[message type=”info”] Speciale World Master Games – I campioni sono fatti così: si allenano tutti i giorni e trovano il tempo per famiglia, amici e lavoro. Costruiscono i risultati con tre “p”: passione, pazienza, perseveranza.

Le campionesse invece sono fatte così: mandano avanti la famiglia mentre si allenano tutti i giorni (anche due volte) e incastrano commissioni, amici e lavoro. Costruiscono i risultati con tre “m”: sono “mamme” e il resto è riscaldamento.

Cristina è una campionessa così. Quattro ori e un argento ai Wmg, un titolo italiano e molte altre medaglie in appena due stagioni master; la carriera nel canottaggio abbandonata a 25 anni e ripresa a 40: un sogno nel cassetto riscoperto e avverato accanto alla figlia… [/message]

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Hai portato tua figlia a remare e lei ha riportato te in barca. Com’è andata?

Un giorno l’ho accompagnata ad una gara. L’ho seguita, c’era un tramonto stupendo. Ho sentito un richiamo fortissimo, quel paesaggio mi ha aperto il cuore: dovevo ricominciare anch’io.

Hai un passato da ex?

Sì. Ho gareggiato dai 15 ai 25 anni con buoni piazzamenti a livello internazionale ed ottimi a livello italiano. Avevo iniziato per rinforzare la schiena; ho smesso quando sono mancate le soddisfazioni. Il ritmo era troppo alto e non ce la facevo più: volevo finire di studiare.

Diletta segue le tue orme?

Diletta ha cominciato senza ambizioni, poi ad un certo punto è scattata la molla: un po’ l’esempio delle sue compagne più forti, un po’ il gruppo, un po’ i primi piazzamenti… adesso non si perde un allenamento né una gara. Ha la stoffa, ma la strada è ancora lunghissima (lei ha solo 14 anni) e bisogna saper dosare le energie: il suo bel “sacrofuoco” che oggi brucia così intensamente, non si dovrà spegnere troppo presto!

Frequentate lo stesso circolo?

Siamo entrambe al Cus Torino di piazza Zara: avevo mandato lì mia figlia perché c’era (c’è!) il mio allenatore di vent’anni fa, Mauro Tontodonati, che è bravissimo. Si è subito trovata bene e poi mi sono inserita io, nel 2011.

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Da madre e da sportiva, quanto è importante la figura dell’allenatore?

Fondamentale. Lo capisco soprattutto ora: quando i figli sono adolescenti è normale che prendano le distanze dai genitori e cerchino anche altri esempi. A quell’età spesso si ha più confidenza e più fiducia in un altro adulto piuttosto che in mamma e papà: quello che conta è che i principi passino! Sono contenta che mia figlia cresca circondata da belle persone in un ambiente sano: alcool, droga, eccessi in discoteca, sono vizi non compatibili con un’attività quasi professionistica.

Lo sport è scuola di vita?

Senza dubbio. L’agonismo ha un valore: s’impara a soffrire e a stringere i denti per un obiettivo. Sono virtù che hanno in pochi. Oggi domina la cultura del “tutto facile” e del “tutto subito”. Lo sport educa al contrario: tempo e dedizione, fatica e sacrificio, testa e sguardo al futuro. Nel canottaggio poi, se semini adesso magari raccoglierai tra dieci anni.

Tu hai raccolto in abbondanza!

L’attività giovanile mi ha lasciato un’ottima base: quando ho ripreso è stata dura ma sono migliorata tanto e in fretta. E poi le nuove regole mi hanno aiutata: una volta con le categorie uniche le più esili correvano contro le più massicce, sulle stesse barche. Quelle come me erano chiaramente penalizzate, mentre le atlete più vigorose come le nord europee erano sempre davanti. Oggi mi confronto con i pesi leggeri (max 59 kg) e devo stare attenta alla dieta!

E hai una barca tutta tua.

Sì, adattata in ogni dettaglio su di me. E poi, non più in legno, ma in fibra: con la stessa fatica sono molto più veloce!

Ai WMG sei stata un fulmine. Seconda nel quattro di coppia del 7 agosto, poi prima per quattro volte: nel singolo del 8, nel doppio del 9, ieri nelle gare miste sia nel doppio che nel quattro di coppia. Come ti senti?

Sono davvero contenta. Il mio obiettivo era eguagliare i tempi degli allenamenti di questi mesi. Di solito patisco la gara – per esempio mi blocco e sbaglio la respirazione- e rendo meno rispetto al mio potenziale.

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È più forte la Cristina di oggi o quella di vent’anni fa?

Difficile stabilirlo. Certamente la mia attività di master è più gratificante. E poi mi alleno meglio: allora ero una delle poche donne, spesso ero da sola, non c’era attenzione né cura del settore femminile. Era sottovaluto e invece oggi le ragazze sono numerosissime. Al Cus abbiamo un gruppo meraviglioso, e io faccio un po’ da sorella maggiore alle nostre piccole.

Vitalia è in festa per i tuoi successi!

Mi sono trovata benissimo con il dott. Massarini. Sono andata da lui per la visita agonistica, mi ha fatto notare che avevo uno squilibrio, il mio corpo era sbilanciato. Ho lavorato in palestra con Eva e Claudia, su esercizi che non avevo mai provato prima. Ho rinforzato il core, la schiena e in generale il mio fisico: sono movimenti a corpo libero molto armonici. L’idea di fondo è che bisogna potenziare in modo uniforme tutti i muscoli e non solo alcuni. Con Massimo poi abbiamo rivisto il mio programma atletico: meno corsa e più resistenza specifica, un canottiere deve costruire il fiato vogando!

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All’estero ci si allena così da anni.

Gli inglesi e gli svizzeri sono all’avanguardia. Spendono un sacco di soldi per i ritiri e partono con veri e propri tir: prima di Londra sono venuti a Varese. Si sono portati dietro tonnellate di attrezzatura… Inutile sottolineare quanto investano sulla ricerca. Quella italiana invece è una federazione poverissima, che non riesce a guardare al futuro (complice il Coni che non dà finanziamenti). Nella preparazione fisica, ad esempio, siamo fermi a convinzioni ormai datate: gli atleti azzurri sono sottoposti a sessioni massacranti affinché arrivati a una certa soglia di stanchezza procedano per inerzia. Sono tecniche che non mi convincono più. E poi il metodo Vitalia per ora ha dato i suoi frutti!

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Oggi ci sarà la cerimonia di chiusura dei WMG. Qual è il tuo bilancio sulla manifestazione?

È stata una festa dello sport, il clima era piacevolissimo. Dispiace però che la città non abbia colto fino in fondo l’occasione: sono spuntate le pubblicità dieci giorni prima dell’apertura, tant’è che non solo i residenti ma persino i negozianti sono cascati dalle nuvole. Penso a Varese, dove tra poco ci saranno i mondiali: da un anno le vie sono invase dagli striscioni. Per me invece è stata un’emozione straordinaria e una conferma: negli sport di resistenza come il canottaggio l’età (e quindi l’esperienza) può essere un plus. Si può competere ad alto livello ancora passati i 40 anni!

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Clicca qui per leggere le altre interviste dello Speciale WMG:

“La dura vita di un campione normale”

“Quella volta mi sono innamorato”

Massimo Massarini è specialista in Medicina dello Sport. In qualità di responsabile medico ha partecipato alla  America’s Cup 1987 e 1992 e ha lavorato presso Technogym nella progettazione di attrezzature per la valutazione e l’allenamento. Nel 2005 ha aperto a Torino “Vitalia”, una società orientata al benessere ed alla prevenzione attraverso l’attività fisica.

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Dottor Massarini, qual è la condizione atletica dei giovani torinesi?

I miei pazienti sono quasi tutti agonisti quindi il mio giudizio riguarda solo uno spaccato dei cosiddetti “sportivi”. Registro una scarsa preparazione fisica generica: i ragazzi oggi si specializzano sin dall’infanzia in  una disciplina ma trascurano i gesti fondamentali (correre, saltare, strisciare, arrampicarsi, rotolare…), che si dovrebbero allenare in maniera naturale attraverso il moto spontaneo. Questa carenza è il risultato della sedentarietà a cui li abbiamo abituati, complici il contesto urbano in cui crescono e le ossessive apprensioni dei genitori. Per stare bene un adolescente deve condurre una vita il più possibile attiva e sana (camminare, giocare all’aperto, correre, sfogarsi ogni giorno, in più momenti e per più di mezz’ora in tutto), non bastano i tornei di tennis o le gare di sci.

Scuola e salute: prevenire o curare?

La scuola ha il compito di educare i ragazzi e quindi deve dare loro anche insegnamenti sulla salute. Servono innanzitutto misure concrete: più intervalli nella mattinata, distribuzione delle ore di educazione fisica in due giorni diversi (in modo da garantire a tutti un minimo di due occasioni per muoversi alla settimana), maggior insistenza sull’importanza di colazione e merenda (il cervello è una macchina e funziona a zuccheri, se non ne riceve il suo rendimento cala). Una volta presi questi accorgimenti, e solo allora, possiamo aggiungere le lezioni su droghe, alimentazione e tabagismo.

Qual è la ricetta per un buon corso di educazione fisica?

Gli studenti devono consolidare l’apprendimento della motricità di base: ai docenti il compito (arduo!) di seguire programmi adattabili ai diversi livelli atletici degli allievi. Quanto ai test, credo che la lezione vada intesa come un tempo per l’allenamento e che il professore dovrebbe valutare i progressi del singolo ragazzo durante l’anno (non giudicarne le prestazioni con una tabella di riferimento). Infine mi sembra necessario rivedere l’aspetto teorico della materia integrando lo studio delle scienze motorie con alcuni elementi di medicina di base. Penso ad una collaborazione stretta tra professori di educazione fisica  e di scienze, per rendere più interessanti e concrete entrambe le discipline: perché non utilizzare qualche ora di ginnastica per approfondire l’anatomia umana? La palestra è un luogo privilegiato per verificare con l’esperienza i meccanismi del nostro corpo.

Campioni in bilico tra libri e pallone: come trovare l’equilibrio giusto? 

Facciamo chiarezza: i potenziali “campioni” sono quegli atleti che gareggiano, in età scolare, a livello nazionale. Il discorso per loro è molto complesso (ci sono sport incompatibili con una frequenza regolare delle lezioni), ma rappresentano una minoranza. Per tutti gli altri agonisti l’impegno è massiccio e quotidiano ma può essere coniugato con uno studio serio e regolare. Non c’è antitesi: la competizione con i sacrifici che comporta è uno stimolo prezioso per la crescita di un adolescente ed è molto più formativa della pratica amatoriale (la gara è una fine metafora della vita). Quindi è grave che scompaiano i gruppi sportivi e si riempiano le palestre, come sta accadendo: la sala pesi fine a se stessa è una prediscoteca, dove ci si allena esclusivamente per essere più belli. Tocca alla scuola limitare i danni della civiltà dell’estetica: c’è differenza tra un sabato sera di sbronze e una sveglia all’alba per gareggiare. Almeno sul piano morale gli atleti diligenti vanno premiati, incoraggiati ed elogiati come esempio per i compagni.

 

Articolo tratto da Lucia Caretti, “Scienze motorie e salute” in “Il nostro tempo”, Domenica 25 dicembre 2011, Anno 66, num. 45, pg. 17.