dalla semplice interfaccia, l’utente può visualizzare il programma di esercizi assegnato dal terapista/trainer e svolgere la sessioni ovunque si trovi ed in qualunque momento della giornata, oltre che tenere traccia di tutti gli allenamenti effettuati sia indoor che outdoor. Inoltre, grazie alla possibilità per l’operatore di inserire descrizione, immagini e video per ciascun esercizio, oltre ovviamente alla sua “posologia” (serie, ripetizioni, tempi di recupero), l’utente è costantemente guidato nello svolgimento della sua seduta personalizzata di attività motoria)

app per allenamento a corpo libero

Quali sono i benefici nell’uso di un app per allenamento?

Questo sistema altamente tecnologico presenta dunque numerosi benefici sia per gli operatori, che riescono a creare programmi altamente individualizzati per ciascuno, che per gli utilizzatori che:

Ipertensione arteriosa ed esercizio fisico

Ipertensione arteriosa che cos’è?

L’ipertensione arteriosa è uno tra i più comuni fattori di rischio ed è associata con un aumento del rischio di mortalità per tutte le cause e, in modo particolare, per cause cardiovascolari. Si parla di pressione normale-alta quando i valori di pressione arteriosa sistolica (massima) risultano compresi tra 130-139 mmHg e/o quelli di pressione arteriosa diastolica (minima) sono compresi tra 85-89 mmHg; si definisce ipertensione arteriosa, invece, un quadro pressorio con valori di pressione sistolica ≥ 140 mmHg e/o pressione diastolica ≥90 mmHg.

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Le modifiche dello stile di vita (alimentazione, attività fisica, stress, ecc) risultano delle strategie molto utili sia nella prevenzione che nel trattamento dell’ipertensione arteriosa e l’esercizio fisico, in particolare, assume un ruolo di primaria importanza. È dimostrato, infatti, che una sola sessione di esercizio fisico aerobico è in grado di ridurre di circa 5-7 mmHg i valori pressori di un soggetto iperteso. Inoltre, l’effetto ipotensivo può mantenersi fino a 22 ore successivamente alla sessione di esercizio fisico aerobico.

Gli studi in letteratura hanno analizzato dei programmi che prevedevano un allenamento aerobico (camminata, jogging, corsa e bicicletta), per una media di 40 minuti a sessione, 3 volte a settimana ad un’intensità pari al 65% della frequenza cardiaca di riserva (HRR). Considerando tutte le categorie, gli esercizi aerobici hanno determinato riduzioni medie della pressione a riposo, tra i 2 ed i 5 mm Hg (dal 2% al 4%) per la sistolica e tra i 2 e i 3 mm Hg (dal 2% al 3%) per la diastolica. Nonostante l’apporto alla riduzione della pressione indotta dall’esercizio aerobico possa sembrare modesto, è stato stimato che una riduzione della pressione sistolica a riposo di 2 mm Hg determina una riduzione della mortalità per eventi cardiovascolari e per tutte le cause rispettivamente del 6 e 10%.

Ipertensione arteriosa e attività fisica

Le raccomandazioni dell’American College of Sport Medicine sulla prescrizione di esercizio fisico per soggetti ipertesi sono le seguenti:

 

L’esercizio fisico, dunque, rimane una pietra miliare nella prevenzione, nel trattamento e nella gestione dell’ipertensione arteriosa insieme alle altre strategie di carattere alimentare e farmacologico.

 

Fonte bibliografica:

Pescatello, L. S., Franklin, B. A., Fagard, R., Farquhar, W. B., Kelley, G. A., & Ray, C. A. (2004). Exercise and hypertension. Medicine & Science in Sports & Exercise, 36(3), 533-553.

sovraccarico funzionale, come gestirlo!

Sempre più spesso i Runner si trovano a doversi confrontare con infortuni/fastidi/dolori, legati al sovraccarico funzionale. Infatti, seppur la corsa sia un gesto motorio naturale, gli impatti ripetuti con il terreno possono comportare grandi carichi da dover “gestire” e distribuire a livello muscolo-scheletrico.

Che cos’è il sovraccarico funzionale?

L’insieme degli impatti con il terreno, se non adeguatamente distribuiti ed assorbiti, tende a favorire ciò che viene chiamato “sovraccarico funzionale”. Nella sostanza, la struttura muscolo-scheletrica e le sue componenti fasciali tendono a perdere la loro abilità di gestire e reagire agli stimoli esterni comportando degli scompensi posturali che spesso sono causa di infortuni, infiammazioni ecc.

mattia al lavoro durante un massaggio per ridurre il sovraccarico funzionale

Una struttura in sovraccarico funzionale andrà rapidamente incontro a condizioni disfunzionali. E infatti la percentuale di Runner che subiscono infortuni da “stress ripetuti” è elevatissima. In uno studio del 2007 (van Gent, et al.) si parla di percentuali che variano dal 20% all’80%.

Nel Running i 7 infortuni principali sono:

  1. sindrome femoro-rotulea
  2. tendinite dell’achilleo
  3. contratture e lesione al bicipite femorale
  4. fascite plantare
  5. periostite
  6. sindrome della bandelletta ileo-tibiale
  7. fratture da stress (spesso a livello dei metatarsi).

Chi è passato da una o più di queste problematiche sa che il percorso di recupero è spesso lungo e frustrante. Per questo sempre più spesso si pone l’accento, soprattutto nel Running, sull’importanza della prevenzione.

In questo senso, i consigli classici riportano l’importanza di un buon riscaldamento, l’utilità dello stretching, la necessità di un programma di allenamento adeguato e supervisionato da un esperto, una dieta corretta ed una attrezzatura (le scarpe nello specifico) adatte alle proprie caratteristiche.

In associazione a queste strategie, del tutto corrette ed importanti, è molto utile svolgere una analisi della propria postura e individuare le strutture e/o i distretti corporei che si trovano in una condizione di tensione eccessiva o restrizione di mobilità. In questo senso, il trattamento osteopatico svolge un ruolo chiave.

L’osteopatia utilizza tecniche manipolative che agiscono su diverse strutture dell’organismo, quali le articolazioni, i muscoli, le fasce, i visceri, basandosi sul principio cardine che il movimento è vita. Pertanto, per l’osteopata, è necessario individuare le aree dell’organismo che presentano una restrizione di mobilità (es. ridotto movimento di due capi articolari) e, tramite una indagine manuale e tecniche manipolative, riportare un corretto movimento all’interno della struttura individuata in restrizione per innescare i processi di autoguarigione di cui è naturalmente dotato l’organismo.

Ritornando ai 7 infortuni “classici” del Runner, l’osteopata tramite la sua valutazione può individuare precocemente le strutture che stanno andando incontro ad un processo disfunzionale, ripristinando il corretto movimento e la corretta postura, eliminando il sovraccarico funzionale e allontanano il rischio di infortuni.

Come l’osteopatia risolve le problematiche legate al sovraccarico funzionale?

Uno degli aspetti chiave dell’osteopatia è che si basa su un approccio sistemico. In sostanza, per l’osteopata non è detto che un dolore, per esempio, alla spalla, derivi necessariamente da un problema intrinseco alla spalla, ma la causa del dolore potrebbe essere da ricercare in strutture limitrofe, come il collo o il gomito; o anche in strutture più “distanti” come il fegato, l’osso sacro o la caviglia. Questo approccio nasce dalla considerazione che tutte le strutture del corpo sono, in maniera più o meno diretta, in relazione tra loro e che quindi ci possa essere una fitta rete di influenze che comporta situazioni “tensionali”, con riduzione della mobilità anche a distanza.

Facendo un esempio pratico, capita sovente di dover trattare il bacino e la colonna lombare per evitare o limitare gli effetti di un dolore al tendine d’Achille, questo perché un bacino ruotato (ad esempio per vizi posturali) comporta una dismetria degli arti, con successivo sovraccarico su un arto inferiore. Tale sovraccarico in molti casi si riverbera sulla catena cinetica posteriore che può comportare una tendinite all’achilleo.

In altre occasioni invece, l’osteopata tratta l’articolazione tibio-tarsica (caviglia) per problematiche legate ai muscoli flessori di coscia (bicipite femorale in primis). Questo perché una mobilità alterata a livello della caviglia può produrre una tensione fasciale sulla muscolatura della gamba (spesso i muscoli peronieri), comportando una disfunzione alla testa del perone e di conseguenza una maggiore tensione sul bicipite femorale.

Questi due esempi mettono in luce come un sovraccarico funzionale in una determinata regione, possa scatenare meccanismi disfunzionali che portano ad una sintomatologia in un’area differente del corpo. Se si agisse per via sintomatologica, trattando la regione dolente, non si risolverebbe la causa (il sovraccarico funzionale) e quindi il sintomo tornerebbe a farsi sentire nel giro di poco tempo.

Pertanto, per tornare ad essere quella “macchina da corsa” che siamo stati, è necessario fare in modo che il nostro organismo sia in grado di gestire i traumi ripetuti che la corsa comporta. In questo modo si potrà godere di tutti i benefici del Running allontanando il rischio di infortuni.

Infiammazione Cronica Sistemica di Basso grado: la dieta per prevenirla

Che cos’è l’infiammazione cronica sistemica di basso grado

L’ infiammazione Cronica Sistemica di Basso Grado è una condizione patologica diffusa ed in continuo aumento, legata a nuovi stili di vita e a inquinamento ambientale. Si tratta di un processo infiammatorio sistemico fortemente correlato con

  1. tipo di alimentazione (l’eccessiva assunzione calorica, l’acidosi metabolica latente, l’eccessiva produzione di insulina, la disbiosi intestinale e la carenza di fibre, lo squilibrio omega 3 / omega 6),
  2. scarsa / assente attività fisica,
  3. stress e alterazione dei ritmi biologici.

L’infiammazione cronica sistemica di basso grado si manifesta con una costellazione di segni e sintomi aspecifici (sovente interpretati come “fisiologiche” manifestazioni dell’invecchiamento) che includono astenia, sonnolenza diurna, insonnia notturna, irritabilità, difficoltà di concentrazione, ecc. ecc.

Nel tempo, la sua mancata correzione, promuove numerose patologie comprese obesità, diabete tipo 2, neoplasie maligne e malattie neurodegenerative (in particolare la malattia di Alzheimer, Sclerosi Multipla e Morbo di Parkinson). Coinvolge infatti il connettivo e le cellule di tutti i tessuti e organi del nostro corpo: dal sistema nervoso alla cute, dal sistema respiratorio a quello immunitario.

Come contrastare l’infiammazione Cronica Sistemica di Basso grado

Alimenti Infiammazione Cronica Sistemica di Basso grado

Alimenti per prevenire l’infiammazione Cronica Sistemica di Basso grado

Per contrastare efficacemente l’infiammazione cronica sistemica di basso grado, ed eliminare disturbi presenti da mesi o anni, basterebbe applicare alcuni accorgimenti al nostro stile di vita. I principali consistono nel cambiamento del pattern dietetico con la scelta di una dieta anti-infiammatoria che prevede la presenza di un’alta percentuale di cibi alcalinizzanti (a scapito di quelli acidificanti), l’aumento delle fibre e degli acidi omega 3, la riduzione degli zuccheri semplici, dei grassi saturi e del sale, ma anche una riduzione complessiva dell’apporto calorico, lo svolgimento costante di una moderata attività fisica di tipo aerobico ed una miglior gestione dello stress.

In sostanza basterebbe consumare in abbondanza verdure, ortaggi e frutta (verdure e ortaggi in tutti i pasti, la frutta meglio negli spuntini, scegliendo prodotti di stagione, locali e se possibile biologici) carboidrati complessi (soprattutto a colazione e a pranzo e sotto forma di cereali integrali, alternando tra quelli con e senza glutine (riso, mais, grano saraceno, quinoa, amaranto e miglio con frumento, farro, orzo, segale, avena e kamut)), limitare le proteine animali (carne, pesce, uova, latte/formaggi) alternandole con quelle vegetali dei legumi (ceci, lenticchie, fagioli, piselli e soia) oppure della frutta secca (noci, mandorle, nocciole, anacardi, pinoli, pistacchi, ..), limitare i grassi utilizzando principalmente gli oli (in particolare l’olio di oliva extra-vergine e/o l’olio di lino spremuto a freddo).

 

 

Riferimenti e Bibligrafia per approfondire

 

  1. Remer T. Manz F. Potential renal acid load of foods and its influenceon urine pH. J Am Diet Assoc. 1995; 95(7): 791-7.
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  5. Pelosi E. Gli acidi grassi omega-3: nutrigenomica, non semplice supplemento. La Med. Biol.; 2010/3; 17-24.
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  7. Pelosi E. La dieta vegana. Vantaggi per la salute e raccomandazioni pratiche. Prima Parte. La Med. Biol., 2012/2; 39-46.
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  10. Valter D. Longo, Adam Antebi, Andrzej Bartke, Nir Barzilai, Holly M. Brown-Borg, Calogero Caruso, Tyler J. Curiel, Rafael de Cabo, Claudio Franceschi, David Gems, Donald K. Ingram, Thomas E. Johnson, Brian K. Kennedy, Cynthia Kenyon, Samuel Klein, John J. Kopchick, Guenter Lepperdinger, Frank Madeo, Mario G. Mirisola, James R. Mitchell, Giuseppe Passarino, Karl L. Rudolph, John M. Sedivy, Gerald S. Shadel, David A. Sinclair, Stephen R. Spindler, Yousin Suh, Jan Vijg, Manlio Vinciguerra and Luigi Fontana. Interventions to Slow Aging in Humans: Are We Ready? Aging Cell 2015; 14, pp497–510.

 

 

Intollerenze ed allergie alimentari: il grande caos

Che differenza c’è tra intolleranze ed allergie alimentari? Come si manifestano? Quante persone ne soffrono? Tutti ne parlano, ma pochi conoscono veramente il tema, così prevale il caos. Abbiamo chiesto al nutrizionista di Vitalia, Ettore Pelosi, di aiutarci a capire il problema.

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Di intolleranze ed allergie alimentari si sente parlare tanto e sempre più spesso. Ormai queste due parole sono entrate nel vocabolario comune se non giornaliero della maggior parte di noi: il passa parola, poi, aiuta ad aumentare il caos perché ognuno dice la sua, ha sempre un consiglio o una soluzione originale e, poiché nessuno sa davvero di cosa si stia parlando, la confusione regna sovrana… Così accade che non ci sia praticamente persona che almeno una volta non si sia posta il problema e non abbia provato ad eliminare un alimento piuttosto che un gruppo di alimenti dalla sua tavola ritenendoli responsabili di un peggioramento della propria salute.

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D’altra parte è verissimo che le intolleranze e le allergie alimentari rappresentano un problema di grande rilevanza che coinvolge una porzione ampia della popolazione e questo giustifica la grande attenzione che stanno ricevendo e il gran parlare che se ne sente fare. Un po’ meno giustificate alcune soluzioni fai da te, spesso piuttosto estreme: per supposte intolleranze, parecchie persone cominciano con l’escludere un alimento e poi giù giù in una reazione a catena che finisce col ridurle a mangiare pochissime cose …naturalmente senza alcun beneficio!

Certo, il tema è complesso, e orientarsi per la maggior parte delle persone, ma anche per il professionista, è piuttosto difficile. Abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza con poche semplici battute.

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Che cosa si intende per intolleranza e cosa per allergia? Qual è la differenza?
L’allergia alimentare è una reazione immuno-mediata che si determina nel momento in cui l’alimento viene ingerito. Viceversa, si parla di intolleranza alimentare quando la reazione non è provocata dal sistema immunitario.

Quante persone ne soffrono?
Le intolleranze sono più comuni delle allergie. A livello europeo si stima una prevalenza di reazioni avverse al cibo del 7,5% nei bambini e del 2% negli adulti; negli Stati Uniti si stimano un 8% di reazioni avverse al cibo nei bambini sotto i sei anni, con reazioni allergiche tra il 2 e 4%; la prevalenza negli adulti è stimata invece tra 1 e 2%.

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Quali sono le intolleranze e le allergie più comuni?
Le allergie più comuni sono quella alle proteine del latte vaccino (tipica dei bambini) e quella ai differenti tipi di noci (frequente per adulti e bambini). Tra le altre sono compresi alimenti come il pesce, i crostacei, l’uovo, i semi oleaginosi (come il sesamo, il girasole, il papavero), la senape, ecc., ma anche additivi alimentari e solfiti. Per quanto riguarda le intolleranze, al momento la medicina convenzionale ne ha accertati due soli tipi: quella al lattosio e quella al glutine (celiachia).

Quali sono i sintomi di intolleranza ed allergia?
La reazione allergica ad un alimento può presentarsi con sintomi molto differenti che coinvolgono alcuni organi/apparati come quello respiratorio (naso che cola / naso congestionato, tosse, starnuti, respiro affannoso), cutaneo (gonfiore di labbra, bocca, lingua, faccia, gola, rossore e prurito cutaneo, orticaria, eczema), gastroenterico (gonfiore, meteorismo, crampi, coliche, diarrea, nausea e vomito), oppure, nel peggiore e più eclatante dei casi, con lo shock anafilattico. L’intolleranza può provocare sintomi simili ad alcuni di quelli elencati: in particolare la nausea, il gonfiore, le coliche, la diarrea, le reazioni cutanee o dell’apparato respiratorio, ecc. ecc.

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Quali sono i test diagnostici?
Purtroppo, mancano procedure diagnostiche idonee e sono pochi i test che hanno una validazione scientifica. Per la celiachia è possibile testare la presenza di alcuni anticorpi, valutare l’HLA e fare la biopsia duodenale; per il lattosio c’è il breath test. Si possono utilizzare test di eliminazione, che prevedono di togliere dalla dieta un alimento per un periodo che di solito è di due settimane; poi se scompaiono i sintomi, si provvede alla sua successiva reintroduzione. Ci sono inoltre i test cutanei per valutare le allergie (prick test – per i quali si iniettano allergeni sotto-cute) e i RAST test (per i quali si usa il sangue del paziente).

In una realtà così complessa e, verosimilmente, in espansione, sicuramente sarà sempre più utile imparare a muoversi, prevenendo quando possibile con diete appropriate o, in caso di accertata intolleranza / allergia, imparando a scegliere molto accuratamente!

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OmeoDieta, gli alimenti giusti

Il nostro nutrizionista Ettore Pelosi (lo presentiamo qui) ci illustra la sua “OmeoDieta”: come e perchè funziona, quali rinunce richiede e quanti (tanti!) vantaggi porta. Un metodo adatto agli atleti ma non solo. Buona lettura e buon appetito!

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L’OmeoDieta si sviluppa da alcuni anni sulla base delle nuove evidenze scientifiche nel campo dell’alimentazione e sulla base delle risposte osservate in ambulatorio nei pazienti e negli sportivi cui è stata adattata. Integra alimentazione e attività fisica e poggia il suo razionale su due principi fondamentali:

La qualità degli alimenti e la loro alternanza nell’arco della settimana sono i punti essenziali di OmeoDieta, una dieta che incoraggia a mangiare di tutto, senza focalizzarsi troppo sulle quantità (tranne in alcuni casi particolari, soprattutto per gli sportivi, nei quali queste possono essere fondamentali). Infatti, il risultato finale è dato dalle risposte ormonali determinate dall’alimento: risposte che sono maggiormente correlate con le sue caratteristiche nutrizionali, piuttosto che con le quantità che ne vengono assunte.

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Cosa vuol dire dieta “alcalinizzante”?

Per il nostro organismo un elevato apporto di sostanze alcaline è fondamentale e aiuta a prevenire l’insorgenza dell’acidosi metabolica latente, responsabile della riduzione generale della nostra qualità di vita, della stanchezza cronica (soprattutto quella mattutina) ed elemento predisponente allo sviluppo di numerose patologie tipiche della società del benessere. Ogni alimento può essere classificato sulla base del suo residuo in acidificante o alcalinizzante, all’interno di una scala definita PRAL (potential renal acid load): alimenti ricchi di proteine e anioni come i formaggi, la carne, il pesce e in minor misura i cereali e i legumi, sono acidificanti; alcalinizzanti quelli ricchi in cationi (frutta e verdura). Perciò una dieta in cui frutta e verdura tornano ad essere gli alimenti quantitativamente più rappresentati (come OmeoDieta o le diete su base vegetale), risulta alcalinizzante.

Qui un esempio di scala PRAL.

L’indice insulinico e l’indice/carico glicemico degli alimenti.

Indice e carico glicemico degli alimenti sono concetti ormai noti alla maggior parte degli addetti ai lavori in campo nutrizionale e non. Alcune diete molto famose sono state basate su di essi. Esprimono, rispettivamente, la velocità con cui il glucosio contenuto in una certa quantità di alimento passa nel sangue e la quantità totale di zuccheri presenti in quell’alimento che passa nel sangue. Le tabelle che esprimono per ogni alimento indice e carico glicemico chiariscono come oltre agli zuccheri semplici, ai primi posti, vi siano le farine e i cerali raffinati, ma anche pane e pizza, la maggior parte dei prodotti di pasticceria, ecc.

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L’indice insulinico di un alimento indica l’incremento dell’insulina che si ottiene a seguito dell’assunzione di 1000Kj (239 Kcal) dello stesso. Questo parametro è più significativo dei primi due; infatti, alimenti che non contengono zuccheri come lo yogurt e il latte presentano un indice insulinico uguale o superiore a quello del pane bianco. Lo studio della risposta insulinica determinata dagli alimenti è fondamentale per prevederne gli effetti complessivi sulla nostra salute.

Qui un esempio di tabella degli indici glicemici.

Dalla teoria alla pratica

Ricapitoliamo dunque le basi razionali dell’OmeoDieta. E’ una dieta:

  1. alcalinizzante
  2. costituita da alimenti e combinazioni alimentari di basso indice insulinico e glicemico
  3. povera di grassi saturi
  4. povera di sostanze pro-infiammatorie come glutine e grassi animali
  5. con apporto ridotto e controllato di sostanze nervine

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Principi che tradotti in azioni concrete diventano:

  1. mangiare in quantità libere verdure e alcuni frutti per alcalinizzare
  2. seguire prevalentemente una dieta dissociata, per ridurre l’indice insulinico e glicemico del pasto. Cioè utilizzare verdure e ortaggi in associazione a carboidrati complessi o proteine (esempio: riso venere con verdure saltate; minestra di lenticchie, petto di pollo al limone con verdure grigliate)
  3. limitare la carne, i formaggi, gli alimenti contenti strutto, burro, margarine, per ridurre i grassi saturi. Prediligere invece le proteine vegetali che si ritrovano nei cereali, nei legumi, nella frutta secca e in piccole, ma significative quantità, nelle diverse verdure, ortaggi, frutta.
  4. limitare il glutine, utilizzando spesso i cereali senza glutine e gli pseudo cereali a rotazione (pseudo cereali: grano saraceno, quinoa e amaranto; cereali senza glutine: riso, miglio, mais; cereali con glutine: frumento, farro, orzo, segale, avena e grano karasau).
  5. limitare le sostanze nervine come quelle contenute in caffè, tè, cacao, cola e alcol.

OmeoDieta: i grandi “no” 

“Dottore, posso fare qualche volta colazione al bar con cappuccino e cornetto?”
“No, perché questo classico della colazione ha un effetto iperinsulinemizzante e ipoglicemizzante. L’insulina infatti viene stimolata contemporaneamente da farina raffinata, zucchero e grassi idrogenati contenuti nel cornetto e da latte e zucchero del cappuccino…”
“Dottore… ma la pizza?”
“Devo proprio ripeterlo ;-)?”

Vuoi una dieta personalizzata? Prenota una visita con il dott. Pelosi.

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(Non) dimagrire correndo

Capita di correre per dimagrire e non… dimagrire. Capita di fare scialpinismo per dimagrire e non… dimagrire. Capita. Ma perché? Lo abbiamo spiegato sull’ultimo numero di Ski-Alper: ecco l’articolo.

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Come siamo fatti

Il nostro corpo è costituito da ossa, visceri, muscoli e tessuto adiposo, ma soprattutto di acqua che rappresenta dal 50-60% del peso totale. Il tessuto adiposo è distribuito nel sottocute e tra i visceri. La sua funzione è quella di proteggere dagli urti, dal freddo, dare sostegno agli organi interni ma il grasso corporeo concorre a produrre sostanze (adipochine) responsabili di uno stato di infiammazione cronica che favorisce l’insorgenza di malattie cardiovascolari.

Il dimagrimento come perdita di massa grassa

Nell’atleta che pratica corsa in montagna o scialpinismo il grasso corporeo rappresenta una zavorra da dover portare in salita e quindi si cerca di tenerlo al minimo. La percentuale di massa grassa non dovrebbe comunque superare il 12-15% del peso corporeo. Le metodiche più diffuse per determinarla sono la plicometria, misurazione delle pliche cutanee con apposito strumento, e la bioimpedenza. Una tecnica che determina la percentuale di grasso corporeo valutando l’impedenza misurata da una micro corrente che attraversa il corpo e calcolando la composizione corporea in funzione del fatto che il tessuto muscolare, essendo più ricco di acqua, è un migliore conduttore.

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Il dimagrimento come effetto del bilancio negativo tra spesa e incasso

Innanzitutto è bene precisare che per perdere un kilo di massa grassa è necessario bruciare 7-9000 kcal, ovvero creare un deficit tra entrate ed uscite pari a tale quantitativo calorico. L’obiettivo può essere raggiunto con un aumento del volume di allenamento, riducendo l’assunzione di alimenti o con entrambe. Purtroppo molte persone vivono più di percezioni che di realtà e, sulla base di queste, capita che si tenda a sovrastimare la quantità di allenamento ed a sottostimare la quantità di cibo. Per ovviare al problema, il suggerimento è quello di rendere il più obiettivi possibili i dati relativi agli allenamenti e dell’alimentazione seguita. Per l’allenamento, basterà utilizzare con regolarità un cardio-GPS (come vi consigliamo qui) e scaricare i dati su PC o installare una delle molte app di monitoraggio sportivo; tra tutte, forse la migliore è Strava (ne parliamo qui). Più difficile tenere conto di ciò che si mangia. Capita infatti di “spizzicare” qualcosa qui e là senza ammetterlo neanche con noi stessi. Il consiglio è di tenere in tasca carta e penna o di scrivere nelle note di uno smart phone tutto quello che si mette in bocca. Con un po’ di pratica o con l’aiuto di un esperto (medico, nutrizionista) si dovrebbe riuscire a capire se mediamente il saldo calorie spese/calorie assunte è negativo o positivo. Attenzione comunque a non abbassare troppo l’apporto calorico giornaliero. Negli sportivi è infatti essenziale mantenere un regime alimentare adeguato agli allenamenti che vengono svolti altrimenti si rischia di incorrere in un drastico calo della performance.

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I fattori che influenzano il dimagrimento: tipi di alimenti, distribuzione dei pasti nella giornata

A volte però, anche se i “numeri di bilancio” sono negativi, l’ago della bilancia non scende. Come mai? In questi casi bisogna indagare su come e quando si mangia. In altre parole, le stesse calorie giornaliere distribuite in modo diverso durante la giornata e con percentuale di nutrienti corrette possono generare effetti diversi sul metabolismo.

Ecco gli errori più frequenti:
• tendenza ad assumere la maggior quantità di calorie con il pasto serale
• assumere pasti ricchi di carboidrati lontano dagli allenamenti
• assumere carboidrati ad alto indice glicemico (pane di farina 00, pasta, riso, patate, bevande dolcificate, alcol)
• assumere una limitata quantità di verdure
• tenere bassi, non più del 10% delle calorie giornaliere, i grassi saturi

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Vediamo quindi come correggere questi errori:
• assumere una piccola quantità di carboidrati a basso indice glicemico 1-2h prima dell’allenamento se si prevede che esso sia intenso
• ristabilire le scorte di glicogeno muscolare nella fase immediatamente successiva all’allenamento. L’ideale è reintrodurli entro 40’ perché in tal modo andranno a ricostituire le scorte di glicogeno muscolare evitando che essi vengano trasformati in grassi di deposito
• scegliere carboidrati a basso indice glicemico da alimenti ricchi di fibra, selezionare quindi farine integrali e cereali grezzi
• dare rotazione alla fonte di carboidrati. Alternare per esempio, farine integrali, orzo, kamut, riso integrale.

La perdita di peso dovrebbe essere di circa 0,5 kg/sett e dovrebbe essere costituita essenzialmente da massa grassa, mentre le oscillazioni di peso legate alle perdite di liquidi con il sudore dovrebbero essere rapidamente corrette con la reintroduzione di bevande leggermente ipotoniche per essere più velocemente assorbite. In conclusione, la quantificazione esatta della spesa calorica, la scelta degli alimenti e la loro distribuzione nell’arco della giornata in funzione degli allenamenti garantiranno il raggiungimento del risultato e del miglioramento prestativo.

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