ThePerfectRUN il programma per imparare a correre con Vitalia Salute

Si può “imparare a correre”?

Per preparare un evento agonistico, per migliorare il proprio personal best, per imparare a correre “bene”, per evitare il sovraccarico funzionale e limitare l’insorgenza di infortuni, per raggiungere l’obiettivo che hai sempre sognato…nasce un programma dedicato ai Runner di qualsiasi livello! ThePerfectRUN

imparare a correre: corsa al tramonto

Cos’è ThePerfectRUN?

ThePerfectRUN è un progetto dedicato ai Runner che coniuga valutazione funzionale preparazione atletica, chinesiologia e osteopatia.

Una serie di attività dedicate e individualizzate al Runner per migliorare le performance, l’efficienza del gesto e ridurre il rischio infortuni!

Dove si svolge?

ThePerfectRUN ha la sua “base” presso il Centro di medicina dello Sport Vitalia Salute, cento in cui è possibile svolgere tutte le attività necessarie per la valutazione e l’implementazione dei singoli servizi.

imparare a correre: visita da Vitalia

Quali sono le attività per “imparare a correre”?

Il “primo step” di ThePerfectRUN è un set di valutazioni che permetteranno al Runner di conoscere più a fondo il proprio stato fisico/posturale/funzionale/metabolico.

L’insieme delle attività sarà sempre monitorato con una costante analisi di processo, in modo da dare la massima continuità e consistenza al percorso messo in atto.

Inoltre ThePerfectRUN si basa su una architettura modulare, per cui il singolo Runner potrà costruire il proprio “pacchetto” di attività e scegliere come cadenzare le sedute e gli allenamenti.

Chi seguirà il tuo programma di valutazione, rieducazione funzionale e allenamento?

Mattia Roppolo, PhD, Chinesiologo, Oteopata e preparatore atletico nel Running e nel Triathlon. È stato atleta di livello nazionale nel mezzofondo e campione Italiano di Corsa in Montagna.

Massimo Massarini, Medico dello Sport, esperto di fisiologia dell’esercizio e di programmazione dell’allenamento, appassionato runner e scialpinista con esperienza di raid e salite ai 4000 delle Alpi.

Come costruiremo il programma ThePerfectRUN?

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Step 1 – Come funziona la Valutazione funzionale iniziale?

La valutazione iniziale è svolta attraverso 4 modalità operative:

Costi del programma

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sovraccarico funzionale, come gestirlo!

Sempre più spesso i Runner si trovano a doversi confrontare con infortuni/fastidi/dolori, legati al sovraccarico funzionale. Infatti, seppur la corsa sia un gesto motorio naturale, gli impatti ripetuti con il terreno possono comportare grandi carichi da dover “gestire” e distribuire a livello muscolo-scheletrico.

Che cos’è il sovraccarico funzionale?

L’insieme degli impatti con il terreno, se non adeguatamente distribuiti ed assorbiti, tende a favorire ciò che viene chiamato “sovraccarico funzionale”. Nella sostanza, la struttura muscolo-scheletrica e le sue componenti fasciali tendono a perdere la loro abilità di gestire e reagire agli stimoli esterni comportando degli scompensi posturali che spesso sono causa di infortuni, infiammazioni ecc.

mattia al lavoro durante un massaggio per ridurre il sovraccarico funzionale

Una struttura in sovraccarico funzionale andrà rapidamente incontro a condizioni disfunzionali. E infatti la percentuale di Runner che subiscono infortuni da “stress ripetuti” è elevatissima. In uno studio del 2007 (van Gent, et al.) si parla di percentuali che variano dal 20% all’80%.

Nel Running i 7 infortuni principali sono:

  1. sindrome femoro-rotulea
  2. tendinite dell’achilleo
  3. contratture e lesione al bicipite femorale
  4. fascite plantare
  5. periostite
  6. sindrome della bandelletta ileo-tibiale
  7. fratture da stress (spesso a livello dei metatarsi).

Chi è passato da una o più di queste problematiche sa che il percorso di recupero è spesso lungo e frustrante. Per questo sempre più spesso si pone l’accento, soprattutto nel Running, sull’importanza della prevenzione.

In questo senso, i consigli classici riportano l’importanza di un buon riscaldamento, l’utilità dello stretching, la necessità di un programma di allenamento adeguato e supervisionato da un esperto, una dieta corretta ed una attrezzatura (le scarpe nello specifico) adatte alle proprie caratteristiche.

In associazione a queste strategie, del tutto corrette ed importanti, è molto utile svolgere una analisi della propria postura e individuare le strutture e/o i distretti corporei che si trovano in una condizione di tensione eccessiva o restrizione di mobilità. In questo senso, il trattamento osteopatico svolge un ruolo chiave.

L’osteopatia utilizza tecniche manipolative che agiscono su diverse strutture dell’organismo, quali le articolazioni, i muscoli, le fasce, i visceri, basandosi sul principio cardine che il movimento è vita. Pertanto, per l’osteopata, è necessario individuare le aree dell’organismo che presentano una restrizione di mobilità (es. ridotto movimento di due capi articolari) e, tramite una indagine manuale e tecniche manipolative, riportare un corretto movimento all’interno della struttura individuata in restrizione per innescare i processi di autoguarigione di cui è naturalmente dotato l’organismo.

Ritornando ai 7 infortuni “classici” del Runner, l’osteopata tramite la sua valutazione può individuare precocemente le strutture che stanno andando incontro ad un processo disfunzionale, ripristinando il corretto movimento e la corretta postura, eliminando il sovraccarico funzionale e allontanano il rischio di infortuni.

Come l’osteopatia risolve le problematiche legate al sovraccarico funzionale?

Uno degli aspetti chiave dell’osteopatia è che si basa su un approccio sistemico. In sostanza, per l’osteopata non è detto che un dolore, per esempio, alla spalla, derivi necessariamente da un problema intrinseco alla spalla, ma la causa del dolore potrebbe essere da ricercare in strutture limitrofe, come il collo o il gomito; o anche in strutture più “distanti” come il fegato, l’osso sacro o la caviglia. Questo approccio nasce dalla considerazione che tutte le strutture del corpo sono, in maniera più o meno diretta, in relazione tra loro e che quindi ci possa essere una fitta rete di influenze che comporta situazioni “tensionali”, con riduzione della mobilità anche a distanza.

Facendo un esempio pratico, capita sovente di dover trattare il bacino e la colonna lombare per evitare o limitare gli effetti di un dolore al tendine d’Achille, questo perché un bacino ruotato (ad esempio per vizi posturali) comporta una dismetria degli arti, con successivo sovraccarico su un arto inferiore. Tale sovraccarico in molti casi si riverbera sulla catena cinetica posteriore che può comportare una tendinite all’achilleo.

In altre occasioni invece, l’osteopata tratta l’articolazione tibio-tarsica (caviglia) per problematiche legate ai muscoli flessori di coscia (bicipite femorale in primis). Questo perché una mobilità alterata a livello della caviglia può produrre una tensione fasciale sulla muscolatura della gamba (spesso i muscoli peronieri), comportando una disfunzione alla testa del perone e di conseguenza una maggiore tensione sul bicipite femorale.

Questi due esempi mettono in luce come un sovraccarico funzionale in una determinata regione, possa scatenare meccanismi disfunzionali che portano ad una sintomatologia in un’area differente del corpo. Se si agisse per via sintomatologica, trattando la regione dolente, non si risolverebbe la causa (il sovraccarico funzionale) e quindi il sintomo tornerebbe a farsi sentire nel giro di poco tempo.

Pertanto, per tornare ad essere quella “macchina da corsa” che siamo stati, è necessario fare in modo che il nostro organismo sia in grado di gestire i traumi ripetuti che la corsa comporta. In questo modo si potrà godere di tutti i benefici del Running allontanando il rischio di infortuni.

HIIT, l’allenamento ad alta intensità

La popolarità dei programmi HIIT (High Intensity Interval Training) è in costante crescita, vogliamo affrontare anche noi l’argomento per fare chiarezza e portare a galla quelli che sono benefici e punti critici di questa tipologia di allenamento.

Novità del momento, se ne è parlato in Technogym per evidenziare meglio benefici e rischi

Questa tipologia di allenamento prevede l’esecuzione di uno o più esercizi eseguiti ad alta intensità intervallati da dei periodi di recupero di varia durata.

Per far luce su questa nuova metodica valutandone pro e contro, Technogym ha organizzato lo scorso 2 luglio un convegno a cui hanno partecipato i seguenti relatori sotto la direzione scientifica del prof. Silvano Zanuso Responsabile Scientifico Technogym – e visiting professor pressol’ Universita’ di Greenwich): Antonio Paoli (Professore Associato di Fisiologia, Padova , Adam Lewis (Ricercatore – Solent University), Andrea Biscarini (Professore associato di Biomeccanica, Universita’ di Perugia).

Proprio al Prof. Zanuso abbiamo rivolto alcune domande sul tema.

Come possiamo definire un programma HIT?

Un programma di HIIT può essere costituito sia da esercizi aerobici, come ad esempio pedalare o correre, che da esercizi di forza che di fatto, per loro natura, richiedono l’alternanza di periodi di lavoro e di recupero. È chiaro, però, che gli esercizi aerobici e di forza possono essere combinati tra loro per creare una moltitudine di schemi di allenamento diversi tra loro.

Nei programmi di HIIT, i lavori ad alta intensità possono durare da pochi secondi (per i lavori di forza) fino a vari minuti (per i lavori aerobici) ed essere eseguiti, nel caso degli esercizi aerobici, con percentuali comprese tra l’80% e il 95% della frequanza cardiaca massima. Per gli esercizi di forza invece il carico può essere vicino al massimale (1RM)  o ad una percentuale inferiore di questo valore; in questo caso è necessario aumentare il numero di ripetizioni (agendo quindi sul volume dell’attività), con l’obiettivo di raggiungere valori vicini al limite del numero di ripetizioni eseguibili.

L’allenamento, quindi, consiste nell’alternare periodi di lavoro a periodi di recupero, per una durata totale compresa tra i 20 e i 60 minuti.

Un’altra modalità di eseguire un allenamento ad alta intensità è quella di sostituire la fase di recupero con un altro esercizio, creando quindi una sessione di allenamento estremamente intenso, con una durata molto inferiore agli allenamenti tradizionali. In questo caso l’acronimo HIIT perderebbe una I, quella relativa all’intervallo, e diventerebbe quindi un High Intensity Training (HIT).hiit girl

Ma perché i programmi di HIIT o HIT sono così apprezzati?

Le ragioni sono principalmente tre: In primo luogo, essi hanno una durata generalmente inferiore rispetto agli allenamenti tradizionali.

Inoltre, consentono di bruciare più calorie nell’unità di tempo rispetto agli allenamenti tradizionali, sia durante l’allenamento stesso che dopo la fine dell’attività. Il consumo di esercizio post allenamento è definito dall’acronimo “EPOC”. Tipicamente, nelle due ore che seguono la seduta di allenamento l’organismo deve andare incontro ad una fase di recupero, ripristinando lo stato del pre-allenamento: per fare questo consuma dell’energia, rappresentata appunto dall’EPOC.

Infine, il lavoro di gruppo ed il costante passaggio tra lavori aerobici e di forza sono spesso percepiti come più stimolanti e divertenti.

Questi programmi ad alta intensità presentano dei rischi?

Allenamenti molto intensi portano con sé seri rischi sia di tipo cardiovascolare, sia di tipo osteo-articolare. L’HIIT è quindi una metodica da prendere con le pinze in soggetti con ipertensione e pregressi episodi di ischemia coronarica. Per quanto riguarda l’aspetto muscolo-scheletrico, invece, l’elevato numero di ripetizioni e l’alta velocità di esecuzione possono determinare l’insorgenza di problemi articolari e muscolo-tendinei.

Non bisogna sottovalutare, poi, che queste metodiche a volte propongono l’esecuzione di un alto numero di ripetizioni di esercizi che prevedono buone capacità tecniche (es. Squat, Stacchi da Terra). Ne deriva che, a causa della grande l’abilità esecutiva richiesta, questa metodica dovrebbe essere riservata a soggetti con buone capacità coordinative e di controllo motorio.

View More: http://radred.pass.us/hiit-fusion-og

In sintesi.

Non è una metodica totalmente nuova. Va compresa nell’essenza, che è quella di dare stimoli ad una percentuale di intensità metabolica elevata, rispettando sempre le capacità del soggetto per adattare gli esercizi nella tecnica e nella quantità alla fisiopatologia individuale. In sintesi, quindi, si richiede all’allenatore una grande attenzione nel creare il programma di allenamento più sicuro ed efficace per ogni soggetto.

 

Bibliografia

Italbasket, incontriamo Cuzzolin, il prepatore atletico

Chiacchierata a tutto campo con Cuzzolin, il preparatore atletico della italbasket: NBA, Rio, alimentazione e il rapporto con Vitalia.

Italbasket a Torino per il torneo di qualificazione olimpica FIBA 2016. Obiettivo? Conquistarsi sul palquette del Palaolimpico (tuttoesaurito) il biglietto per le olimpiadi di Rio2016. Abbiamo quindi incontrato Cuzzolin, il preparatore atletico della squadra per fare il punto della situazione.

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Il PalaOlimpico di Torino è tutto esaurito nelle date dell’Italia: come reagiscono i ragazzi dell’italbasket ad un sostegno del genere da parte dei tifosi?

Sentiamo l’appoggio della Nazione dal momento in cui indossiamo l’azzurro. Abbiamo giocatori con esperienza e la fortuna di giocare in Italia un PreOlimpico meritato, ce la giocheremo. Spero in un grande tifo e gioia.

Vestire la canotta azzurra dell’italbasket porta motivazioni aggiuntive?

È la spinta più grande che un atleta possa ricevere, a qualsiasi livello. Ti fa sentire realizzato e responsabilizzato al tempo stesso. Basti pensare agli atleti diversamente abili: è eroico ciò che riescono a fare per gareggiare con la maglia azzurra.

In che modo si lavora sulla testa di chi proviene da una stagione deludente? E su chi arriva con la cosiddetta pancia piena?

Un atleta che ha fatto una buona stagione non ha la pancia piena, anzi deve dimostrare in ogni momento. La motivazione non sta nella singola partita, bensì si trova nel quotidiano e nella mentalità dell’atleta.

Veniamo a lei: ha lavorato per società e Nazionali, italiane e straniere. Come varia la preparazione atletica da una società ad una Nazionale, dall’Italia all’estero?

La collocazione geografica non cambia i programmi, tuttavia ci sono delle differenze tra la tipologia europea e quella americana. Ad ogni modo, ogni stagione ha una storia a sé: cambi programma in base alla squadra che devi preparare, in base ai suoi equilibri ed alle idee di gioco.

Ha avuto anche esperienze nella pallacanestro femminile. I programmi di lavoro differiscono in qualche maniera rispetto a quelli proposti ai ragazzi?

Non ci sono dubbi che, nelle donne, siano diverse la struttura fisica, quella articolare e quella muscolare, tuttavia ci sono molte similitudini: tantissimo lavoro si può fare sia con femmine, sia con maschi. Naturalmente si fanno degli aggiustamenti necessari alla struttura e alla tipologia di atleta.

Ha collaborato con D’Antoni, Obradovic, Blatt ed il nostro Ettore Messina. Possono esserci divergenze tra allenatore e preparatore atletico?

La presenza di divergenze non è un fattore negativo. Se si è perfettamente allineati, non c’è scambio di idee e il lavoro risulta poco producente. Quando mi confronto con i miei collaboratori, se qualcuno ha qualcosa da dire, deve dirlo e argomentarlo. I nomi citati hanno culture diverse.

DESCRIZIONE: Folgaria ritiro nazionale italiana maschile - Allenamento GIOCATORE: Francesco Cuzzolin CATEGORIA: Nazionale Maschile Senior GARA: Folgaria Ritiro Nazionale Italiana Maschile - Allenamento DATA: 25/07/2015 AUTORE: Agenzia Ciamillo-Castoria

Concentrandoci su Ettore, l’attuale coach della Nazionale: di nuovo insieme, dopo aver lavorato insieme a Bologna, Treviso e Mosca. Quanto aiuta collaborare con una figura con la quale ha già avuto esperienza?

Aiuta tantissimo, perché l’approccio è tra due persone che si stimano, ma ciò non significa che puoi rilassarti. Quando lavori con un coach come Ettore Messina devi andare in ogni momento alla massima velocità, perché l’intesa si costruisce sul lavoro quotidiano.

Un rapporto come quello con Massimo Massarini e Vitalia rappresenta un punto di riferimento?

La capacità di rinnovamento parte dal fatto che sono una persona curiosa; informarsi e aggiornarsi è alla base del mio lavoro. Inoltre, ho la possibilità di confrontarmi con professionisti come il dottor Massarini, con cui ho un rapporto di grande stima reciproca. L’eccellenza si cerca, quando hai la possibilità di confrontarti con persone come lui. Le metodiche di prevenzione, di recupero e di allenamento che adotto in squadra sono frutto del lavoro di razionalizzazione fatto con Massimo, con Fabrizio (Borra) e con Alberto Andorlini (Palermo). Siamo partiti dal concetto che bisogna lavorare sui movimenti e non sulla singola articolazione e su questo abbiamo costruito schemi di allenamento che sono applicabili sia all’atleta che alla persona comune.
E quindi nella riabilitazione cerchiamo di ricostruire i movimenti che sono stati alterati dal trauma. Partiamo dai movimenti più semplici e piano piano aumentiamo il livello di complessità degli esercizi fino a riacquisire gli schemi motori di livello più alto. Lo stesso si può fare con chi non è un atleta ed è quello che si fa da Vitalia.

Il processo di allenamento risente anche del fattore alimentazione?

Sì, è importante perché rappresenta la qualità del carburante, dunque bisogna assicurarsi che sia il migliore possibile. Non è sempre facile cambiando cuochi, alberghi e qualità del cibo, quindi diventa essenziale sensibilizzare gli atleti a nutrirsi correttamente anche a casa. È un impegno che non dà risultati su 1-2 giorni.

In NBA le franchigie lasciano gli atleti gestirsi come meglio credono?

È una leggenda, le società sono attente a questo aspetto. La franchigia mette a disposizione i cibi, ma non può controllarti tutto l’anno. Il problema sorge in quei giocatori che sono cresciuti con una cultura diversa, per questo bisogna dare esempi forti e chiari.

Allora in bocca al lupo a tutto il tema dell’Italbasket che martedì incontrerà a Torino la Croazia! Forza azzurri!

Infiammazione Cronica Sistemica di Basso grado: la dieta per prevenirla

Che cos’è l’infiammazione cronica sistemica di basso grado

L’ infiammazione Cronica Sistemica di Basso Grado è una condizione patologica diffusa ed in continuo aumento, legata a nuovi stili di vita e a inquinamento ambientale. Si tratta di un processo infiammatorio sistemico fortemente correlato con

  1. tipo di alimentazione (l’eccessiva assunzione calorica, l’acidosi metabolica latente, l’eccessiva produzione di insulina, la disbiosi intestinale e la carenza di fibre, lo squilibrio omega 3 / omega 6),
  2. scarsa / assente attività fisica,
  3. stress e alterazione dei ritmi biologici.

L’infiammazione cronica sistemica di basso grado si manifesta con una costellazione di segni e sintomi aspecifici (sovente interpretati come “fisiologiche” manifestazioni dell’invecchiamento) che includono astenia, sonnolenza diurna, insonnia notturna, irritabilità, difficoltà di concentrazione, ecc. ecc.

Nel tempo, la sua mancata correzione, promuove numerose patologie comprese obesità, diabete tipo 2, neoplasie maligne e malattie neurodegenerative (in particolare la malattia di Alzheimer, Sclerosi Multipla e Morbo di Parkinson). Coinvolge infatti il connettivo e le cellule di tutti i tessuti e organi del nostro corpo: dal sistema nervoso alla cute, dal sistema respiratorio a quello immunitario.

Come contrastare l’infiammazione Cronica Sistemica di Basso grado

Alimenti Infiammazione Cronica Sistemica di Basso grado

Alimenti per prevenire l’infiammazione Cronica Sistemica di Basso grado

Per contrastare efficacemente l’infiammazione cronica sistemica di basso grado, ed eliminare disturbi presenti da mesi o anni, basterebbe applicare alcuni accorgimenti al nostro stile di vita. I principali consistono nel cambiamento del pattern dietetico con la scelta di una dieta anti-infiammatoria che prevede la presenza di un’alta percentuale di cibi alcalinizzanti (a scapito di quelli acidificanti), l’aumento delle fibre e degli acidi omega 3, la riduzione degli zuccheri semplici, dei grassi saturi e del sale, ma anche una riduzione complessiva dell’apporto calorico, lo svolgimento costante di una moderata attività fisica di tipo aerobico ed una miglior gestione dello stress.

In sostanza basterebbe consumare in abbondanza verdure, ortaggi e frutta (verdure e ortaggi in tutti i pasti, la frutta meglio negli spuntini, scegliendo prodotti di stagione, locali e se possibile biologici) carboidrati complessi (soprattutto a colazione e a pranzo e sotto forma di cereali integrali, alternando tra quelli con e senza glutine (riso, mais, grano saraceno, quinoa, amaranto e miglio con frumento, farro, orzo, segale, avena e kamut)), limitare le proteine animali (carne, pesce, uova, latte/formaggi) alternandole con quelle vegetali dei legumi (ceci, lenticchie, fagioli, piselli e soia) oppure della frutta secca (noci, mandorle, nocciole, anacardi, pinoli, pistacchi, ..), limitare i grassi utilizzando principalmente gli oli (in particolare l’olio di oliva extra-vergine e/o l’olio di lino spremuto a freddo).

 

 

Riferimenti e Bibligrafia per approfondire

 

  1. Remer T. Manz F. Potential renal acid load of foods and its influenceon urine pH. J Am Diet Assoc. 1995; 95(7): 791-7.
  2. Remer T. Influence of diet on acid-base balance. Semin Dial. 2000; 13(4): 221-6.
  3. Pelosi E. Acidosi latente e alimentazione2013 (3): 39-44.
  4. Sinha R, Cross AJ, Graubard BI, et al. Meat intake and mortality: a prospective study of over half a million people. Arch Int Med. 2009; 169(6):562-571.
  5. Pelosi E. Gli acidi grassi omega-3: nutrigenomica, non semplice supplemento. La Med. Biol.; 2010/3; 17-24.
  6. Pelosi E. La Dieta Ideale. La Med. Biol., 2015/4; 41-44.
  7. Pelosi E. La dieta vegana. Vantaggi per la salute e raccomandazioni pratiche. Prima Parte. La Med. Biol., 2012/2; 39-46.
  8. Pelosi E. La dieta vegana. Vantaggi per la salute e raccomandazioni pratiche. Seconda Parte. La Med. Biol., 2012/3; 33-38.
  9. Luigi Fontana, Dennis T. Villareal, Sai K. Das, Steven R. Smith, Simin N. Meydani, Anastassios G. Pittas, Samuel Klein, Manjushri Bhapkar, James Rochon, Eric Ravussin and John O. Holloszy for the CALERIE Study. Group Effects of 2-year calorie restriction on circulating levels of IGF-1, IGF-binding proteins and cortisol in nonobese men and women: a randomized clinical trial. Aging Cell 2016: 15, pp22–27.
  10. Valter D. Longo, Adam Antebi, Andrzej Bartke, Nir Barzilai, Holly M. Brown-Borg, Calogero Caruso, Tyler J. Curiel, Rafael de Cabo, Claudio Franceschi, David Gems, Donald K. Ingram, Thomas E. Johnson, Brian K. Kennedy, Cynthia Kenyon, Samuel Klein, John J. Kopchick, Guenter Lepperdinger, Frank Madeo, Mario G. Mirisola, James R. Mitchell, Giuseppe Passarino, Karl L. Rudolph, John M. Sedivy, Gerald S. Shadel, David A. Sinclair, Stephen R. Spindler, Yousin Suh, Jan Vijg, Manlio Vinciguerra and Luigi Fontana. Interventions to Slow Aging in Humans: Are We Ready? Aging Cell 2015; 14, pp497–510.

 

 

Paolo Bettini in attesa del Giro d’Italia a Torino

Paolo Bettini è uno di quei campioni che hanno lasciato il segno: oro olimpico ad Atene nel 2004, due titoli mondiali nel 2006-07, Liegi-Bastogne-Liegi, Sanremo, Lombardia, tanto per citare le vittorie più importanti.

Eppure Paolino è una di quelle persone che in cinque minuti ti mettono a tuo agio, con naturalezza, con semplicità, con un sorriso.

La sua competenza ed esperienza sono preziose nel mondo del ciclismo dove continua a lavorare collaborando con aziende e organizzando attività di pubbliche relazioni.

Paolo Bettini oro olimpico ad Atene nel 2004

Paolo Bettini oro olimpico

Ecco l’intervista che Paolo Bettini ci ha regalato

Paolo, hai lasciato il ciclismo agonistico da quasi 8 anni ormai: ad oggi continui a spingere al massimo sui pedali o preferisci una più blanda velocità di crociera?

Sicuramente la seconda, sono un cicloturista. La bici per me oggi rappresenta uno strumento diverso: non la utilizzo per fare fatica, ma per stare in compagnia e godermi i paesaggi.

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Il tuo approccio alle uscite in bicicletta, per riuscire ad essere più performante, è cambiato rispetto alla tua carriera da professionista?

Ho trascorso 12 anni nel professionismo, affrontando 12 anni di allenamenti seguendo tabelle nel tentativo di trovare sempre il migliore approccio possibile per aumentare performance. Ora, come detto, esco in bici per divertimento. Un tempo utilizzavo strumenti come il potenziometro ed il cardiofrequenzimetro per analizzare la performance. Oggi utilizzo solamente il cardiofrequenzimetro.

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I preparatori e i medici delle 4 differenti squadre per cui hai corso consigliavano in maniera omogenea, oppure hai trovato pareri discordanti da un team all’altro?

Ho cambiato 4 squadre, vero, ma non ho mai cambiato lo staff medico. Mi hanno sempre seguito, alternandosi, le stesse persone e quindi, avendo a che fare sempre con i soliti professionisti, non c’è mai stata discordanza tra i medici, né per quanto riguarda la preparazione atletica  né dal punto di vista fisiologico. La linea è cambiata, tuttavia, con gli anni e con l’esperienza, cercando ogni volta la strada che rendesse di più. Ai cicloamatori consiglio di rivolgersi ad un medico dello sport che sappia personalizzare il programma di allenamento partendo dai dati individuali. Ho spesso discusso di queste tematiche con Massimo Massarini e condivido le sue metodiche.

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Quest’anno hai seguito il Giro da molto vicino, nonostante tu sia sempre stato un uomo da (oneday-race) corse da un giorno: come cambia la preparazione rispetto ad una grande corsa a tappe?

Chi corre per vincere un grande giro deve innanzitutto avere la mentalità per la corsa a tappe, una certa predisposizione che corrisponde ad una conditio sine qua non. Gli allenamenti per una corsa a tappe, intesi come intensità degli esercizi, metodologia e scelta dei percorsi sono differenti rispetto alle corse da un giorno perché bisogna curare tutti gli aspetti dell’andare in bicicletta: la salita, la pianura, la cronometro e la discesa. Io ero un uomo da grandi classiche, dunque mi allenavo su percorsi simili alle gare a cui avrei partecipato.

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Dopo 8 anni, noti particolari differenze su quelli che sono considerati gli aspetti fondamentali nella preparazione e nel mantenimento della condizione sull’arco delle tre settimane?

Sicuramente ci sono delle differenze: la scienza va avanti e la metodologia cerca di migliorarsi. “Cerca” perché non si può standardizzare: un approccio può essere utile per un corridore, ma può non valere per altri. Si tratta di una questione individuale: secondo me, infatti, il miglior preparatore è colui che meglio capisce l’atleta. Un preparatore generico non fa rendere al meglio, per questo un personal trainer è assolutamente preferibile per migliorare le prestazioni.

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Ci si prepara diversamente in base al ruolo in squadra?

In un primo momento, anche per motivi geografici, i singoli atleti si allenano individualmente nei territori limitrofi al luogo di residenza. Naturalmente, c’è chi cerca di più la montagna e chi la pianura. Quando comincia il raduno, in un contesto di squadra, si lavora insieme: ciò limita le disparità in termini di preparazione e allenamento. Al giorno d’oggi, inoltre, il concetto di squadra è fondamentale per trovare la vittoria: è giusto esaltare le qualità personali del singolo, ma bisogna saper lavorare di squadra.

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Il giorno di riposo è stato fatale per Landa, Nibali è stato in difficoltà alla cronoscalata dopo la tappa regina: che differenze ci sono? Pesa di più una tappa di montagna o il giorno di riposo?

Si tratta di una questione individuale e dipende molto dalle abitudini. Il giorno di riposo è sempre molto difficile perché interrompe la routine dello sforzo e non sai mai bene come affrontarlo. Serve una certa esperienza di se stessi per capire quale sia il metodo migliore per te: c’è chi riposa davvero, limitandosi ad una sgambettata di 50km; altri, invece, escono e pedalano un paio di ore, magari cercando una salita, per un richiamo sui muscoli, poiché fermare il metabolismo crea loro problemi.

Il caso di Landa è particolare: fa parte del Team Sky, uno dei più all’avanguardia, con camion-cucina e, nonostante ciò, dopo il riposo si ritrova affetto da gastroenterite. Sicuramente c’è stata una cattiva gestione del giorno di riposo. Vincenzo, invece, sulle Dolomiti ha percorso 30km in solitaria – come fosse una cronometro – dopo 5 ore e mezza: è stato uno sforzo enorme, per questo ha pagato a cronometro.

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Dal punto di vista alimentare nel giorno di riposo? E dopo una tappa?

Io personalmente amavo il giorno di riposo, perché potevo stare a letto senza toccare la bici. Il vero problema è che rischi di mangiare in orari diversi da quelli a cui sei abituato nei giorni di corsa, nei quali il pranzo non è contemplato. Se mangi in orari troppo diversi dalla routine degli altri giorni, ti rimane il giorno dopo e ti mette in difficoltà. Non si fanno, ad ogni modo, diete particolari: l’unico accorgimento è quello di mangiare sano. Dopo una tappa impegnativa in cui si sono bruciate 5000/6000 calorie, comunque, a nessuno sono negati due piatti di pasta, purché rientrino nei parametri del mangiare sano.

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Quando ti accorgi che è la tua giornata no? Sul primo scatto in salita, pedalando in gruppo o già nella fase di riscaldamento?

In realtà, ce ne si rende conto all’arrivo: il ciclismo è uno sport che prevede tante ore in attività, per cui la prima ora può dare sensazioni completamente opposte rispetto all’ultima. Ho avuto giornate in cui mi sentivo un leone fino a 40km dall’arrivo e poi crollavo, ma è successo spesso anche il contrario: ho vinto gare in cui, per la prima ora, mi chiedevo perché fossi partito.

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È possibile rimediare, almeno parzialmente, a giornata in corso, oppure bisogna solo cercare di trascinarsi al traguardo?

Sì, la durata della corsa dà il tempo di capire la situazione e permette di scegliere il migliore approccio da dare alla corsa. Se il corridore si conosce bene e sa interpretare le situazioni, può rimediare e limitare i danni.

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Quanto conta, invece, l’aspetto mentale, rispetto al fattore puramente fisico? Una buona condizione fisica implica sempre lucidità mentale e, dunque, buoni risultati?

Rispondo per me, ma credo sia un pensiero diffuso e condiviso. Io mi son reso conto che la testa è fondamentale: non è possibile, per un atleta di alto livello, portare a casa risultato se non c’è lucidità mentale. Sicuramente, essere consapevoli di buona condizione è un vantaggio, ma la differenza è tutta nella serenità di chi corre: si può avere una buona condizione atletica, ma se si hanno problemi in famiglia e con i cari, non si vincerà mai.

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È più difficile arrivare pronti fisicamente e mentalmente ad una manifestazione cui si tiene particolarmente? Incentrare la preparazione sul Tour o sul Giro comporta rilevanti differenze?

È più che altro difficile individuare il percorso di allenamenti giusto per arrivare pronti. L’esperienza è importante, ma non è la chiave di tutto, perché a livello metabolico quello che si fa un anno potrebbe non funzionare l’anno dopo. Secondo me il Giro d’Italia ed il Tour de France sono sicuramente diversi: le salite e, in generale, la difficoltà delle tappe del Tour sono molto differenti da quelle del Giro. Inoltre, bisogna considerare le due corse anche a livello di posizione geografica e di calendario: luoghi diversi, climi e temperature diverse.

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Sempre più atleti ricorrono ai rulli per svolgere un lavoro defaticante al termine delle tappe: quali benefici si possono trarre da questo tipo di attività?

È una moda che si è sviluppata dopo che io ho lasciato. A detta di tutti, anche quando correvo io, interrompere immediatamente uno sforzo violento, a livello di circolazione e tossine, non è particolarmente consigliato. Ai miei tempi, si cercava sempre di pedalare un pochetto dopo il traguardo. Oggi, forse complici gli sponsor e nuovi attrezzi, avere i rulli al traguardo per fare 5/10 minuti di defaticamento è cosa saggia. Nella gestione allenamento, infatti, si parte dal riscaldamento, poi ci si allena ed infine si esegue questa attività finale dopo lo sforzo: se vale in allenamento, sarà utile anche dopo una gara.

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In questi ultimi anni, nelle grandi corse a tappe stanno aumentando le partenze all’estero, come il weekend olandese di questa edizione del Giro: quanto pesa il viaggio in aereo, nel giorno di riposo, sullo stato di forma dei corridori? C’è chi riesce a trarne vantaggio e chi, invece, ne risulta penalizzato?

L’ho fatto anch’io. Secondo me è sbagliato definirlo giorno di riposo, bisognerebbe bensì chiamarlo giorno di trasferimento. Come ho spiegato, è già complicato affrontare il giorno di riposo in cui sai che ti svegli in hotel e puoi andare a pedalare oppure stare tranquillo in camera. La giornata di trasferimento, tra imbarco, volo e cambio di hotel, è sicuramente causa di notevole stress. I corridori lo accettano, loro malgrado. Non essendo una giornata di riposo, è uguale per tutti.

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Hai fatto parte della Nazionale Italiana sia come ciclista, sia come Commissario Tecnico: che differenze ci sono tra il dover preparare se stessi ed il dover preparare altri corridori? Senti maggiori pressioni e responsabilità?

Detto sinceramente, ero molto più sereno da corridore. Era il mio lavoro, quello che conoscevo e facevo da una vita: farsi trovare pronti con la maglia azzurra, finalizzare la stagione e il mio lavoro. Il mestiere del Commissario Tecnico era un nuovo lavoro per me, per questo l’ho sofferto molto di più: non avevo io in mano il gioco. Il mio compito era quello di creare un gruppo, scegliendo gli uomini più adatti per quel tipo di percorso, ma poi dovevo confidare sulle gambe degli atleti. Ho sofferto molto il passaggio, ma non ho rimpianto di aver lasciato il ciclismo. Certo, vedere i ragazzi che indossano l’azzurro e il numero sul dorso, mentre io sono costretto a stare chiuso in macchina, nervoso, per 6 ore non è il massimo. Certamente ho preferito gli anni in cui ero io a pedalare.

Intervista di Tom Pullin

Garmin Fenix 3 HR. La prova

Per circa 2 mesi abbiamo avuto in prova  il Garmin Fenix 3 HR, lo abbiamo usato e strapazzato correndo, pedalando, facendo scialpinismo.

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foto di ©Federico Ravassard + Skialper

Ecco le nostre impressioni sul Garmin Fenix 3

Nulla a che vedere con il Garmin Fenix 2, il 3 si presenta completamente riprogettato nel design e nelle funzioni. Lo spessore della cassa è diminuito di  2 mm. con un innegabile miglioramento estetico. L’antenna GPS è integrata nella ghiera con grande miglioramento nella ricezione del segnale che ora è velocissima. Il quadrante a colori è nitido e molto bello, può essere personalizzato scaricando i vari sfondi, ma purtroppo non si può modificarne la luminosità. La cassa presenta, nella sua faccia a contatto con il polso, il lettore ottico di FC, la cui rilevazione  è precisa a riposo o quando si fanno attività con scarso movimento del polso, ma risulta inaffidabile durante le attività sportive. [visita il sito del costruttore]

Forte del suo design, il Garmin Fenix 3 HR si propone come uno smart watch altamente performante ma da portare sempre al polso. Infatti le funzioni che si scoprono usandolo sono davvero tante e coprono sia il monitoraggio della vita “normale” che sportiva.

Livestyle e sport monitor

Indossandolo tutto il giorno, lo strumento funziona da lifestyle monitor calcolando i passi fatti, le calorie consumate, dando il segnale di muoversi quando si sta seduti troppo a lungo, tenendolo al polso durante la notte, fornisce anche un’analisi sulla qualità del sonno ed inoltre ci sono test per la valutazione del recupero dopo allenamento. Ovviamente, sincronizzando via Bluetooth l’orologio con uno smartphone, compariranno sul display le chiamate ed i messaggi.

Usandolo per il monitoraggio delle attività sportive, è possibile personalizzare le pagine dati di ogni sport già codificato o aggiungerne di nuovi. Anche in quest’area, le funzioni sono infinite. Dalla traccia del percorso, ai tempi di recupero, dalla funzione di allenamento contro un avversario virtuale, chi più ne ha, più ne metta. Il Fenix 3 viene venduto in bundle con la fascia cardio, che sicuramente è consigliabile utilizzare per il monitoraggio della frequenza cardiaca e che è dotata di accelerometro per registrare le dinamiche di corsa. Questa funzione si è dimostrata molto interessante, l’accelerometro è sensibile al cambiamento dei tempi di appoggio e evidenzia bene le differenze tra spinta del piede dx e sin, un po’ più lento l’aggiornamento della velocità di corsa ai cambi di ritmo.

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Livestyle e sport monitor, Garmin Fenix 3 HR ©Ravassard

Durata della batteria

La batteria ha una buona durata per il 90% dei casi ma nelle gare di ultratrail è consigliabile passare alla modalità ultratrack e qui purtroppo si evidenziano delle lacune nella precisione della registrazione con grossi errori nel calcolo dei km. Nelle uscite in bici, abbiamo riscontrato grande velocità nelle variazioni di velocità. Da non dimenticare che Garmin si basa sulla trasmissione dati con  ANT + e che quindi può ricevere da contapedalate e misuratori di potenza che trasmettano con questo protocollo.

Connettività dati

Il Garmin Fenix 3, come già accennato, si collega al telefono e questo permette di scaricare i dati degli allenamenti e di controllare quelli relativi al lifestyle sulla relativa app che a sua volta sincronizza i dati sul sito Garmin Connect.

Il sito, pur presentando i dati degli allenamenti in maniera abbastanza chiara, non consente di rielaborarli per un’analisi più approfondita:  ad esempio non è possibile vedere i valori medi di FC, velocità, ecc. di un determinato tratto. Ciò sarebbe molto utile per meglio comprendere l’andamento di una performance e, nella fattispecie, analizzare la tendenza di alcuni parametri che potrebbero indicare affaticamento come quelli relativi alle dinamiche di corsa (tempi di appoggio al suolo, lunghezza della falcata).

La modalità di importazione delle tracce dal sito Garmin Connect è abbastanza semplice ma meno intuitiva di quella di Movescount Suunto ed il numero di itinerari disponibili, almeno nella zona di Torino, è abbastanza limitato.

Highlight

No, no, no

Garmin Fenix 3 HR

Conclusioni

Il Garmin Fenix 3 HR è adatto per Sportivi a 360° che amano prodotti tecnologici e che amano un prodotto altamente tecnologico e dal gradevole design.

Barazzuol, i segreti di un’ottima stagione

Buona la prima: nel ponte del 25 aprile si è conclusa la stagione di Filippo Barazzuol, scialpinista della Nazionale classe ’89 che quest’anno ha scelto di allenarsi con Vitalia. Il lavoro è cominciato in autunno (qui raccontiamo come) e proseguirà nell’estate: Barazzuol è anche un ottimo ciclista e con il caldo le sue salite continuano sulle due ruote. Prima però, un po’ di pausa e un bilancio sull’inverno.

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Torinese, classe ’89,  Il miglior risultato di “Pippo” Barazzuol, quest’anno, è il terzo posto agli Italiani Individuali

Fine della fatica. Bottino pieno?
Sì. Sono riuscito a replicare i risultati dello scorso anno e sono migliorato sul tecnico: ho reso di più. Con il terzo posto nei campionati italiani individuali ad Ahrntal mi sono tolto una bella soddisfazione.

Il clima ha reso tutto difficile.
Il calendario subiva continue modifiche ed era impossibile programmare la preparazione a lungo termine. Con Massarini abbiamo lavorato di settimana in settimana, anzi di giorno in giorno, modificando il piano in base al meteo e alle mie condizioni. Le valutiamo quotidianamente.

Numeri o sensazioni?
Usiamo un sistema di controllo della stanchezza. Quando mi sveglio indosso la fascia cardio e con una semplice app sul telefono effettuo una serie di test di prontezza, che monitorano lo stato di stress dell’organismo. Quindi Massarini scarica i miei dati, e insieme decidiamo che cosa fare: se non ho recuperato riposo, è inutile sovraccaricare.

E per gli allenamenti?
Uso Strava e Massarini dal suo pc analizza la mia prestazione. Così ogni giorno capiamo come sto rendendo e adattiamo su misura le sedute successive. Il confronto con lui è prezioso: ragiona dal punto di vista fisiologico e conosce la disciplina. Nello scialpinismo non esiste la figura del preparatore…

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Test, tecnologia e un confronto costante. Qui spieghiamo il piano di Vitalia per Barazzuol

Come facevi prima di appoggiarti a Vitalia?
Da solo. Ero seguito per la mountain bike: modulavo quella preparazione sullo sci alpinismo. Lavoravo su volume e intensità acquisiti in bici, per trasformare gli stimoli dalla Mtb allo scialpinismo. Invece con Massarini abbiamo deciso di concentrarci sull’intensità: il volume che faccio d’estate, sulle due ruote, va bene anche per l’attività sulla neve.

Sul fronte alimentazione?
Sono seguito da Ettore Pelosi, nutrizionista di Vitalia. Con lui effettuo periodicamente test bioimpedenziometrici, che rivelano peso e idratazione: più che i valori assoluti, studiamo i trend e l’andamento della stagione.

Sei anche tu del settore?
Sono un biologo. Sono cresciuto a Torre Pellice, ma da quest’anno lavoro e vivo a Mondovì: vicino alle montagne.

Sei in nazionale ma non sei un professionista?
La squadra conta 8 atleti, con un allenatore e i tecnici che ci aiutano per logistica e burocrazia. La maggior parte dei miei compagni appartiene ai gruppi militari. Io e un altro invece lavoriamo. Sono fortunato, però, ho orari flessibili.

barazzuol preparazione sci alpinismo

Giornata tipo?
Mattina in ufficio, nel pomeriggio sempre almeno un’oretta di allenamento: bici, skiroll e se ci sono le condizioni due uscite alla settimana con gli sci.

Niente corsa?
Non la amo. Mi piace solo la salita: in discesa ho male alle ginocchia e non sento la velocità, la mia passione.

Sulla neve la discesa è il tuo forte.
Ho praticato lo sci alpino: ho smesso perché non mi piaceva rimanere in pista. Così ho iniziato a girare fuori, era il 2008, l’anno delle grandi nevicate: poi nel 2010 le prime gare. Il mio passato è un vantaggio importante: come nella Mtb, anche nello scialpinismo servono tecnica e motore. È difficilissimo guadagnare un minuto in salita: in discesa invece è un attimo…

Com’è il livello degli italiani nell’ambiente?
Altissimo. In media, in una gara di Coppa del Mondo, cinque dei primi dieci sono azzurri.

Perché non se ne parla?
È uno sport in crescita, ma difficile da seguire. Per coinvolgere più spettatori si sta puntando sui Vertical e le sprint. Non mi piacciono, però, perché snaturano lo ski alp, che nasce come l’evoluzione dell’andare in montagna.

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Gli sponsor che sostengono Filippo sono Karpos, Movement, Scarpa, ATK, CAMP e Penta Power

Problema di cultura?
E tradizioni. Penso alla Pierra Menta: la manifestazione simbolo del movimento. Nel passaggio sul Grand Mont ci sono due ali di folla e 4 mila persone. Ma in quel paesino francese il calcio è meno importante dello scialpinismo…

Due gare che ti porti nel cuore?
Il Tris Rotondo in Svizzera: la più bella. E poi il Monterosa Ski Alp di due anni fa: la più emozionante. Tre ore di fatica giocate tutte su una salita di 30”.

Propositi per la prossima stagione?
Essere più costante in Coppa del Mondo. Mi focalizzerò su questo anche nella preparazione. Comincerò tra poco in bici!

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Intollerenze ed allergie alimentari: il grande caos

Che differenza c’è tra intolleranze ed allergie alimentari? Come si manifestano? Quante persone ne soffrono? Tutti ne parlano, ma pochi conoscono veramente il tema, così prevale il caos. Abbiamo chiesto al nutrizionista di Vitalia, Ettore Pelosi, di aiutarci a capire il problema.

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Di intolleranze ed allergie alimentari si sente parlare tanto e sempre più spesso. Ormai queste due parole sono entrate nel vocabolario comune se non giornaliero della maggior parte di noi: il passa parola, poi, aiuta ad aumentare il caos perché ognuno dice la sua, ha sempre un consiglio o una soluzione originale e, poiché nessuno sa davvero di cosa si stia parlando, la confusione regna sovrana… Così accade che non ci sia praticamente persona che almeno una volta non si sia posta il problema e non abbia provato ad eliminare un alimento piuttosto che un gruppo di alimenti dalla sua tavola ritenendoli responsabili di un peggioramento della propria salute.

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D’altra parte è verissimo che le intolleranze e le allergie alimentari rappresentano un problema di grande rilevanza che coinvolge una porzione ampia della popolazione e questo giustifica la grande attenzione che stanno ricevendo e il gran parlare che se ne sente fare. Un po’ meno giustificate alcune soluzioni fai da te, spesso piuttosto estreme: per supposte intolleranze, parecchie persone cominciano con l’escludere un alimento e poi giù giù in una reazione a catena che finisce col ridurle a mangiare pochissime cose …naturalmente senza alcun beneficio!

Certo, il tema è complesso, e orientarsi per la maggior parte delle persone, ma anche per il professionista, è piuttosto difficile. Abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza con poche semplici battute.

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Che cosa si intende per intolleranza e cosa per allergia? Qual è la differenza?
L’allergia alimentare è una reazione immuno-mediata che si determina nel momento in cui l’alimento viene ingerito. Viceversa, si parla di intolleranza alimentare quando la reazione non è provocata dal sistema immunitario.

Quante persone ne soffrono?
Le intolleranze sono più comuni delle allergie. A livello europeo si stima una prevalenza di reazioni avverse al cibo del 7,5% nei bambini e del 2% negli adulti; negli Stati Uniti si stimano un 8% di reazioni avverse al cibo nei bambini sotto i sei anni, con reazioni allergiche tra il 2 e 4%; la prevalenza negli adulti è stimata invece tra 1 e 2%.

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Quali sono le intolleranze e le allergie più comuni?
Le allergie più comuni sono quella alle proteine del latte vaccino (tipica dei bambini) e quella ai differenti tipi di noci (frequente per adulti e bambini). Tra le altre sono compresi alimenti come il pesce, i crostacei, l’uovo, i semi oleaginosi (come il sesamo, il girasole, il papavero), la senape, ecc., ma anche additivi alimentari e solfiti. Per quanto riguarda le intolleranze, al momento la medicina convenzionale ne ha accertati due soli tipi: quella al lattosio e quella al glutine (celiachia).

Quali sono i sintomi di intolleranza ed allergia?
La reazione allergica ad un alimento può presentarsi con sintomi molto differenti che coinvolgono alcuni organi/apparati come quello respiratorio (naso che cola / naso congestionato, tosse, starnuti, respiro affannoso), cutaneo (gonfiore di labbra, bocca, lingua, faccia, gola, rossore e prurito cutaneo, orticaria, eczema), gastroenterico (gonfiore, meteorismo, crampi, coliche, diarrea, nausea e vomito), oppure, nel peggiore e più eclatante dei casi, con lo shock anafilattico. L’intolleranza può provocare sintomi simili ad alcuni di quelli elencati: in particolare la nausea, il gonfiore, le coliche, la diarrea, le reazioni cutanee o dell’apparato respiratorio, ecc. ecc.

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Quali sono i test diagnostici?
Purtroppo, mancano procedure diagnostiche idonee e sono pochi i test che hanno una validazione scientifica. Per la celiachia è possibile testare la presenza di alcuni anticorpi, valutare l’HLA e fare la biopsia duodenale; per il lattosio c’è il breath test. Si possono utilizzare test di eliminazione, che prevedono di togliere dalla dieta un alimento per un periodo che di solito è di due settimane; poi se scompaiono i sintomi, si provvede alla sua successiva reintroduzione. Ci sono inoltre i test cutanei per valutare le allergie (prick test – per i quali si iniettano allergeni sotto-cute) e i RAST test (per i quali si usa il sangue del paziente).

In una realtà così complessa e, verosimilmente, in espansione, sicuramente sarà sempre più utile imparare a muoversi, prevenendo quando possibile con diete appropriate o, in caso di accertata intolleranza / allergia, imparando a scegliere molto accuratamente!

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A dieta con il BIA test

La bioimpedenziometria è una metodica poco conosciuta, ma di grande importanza nella pratica nutrizionale. Da alcuni mesi il nostro nutrizionista Ettore Pelosi la propone agli atleti e ai pazienti di Vitalia: ci spiega perché e come funziona. 

Filippo Barazzuol, skialper azzurro e atleta Vitalia, si sottopone al BIA test

 

Che cos’è la BIA

La bioimpedenziometria (BIA) fornisce dati quanti-qualitativi della composizione corporea, dell’idratazione e dello stato nutrizionale di un soggetto. Il suo uso negli ultimi anni è molto cresciuto, in quanto l’esame è effettuabile con una strumentazione portatile, non è invasivo né doloroso e i risultati sono rapidi da ottenere e riproducibili. Vari studi ne hanno dimostrato l’efficacia.

Come funziona il test

Prima della misurazione il paziente viene fatto sdraiare con gambe e braccia leggermente abdotte in modo che le braccia non tocchino il tronco e le cosce non si tocchino tra loro. Una volta posizionato il paziente e collegati gli elettrodi ai morsetti, si avvia lo strumento che fa passare una corrente impercettibile che, viaggiando lungo il corpo, incontrerà resistenze diverse a seconda della composizione dei vari distretti: il bioimpedenziometro ne registra le modificazioni. L’esame dura pochi secondi e non vi sono effetti avversi.

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Per dimagrire non basta la dieta. Occorre una valutazione con il BIA test

 

Valutare acqua totale, massa grassa e massa magra

Sulla base dei dati registrati il software calcola la TBW (acqua totale corporea) che rappresenta circa il 60% del peso corporeo di un uomo adulto (ha un valore maggiore nei bambini e minore nelle donne e negli obesi). Dalla TBW si può calcolare la FFM (massa magra corporea) costituita da muscoli, ossa, minerali ed altri tessuti non grassi e a sua volta composta da BCM (Massa Tissutale Attiva) e ECM (Massa Extracellulare). La FM (massa grassa corporea) viene calcolata per sottrazione tra peso e FFM ed è costituita dai tessuti adiposi esterni, identificati come grasso sottocutaneo, e da quelli interni o grasso viscerale (per approfondire c’è questo articolo).

Niente dieta senza Bia

Prima di intraprendere qualsiasi terapia dietetica è fondamentale eseguire un’analisi accurata della composizione corporea. Il BIA test consente di calcolare BCM, FM e TBW. Monitorando il loro andamento sarà possibile verificare l’adesione ed il successo della terapia/regime instaurato. Grazie all’analisi BIA è infatti possibile valutare se le variazioni del peso corporeo di un soggetto sono imputabili a perdita o aumento di acqua, oscillazioni di massa cellulare attiva o massa grassa. Ognuno di questi parametri si muove con tempi e modalità differenti: l’acqua può oscillare da un giorno all’altro anche di alcuni litri (ecco perché il nostro peso si modifica continuamente); la massa cellulare attiva può modificarsi di etti nell’arco delle 24 ore (diete mal pianificate causano rapide perdite di BCM con conseguente riduzione del metabolismo basale); la massa grassa, l’unica che davvero si vorrebbe modificare al ribasso, si riduce meno di 100 grammi al giorno (è impossibile monitorare con una bilancia una perdita o un aumento di massa grassa tra due giorni consecutivi!!).

Sportivi, un aiuto per allenarsi meglio

La BIA è indispensabile per gli atleti: permette di ottimizzare i programmi di allenamento, adattare il regime dietetico ai carichi di lavoro e mantenere lo stato di idratazione ideale per ottimizzare la performance sportiva. Per lo sportivo è importante controllare la BCM e le sue modificazioni durante l’allenamento, per evitare una loro diminuzione che si può avere in caso di sedute troppo intense o prolungate (overtraining), o di un regime alimentare inadatto al tipo di esercizio svolto (ne abbiamo parlato qui). Inoltre la BIA consente di valutare lo stato di idratazione, un parametro di grande rilevanza negli sport di resistenza dove una leggera disidratazione può provocare considerevoli cali della performance. Quando lo stato di idratazione pre-gara o pre-allenamento è ottimale esiste un rischio minore di disidratazione, di eventi traumatici muscolari e una maggiore velocità di recupero delle condizioni fisiche ottimali.

La BIA insomma è una strumento fondamentale per il nutrizionista: consente di verificare nei pazienti gli effetti di regimi alimentari e di tabelle sportive a livello di ogni compartimento, e di adattarli alle specifiche esigenze!

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