Si chiude in queste settimane la stagione sci-alpinistica. E’ il tempo delle grandi classiche: a marzo si sono disputati Pierra Menta e Tour du Rutor e per conoscere i vincitori del circuito della Grande Course si attende l’ultimo appuntamento, la Patrouille de Glaciers del 2-3 maggio. Intanto in questi giorni Sky Sport sta riproponendo le immagini del Tour du Rutor: c’è tempo tutta la settimana per vedere lo speciale di Icarus 2.0 e Odeon (gli orari qui).

Foto sopra: Pierra Menta edizione 2013

Il Tour du Rutor di cui avevamo parlato nelle scorse settimane si è confermata una gara straordinaria per bellezza dei percorsi ed eccellenza dell’organizzazione. Come al solito, i migliori hanno trionfato: il duo Eydallin-Lenzi tra gli uomini e Roux-Mathys tra le donne. A detta dei partecipanti, il tracciato si è rivelato estremamente tecnico, con lunghi tratti in cresta, ripidi canali da salire e da scendere, parecchi cambi di assetto e 7000 metri di salite nelle 3 tappe.

Tutto è comunque filato liscio sotto la mano sicura del direttore Camandona che ha portato questa manifestazione ai vertici mondiali.

Uno scatto del Tour

Anche Vitalia ha gareggiato, o meglio abbiamo avuto un portabandiera: Riccardo Bertolino, imprenditore e padre di famiglia, classe ’67, ha seguito i metodi di preparazione del nostro centro per ottimizzare la sua preparazione al Tour. Si è allenato principalmente all’alba per poter coniugare lo ski-alp con gli impegni lavorativi e famigliari e con il suo compagno Raffaele Francone è arrivato a circa metà classifica: un risultato straordinario per un amatore. Gli abbiamo chiesto com’è andata.

Già l’anno scorso avevo concluso l’Adamello Ski Raid e il Mezzalama, tutte gare di scialpinismo che fanno parte del circuito della Grande Course, che racchiude le più importanti gare a livello internazionale. Il Tour del Rutor è stata un’esperienza esaltante: tre tappe (da venerdì a domenica), ogni giorno un percorso diverso con 7000m di dislivello positivo, 25 cambi d’assetto, 53 km di sviluppo (26km di sola salita), 3km di creste e canali a 3000 metri di quota, una gara davvero extrême. Ma soprattutto tre giorni in cui ho vissuto appieno l’atmosfera agonistica e di vera montagna. Tre giorni in cui ho messo alla prova cuore, polmoni, muscoli, testa e ogni singola cellula del mio corpo. L’incognita era l’affaticamento accumulato dopo la prima e la seconda tappa: per questo con il Dott. Massarini abbiamo lavorato ad un programma specifico mirato al miglioramento del rendimento sul lungo. L’allenamento con il cardiofrequenzimetro, in base ai parametri misurati nei test in laboratorio, e la condivisione settimanale dei dati dell’allenamento attraverso il portale online dedicato del mio orologio (scopri come funziona), si sono rivelati fondamentali, così come la strategia di alimentazione e idratazione in tutte le fasi, sia in gara che nel prima e nel dopo. Ebbene sì, sono un “ingegnere” e il metodo e la costanza, unite alla passione per la montagna non mi sono mancati!

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Nello sport più arrivi in alto più e più è difficile gestire le situazioni. I grandi atleti chiedono la massima professionalità e discrezione, collaborano con poche persone e di fiducia. Si deve saper dire la parola giusta e non dire quella sbagliata; esserci quando serve e diventare invisibili quando è ora. È l’errore di molti colleghi, pur bravi: durano poco perchè non sanno dominare l’aspetto emotivo e parlano a sproposito”.

Devi saper riconoscere le occasioni: “devi”, non puoi sbagliare. Il tempo, il luogo, quel tempo, quel luogo…“in certi ambienti” si annusano. “Bisogna avere la capacità di starci, in certi ambienti”.

Fabrizio Borra

Fabrizio Borra è uno dei fisioterapisti più stimati in Italia, da venticinque anni: “arrivare in alto è dura, ma io sono stato fortunato e ho fatto in fretta. Il problema è rimanerci: basta un errorino per precipitare. Ci si deve aggiornare continuamente”. Fabrizio è un osservatore, uno che guarda da tutta la vita: suo fratello maggiore già fisioterapista, poi gli americani innovatori, i cestisti di Forlì, i ciclisti in salita, le Ferrari in giro per il mondo. Quello che impara sperimenta, su muscoli d’oro: quelli del cecchino Bob McAdoo, di Pantani, Cipollini, Basso, Fernando Alonso, Fiorello, Jovanotti. Dal 1988 studia i campionissimi:

Gli atleti devono esasperare il loro corpo, farlo rendere al 110%. Devono andare al limite di loro stessi: è un obbligo. È lì che li accompagno.

Fabrizio, “Fisiology” è un centro frequentato da persone normali e olimpionici. Come conciliate esperienze così lontane?

Abbiamo un presupposto tecnico preciso: il metodo per trattare il mio vicino di casa e l’atleta professionista è lo stesso. Cambia il dosaggio. La persona normale parte da un basso grado di disabilità, dovuto ad una patologia, e deve recuperare la capacità di svolgere le sue attività quotidiane; l’atleta vuole guarire e migliorare la sua performance. Il razionale è uno solo: sono diversi gli obiettivi. Per portare in alto l’atleta devo trovare soluzioni innovative: se l’esperimento funziona ho una nuova tecnica con cui aiutare gli altri pazienti. In questo modo sono sempre stimolato a fare ricerca e offro trattamenti d’avanguardia.

Concretamente, di che cosa ti occupi?

Sono un fisioterapista, non un preparatore, non un medico. Nel mio centro ci sono questi profili, ma ognuno fa la sua parte: io curo la salute a livello fisioterapico. A seconda delle circostanze devo declinare il mio ruolo, ma la premessa è comune: un atleta è come una macchina da corsa (una persona comune è un’auto stradale) e gli aspetti strutturale, scheletrico, muscolare, tendineo costituiscono la meccanica della macchina; la prestazione è il motore; la testa è la centralina, su cui posso agire in due modi: neuromuscolare e psicomotivo. Posso seguire la macchina a 360°, com’era con Pantani ed ora è per Alonso; oppure valutare solo la carrozzeria e il bilanciamento: per i ciclisti, ad esempio, mi limito alla biomeccanica posturofunzionale. Poi tocca al preparatore atletico agire sulla performance.

La tua giornata tipo?

La mia base è “Fisiology” a Forlì e viaggio per alcuni pazienti. Pantani e Alonso mi chiedevano un impegno di 250 giorni l’anno: un ritmo troppo intenso, per me, oggi! Proprio per questo ci dividiamo i compiti con suo cognato Edoardo Bendinelli.

Fabrizio con Alonso

Segui Alonso da dodici anni. Com’è cresciuto?

Aveva diciott’anni quando ci siamo conosciuti: era un ragazzino. Ha capito che il rapporto poteva svolgersi non solo sul piano fisioterapico ma anche su quello umano. Abbiamo creato un’équipe di specialisti con cui interagire a seconda delle necessità: gli atleti come lui preferiscono relazionarsi con un unico riferimento. Il legame si è stretto e alla stima si è aggiunta l’amicizia.

Come si allena un pilota di Formula 1?

Ha due esigenze: innanzitutto deve avere tutte le capacità di base portate verso l’alto, come la forza e la capacità cardiovascolare. È facile con Fernando: gli piacciono tutti gli sport e non sta mai fermo. Ma un atleta come lui ha sempre bisogno dello stimolo della competizione: con gli altri o con se stesso, dev’esserci la componente agonistica. Gioca a calcio, nuota, corre e va tanto in bici (15mila km all’anno): gli è molto utile il ciclismo perché impara a gestirsi (deve tornare a casa: anche dopo 130 km!) e le strutture sono in scarico. La seconda caratteristica da affinare è la capacità di controllo neuromuscolare per combattere la forza centrifuga. Le monoposto sono pezzi di carbonio lanciati sull’asfalto: le sollecitazioni sulla colonna sono spaventose e bisogna investire molte energie sulla funzionalità globale e sull’addestramento delle abilità.

E le sollecitazioni al collo sono ancora un problema?

Le macchine sono cambiate rispetto a cinque anni fa, quando faticavano soprattutto le braccia e il collo. Oggi è cambiata l’aderenza e grazie all’idroguida il volante si governa con un dito. I nuovi mezzi richiedono una straordinaria lucidità mentale: bisogna memorizzare gli schemi e abbassare i tempi di reazione. Non c’è tempo per pensare in Formula 1, quando lo fai è già tardi. Le manovre vanno sottocorticalizzate, cioè l’impulso deve essere immagazzinato nella parte più profonda del cervello perchè diventi un automatismo: l’unico sistema è ripetere i gesti sui simulatori.

Anche il ciclismo ti ha dato soddisfazioni.

Sono stati da me molti dei migliori degli ultimi anni: Cipollini, Basso, Bettini, Cancellara, Bennati… Ma l’esperienza più forte della mia vita ha un nome ed un cognome: Marco Pantani.

Marco Pantani

18 ottobre 1995, Milano-Torino: frattura di tibia e perone frammentaria esposta.

Fu la mia più grande scuola. Lo rieducai grazie a quanto appreso in America e ad un delicato lavoro multidisciplinare: coordinai una squadra di esperti per rimetterlo in sella. Tornammo in alto, all’apice del successo: vinse il Giro e il Tour, ci sembrò di sfiorare la punta del cielo. Poi il crollo: aveva toccato il fondo. Non ci fu modo di aiutarlo, la crisi lo portò all’autodistruzione. In dieci anni accompagnare il tuo atleta dal cielo al cimitero: sono cose che ti porterai dentro.  È stata una lezione durissima.

Le tue mani hanno massaggiato i più forti. Che cosa c’è nel corpo di un campione?

Un fisico allenato dall’infanzia e poi testa e talento. Un buon atleta ha un buon talento e una buona testa. Un campione ha un grande talento e una grandissima testa.

Che cosa pensi dei mental coach?

Secondo me un vero campione non ne ha bisogno: non può essere dipendente – a livello mentale – di un altro.  È giusto che i giovani siano aiutati a crescere in fretta anche nella psicologia e nell’emotività, ma ad un certo punto bisogna saper fare da sé: il campione ce l’ha dentro, il mental coach. Non ha bisogno di sostituirlo ogni due anni… In alcuni momenti specifici può farsi aiutare, ma dev’essere padrone di se stesso: sarà la sua determinazione a fare la differenza.

I tuoi “numeri uno” non sono solo atleti, ma anche uomini dello spettacolo. Perché vengono da te?

Ho cominciato con Jovanotti nel ’97, mi chiese qualche dritta per preparare la sua tournée. I suoi concerti sono molto fisici, si muove come un matto, le date sono vicine e non ha un attimo di tregua: doveva imparare a recuperare in fretta. La collaborazione continua ancora oggi. Fu un amico comune a presentarmi Fiorello, che non riusciva a superare un dolore alla spalla. Anche con lui la relazione si è consolidata: su Twitter mi aveva definito come il suo “ansiolitico”.

Jovanotti scatenato sul palco

Come sei arrivato fin qui?

Ho iniziato per colpa del mio ginocchio: ero stato operato ma non riuscivo a riprendermi. Mio fratello aveva una palestra a Brescia (la mia città) e andavo da lui per la rieducazione: volevo capire perché il ginocchio non funzionasse. Dovevo ancora finire le superiori. Mi appassionai e decisi di iscrivermi al corso di massiofisioterapia. Mio fratello mi permise di fare pratica mentre studiavo e questo mi diede una marcia in più.

Mister Maifredi ti volle subito al suo fianco.

Dopo poco. La mia fortuna fu che a quel tempo il Brescia aveva due squadre (calcio e basket) nelle massime serie. Ebbi da subito contatti con i rispettivi massaggiatori e imparai tantissimo. Poi Maifredi mi prese “in custodia” per alcune fortunate avventure: tra queste le stagioni con Ospitaletto (C2) e Bologna (B). Anche un amico che correva in macchina, Alex Caffi, mi volle con sé quando approdò in Formula 1. Intanto continuavo con la pratica da mio fratello ed era nato mio figlio: mia moglie mi voleva a casa, viaggiavo tropp

Il segreto era cambiare casa!

Mi chiamarono a Forlì, nel 1990. Era arrivato dall’America il giocatore più forte del momento, veniva a chiudere la carriera da noi e voleva un terapista: era Bob McAdoo, stella dei Lakers, che avrebbe dato una svolta alla mia formazione. Mi diceva: “Tu sei un buon trainer – l’equivalente della mia figura in NBA- ma devi andare in America!”.

Sei salito su un aereo?

Non me lo potevo permettere! A fine anno mi regalò lui i biglietti per Los Angeles, e una spinta per un tirocinio con i Lakers. Con il suo nome si aprirono le porte, ma c’era spazio solo per un apprendista-tuttofare: ci andai d’estate, per la Summer League. Al mattino stavo in clinica, il resto della giornata con la squadra. Portavo le borracce, gli asciugamani, pulivo i parquet. Tornai per diverse estati, nel frattempo era nata un’amicizia straordinaria con Gary Vitti, il trainer dei Lakers (ormai, dopo vent’anni, è diventato il mio “fratello” americano) ed era lui ad ospitarmi.

Gary Vitti con Bryant

Gli americani erano più bravi?

Nella traumatologia erano e sono tra i migliori al mondo. Allora poi i loro libri non si trovavano in Italia e venivano tradotti dopo tre o quattro anni, quando loro avevano già inventato nuove tecniche. L’unico modo per essere aggiornati, prima di Internet, era andarci.

In quello spogliatoio c’era gente tipo Magic Johnson…

Era il posto più bello del mondo per uno del mio mestiere. Pur di rimanerci ero disposto a tutto. Non mi sono mai pesati i lavori umili, non mi sono mai vergognato. Oggi i neolaureati sono tutti dottori, nessuno ha voglia di sporcarsi le mani: ma la gavetta è un passaggio fondamentale!

A che punto è la fisioterapia in Italia?

All’estero ci sono una cultura e un know how che noi ci sogniamo: qui siamo fermi ai protocolli. Ai convegni io spiego il razionale, non l’esercizio: invece i rieducatori italiani vogliono gli esercizi. Ecco il nostro limite: l’esercizio si misura sul paziente, non esistono protocolli. Nella mia ottica il paziente ha un percorso soggettivo: rispetto i tempi che mi dà il chirurgo e divido il percorso in fasi, come delle tappe. Passo alla successiva solo quando si è raggiunto il traguardo della precedente. Controllo le risposte del paziente e formulo gli esercizi ad hoc: devo capire ogni giorno di che cosa ha bisogno. Oggi pochi hanno voglia di pensare…

Anche tu fai parte del Team Technogym Ability Training, insieme al dott. Massarini. Dove volete arrivare?

Siamo un gruppo di professionisti che si sono tolti le loro soddisfazioni e ora vogliono provare a cambiare le cose, con una rivoluzione culturale: noi crediamo il movimento sia costituito dalle abilità di base, quindi ogni allenamento deve essere strutturato per migliorarle. Dopo un infortunio è necessario recuperarle tutte. Anche Massarini ne è convinto – del resto collaboriamo da una vita – e il metodo Vitalia è lo stesso che uso io. La mia rieducazione è più esercizio che lettino (per il 90% dei colleghi essa è esclusivamente lettino): l’esercizio è la soluzione alla maggior parte dei problemi!

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Davide Canavesio, CEO Saet Group, ex Presidente Gruppo Giovani Industriali, anima di Rena, Yes4To, Torino Strategica, imprenditore vulcanico ed esplosivo motore del cambiamento torinese, ci racconta la sua prima maratona di New York. Preparata in due mesi di telefonate con Vitalia nei i ritagli di un’agenda fitta fitta; nel cuore la Grande Mela e una convinzione: le idee hanno bisogno di correre. Ed arrivare al traguardo. Davide Canavesio

Azienda, associazioni, fidanzata, amici. Vivi di corsa o corri da sportivo?

Sono cresciuto giocando a calcio e a tennis, mi piace sciare: in generale ho un ottimo rapporto con la fisicità. Mi sono sempre considerato uno sportivo ma purtroppo il mio lavoro adesso mi lascia pochi spazi per allenarmi: mi è rimasto il golf, che almeno mi costringe a camminare tanto.

Ti piacciono gli sport individuali.

Sì. Sono sempre in mezzo alla gente e nel golf devi stare con te stesso, in silenzio e con concentrazione altissima. Mi aiuta a svuotare la mente e compensare un po’. Come la corsa.

Qual è il tuo percorso di podista?

Ho appena cominciato: lo scorso anno mi sono iscritto alla maratona di NY. Partivo da zero. Mi sono allenato, sono salito su un aereo, l’hanno annullata e sono tornato indietro. Allora mi sono iscritto a quella di Torino e ho concluso i miei primi 42 km in 4h16′. Poco dopo ho smesso di correre e ho riniziato il 2 settembre: ho un appuntamento in sospeso con NY!

Si può preparare una maratona in due mesi?

Non ho velleità agonistiche: la mia unica sfida è arrivare al traguardo. Vorrei capire se posso finirla! E poi godermi la festa: vado con la mia fidanzata e alcuni amici. Sono giorni di riposo e famiglia.

Come ti sei allenato?

Ho passato due mesi di vita religiosa: niente alcool, niente Toscanelli (i miei amati sigari), nutrizione rigorosa. Solo per la maratona si possono fare sacrifici così!

Che sostegno ti ha dato Vitalia?

Con il dott. Massarini abbiamo pensato un piano di sedute da adattare ogni giorno in base ai miei impegni. Mi sono limitato alla corsa perchè non avevo abbastanza tempo per integrarla con la ginnastica. Prima di cominciare mi sono sottoposto a un test del lattato, poi ho corso 3-4 volte alla settimana tra gli 8 e i 12 km in maniera diversa. Nei week end mi sono tenuto i lunghi, in una serie crescente da 12 a 30 km: 12, 16, 20, 26, due volte i 28, poi i 30 due settimane fa. Da allora la fase di scarico, con qualche sgambata ma nulla di più. Il dott. Massarini ha seguito i miei progressi grazie alla piattaforma Garmin Connect.

Cioè?

Dopo ogni corsa caricavo i dati del mio Garmin sul mio profilo e li condividevo con Massarini. Così lui poteva analizzarli e modificare il programma ad hoc. E’ nata un’ottima collaborazione: ci siamo sentiti al telefono quasi quotidianamente, senza bisogno di incontrarci!

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Che cosa farai da lunedì?

Mi riprometto di continuare a correre!

Ti sei occupato di giovani per l’Unione Industriale e continui a farlo in altre realtà. Quanto conta lo sport nella formazione di un ragazzo?

Credo che abbia ancora una funzione educativa. E’ fondamentale sia nella crescita sia quando da adulti bisogna imparare a districarsi tra mille cose. Lo sport insegna la disciplina: una marcia in più per i ventenni che oggi sono in difficoltà a causa della crisi. E poi non è solo svago, è un’occasione per cambiare prospettiva: soprattutto nei momenti complicati trovare quell’ora per stare in pace con se stessi serve a liberare la testa…

Torino sarà capitale dello sport nel 2015. Da imprenditore, che cosa vorresti per la tua città?

Torino ha vissuto i fasti con le Olimpiadi, ma adesso bisogna dare continuità. Non bastano i singoli eventi: bisogna costruire un circuito di iniziative, un “sistema sport” che proponga un’offerta sempre interessante. Vedo che nel settore running qualcosa si muove, ma manca un progetto integrato. Si scelga un filone e si provi a svilupparlo a 360°, nelle sue varie fasi. Un po’ come si sta facendo con il cinema: dal museo al TFF, alle riprese, alla post produzione: turisti e imprese hanno motivi per visitarci e investire! Guardiamo al modello newyorkese: si sono specializzati nel settore e oggi la maratona muove centinaia di migliaia di persone.

Che ricordo hai di Torino 2006?

Lavoravo all’estero e sono tornato apposta per andare allo stadio alla cerimonia d’apertura dei Giochi. La cosa che mi ha stupito più di tutto? I volontari che ti abbracciano. I volontari delle Olimpiadi sono migliaia di cittadini, tra cui tantissimi giovani, che si impegnano gratis per un progetto. Che bello vedere una cittadinanza attiva!

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[message type=”info”] Speciale World Master Games – I campioni sono fatti così: si allenano tutti i giorni e trovano il tempo per famiglia, amici e lavoro. Costruiscono i risultati con tre “p”: passione, pazienza, perseveranza.

Le campionesse invece sono fatte così: mandano avanti la famiglia mentre si allenano tutti i giorni (anche due volte) e incastrano commissioni, amici e lavoro. Costruiscono i risultati con tre “m”: sono “mamme” e il resto è riscaldamento.

Cristina è una campionessa così. Quattro ori e un argento ai Wmg, un titolo italiano e molte altre medaglie in appena due stagioni master; la carriera nel canottaggio abbandonata a 25 anni e ripresa a 40: un sogno nel cassetto riscoperto e avverato accanto alla figlia… [/message]

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Hai portato tua figlia a remare e lei ha riportato te in barca. Com’è andata?

Un giorno l’ho accompagnata ad una gara. L’ho seguita, c’era un tramonto stupendo. Ho sentito un richiamo fortissimo, quel paesaggio mi ha aperto il cuore: dovevo ricominciare anch’io.

Hai un passato da ex?

Sì. Ho gareggiato dai 15 ai 25 anni con buoni piazzamenti a livello internazionale ed ottimi a livello italiano. Avevo iniziato per rinforzare la schiena; ho smesso quando sono mancate le soddisfazioni. Il ritmo era troppo alto e non ce la facevo più: volevo finire di studiare.

Diletta segue le tue orme?

Diletta ha cominciato senza ambizioni, poi ad un certo punto è scattata la molla: un po’ l’esempio delle sue compagne più forti, un po’ il gruppo, un po’ i primi piazzamenti… adesso non si perde un allenamento né una gara. Ha la stoffa, ma la strada è ancora lunghissima (lei ha solo 14 anni) e bisogna saper dosare le energie: il suo bel “sacrofuoco” che oggi brucia così intensamente, non si dovrà spegnere troppo presto!

Frequentate lo stesso circolo?

Siamo entrambe al Cus Torino di piazza Zara: avevo mandato lì mia figlia perché c’era (c’è!) il mio allenatore di vent’anni fa, Mauro Tontodonati, che è bravissimo. Si è subito trovata bene e poi mi sono inserita io, nel 2011.

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Da madre e da sportiva, quanto è importante la figura dell’allenatore?

Fondamentale. Lo capisco soprattutto ora: quando i figli sono adolescenti è normale che prendano le distanze dai genitori e cerchino anche altri esempi. A quell’età spesso si ha più confidenza e più fiducia in un altro adulto piuttosto che in mamma e papà: quello che conta è che i principi passino! Sono contenta che mia figlia cresca circondata da belle persone in un ambiente sano: alcool, droga, eccessi in discoteca, sono vizi non compatibili con un’attività quasi professionistica.

Lo sport è scuola di vita?

Senza dubbio. L’agonismo ha un valore: s’impara a soffrire e a stringere i denti per un obiettivo. Sono virtù che hanno in pochi. Oggi domina la cultura del “tutto facile” e del “tutto subito”. Lo sport educa al contrario: tempo e dedizione, fatica e sacrificio, testa e sguardo al futuro. Nel canottaggio poi, se semini adesso magari raccoglierai tra dieci anni.

Tu hai raccolto in abbondanza!

L’attività giovanile mi ha lasciato un’ottima base: quando ho ripreso è stata dura ma sono migliorata tanto e in fretta. E poi le nuove regole mi hanno aiutata: una volta con le categorie uniche le più esili correvano contro le più massicce, sulle stesse barche. Quelle come me erano chiaramente penalizzate, mentre le atlete più vigorose come le nord europee erano sempre davanti. Oggi mi confronto con i pesi leggeri (max 59 kg) e devo stare attenta alla dieta!

E hai una barca tutta tua.

Sì, adattata in ogni dettaglio su di me. E poi, non più in legno, ma in fibra: con la stessa fatica sono molto più veloce!

Ai WMG sei stata un fulmine. Seconda nel quattro di coppia del 7 agosto, poi prima per quattro volte: nel singolo del 8, nel doppio del 9, ieri nelle gare miste sia nel doppio che nel quattro di coppia. Come ti senti?

Sono davvero contenta. Il mio obiettivo era eguagliare i tempi degli allenamenti di questi mesi. Di solito patisco la gara – per esempio mi blocco e sbaglio la respirazione- e rendo meno rispetto al mio potenziale.

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È più forte la Cristina di oggi o quella di vent’anni fa?

Difficile stabilirlo. Certamente la mia attività di master è più gratificante. E poi mi alleno meglio: allora ero una delle poche donne, spesso ero da sola, non c’era attenzione né cura del settore femminile. Era sottovaluto e invece oggi le ragazze sono numerosissime. Al Cus abbiamo un gruppo meraviglioso, e io faccio un po’ da sorella maggiore alle nostre piccole.

Vitalia è in festa per i tuoi successi!

Mi sono trovata benissimo con il dott. Massarini. Sono andata da lui per la visita agonistica, mi ha fatto notare che avevo uno squilibrio, il mio corpo era sbilanciato. Ho lavorato in palestra con Eva e Claudia, su esercizi che non avevo mai provato prima. Ho rinforzato il core, la schiena e in generale il mio fisico: sono movimenti a corpo libero molto armonici. L’idea di fondo è che bisogna potenziare in modo uniforme tutti i muscoli e non solo alcuni. Con Massimo poi abbiamo rivisto il mio programma atletico: meno corsa e più resistenza specifica, un canottiere deve costruire il fiato vogando!

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Clicca qui per vedere le video dimostrazioni degli esercizi con cui si allena Cristina

All’estero ci si allena così da anni.

Gli inglesi e gli svizzeri sono all’avanguardia. Spendono un sacco di soldi per i ritiri e partono con veri e propri tir: prima di Londra sono venuti a Varese. Si sono portati dietro tonnellate di attrezzatura… Inutile sottolineare quanto investano sulla ricerca. Quella italiana invece è una federazione poverissima, che non riesce a guardare al futuro (complice il Coni che non dà finanziamenti). Nella preparazione fisica, ad esempio, siamo fermi a convinzioni ormai datate: gli atleti azzurri sono sottoposti a sessioni massacranti affinché arrivati a una certa soglia di stanchezza procedano per inerzia. Sono tecniche che non mi convincono più. E poi il metodo Vitalia per ora ha dato i suoi frutti!

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Oggi ci sarà la cerimonia di chiusura dei WMG. Qual è il tuo bilancio sulla manifestazione?

È stata una festa dello sport, il clima era piacevolissimo. Dispiace però che la città non abbia colto fino in fondo l’occasione: sono spuntate le pubblicità dieci giorni prima dell’apertura, tant’è che non solo i residenti ma persino i negozianti sono cascati dalle nuvole. Penso a Varese, dove tra poco ci saranno i mondiali: da un anno le vie sono invase dagli striscioni. Per me invece è stata un’emozione straordinaria e una conferma: negli sport di resistenza come il canottaggio l’età (e quindi l’esperienza) può essere un plus. Si può competere ad alto livello ancora passati i 40 anni!

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Clicca qui per leggere le altre interviste dello Speciale WMG:

“La dura vita di un campione normale”

“Quella volta mi sono innamorato”

[message type=”info”] Speciale World Master Games – Andrea non si ferma mai. Su Facebook lo dice così: “Go, go, go!”. È il ritornello che accompagna le foto delle sue gare. Ma quando si allena niente musica: “mi piace sentire il mio corpo. E stare bene”.[/message]

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Domani ti attende la mezza maratona. Come stanno andando i tuoi WMG?

Sono contento: la sfida era vedere se riuscivo a fare tutto. Ho cominciato sabato scorso con il duathlon, poi i 5000m, poi i 10000m e domani l’ultima tappa. Il recupero è stato ottimo e sono soddisfatto delle mie prestazioni: ho corso i 5000 in 20’ 53’’, insomma sotto la soglia dei 21’, il mio miglior tempo fino ad allora. Il duathlon è stato un’altra piccola vittoria: pedalo da appena un anno, pensavo di arrivare ultimo. Invece ho strappato un piazzamento a metà classifica.

Da quanto tempo corri?

La mia carriera sportiva è molto breve: fino al mio quarantesimo compleanno non avevo mai praticato nessuno sport. Ero in sovrappeso, nonostante avessi già perso chili con la dieta, e i miei esami del sangue allertarono la dottoressa: avevo bisogno di muovermi.

Pronti via.

Ricordo che un sabato ne parlai con mia moglie. Le chiesi un consiglio, lei non ebbe dubbi: “Costa poco e puoi cominciare subito: comprati un paio di scarpe da ginnastica e vai a correre!”. La domenica andai da Decathlon, il lunedì indossai le scarpe. Per due mesi ho lavorato così: 5 minuti di corsa e 5 di camminata.

Il peso diminuiva e la passione cresceva.

È stato un colpo di fulmine: non avrei mai pensato di innamorarmi! Oggi ho 43 anni (ndr – è nato nel 1970), 15 kg in meno e non posso passare più di una settimana senza correre: mi serve per stare bene con me stesso!

Sarà contenta tua moglie…

Ha molta pazienza. Mi ha sostenuto tantissimo e mi viene a vedere a tutte le gare, trasferte comprese. Infatti dopo i WMG ho promesso di portarla in vacanza e staccare per un po’…

Quanto ti alleni di solito?

Corro tre volte alla settimana e dedico il giorno di riposo alla bici. Uso la pausa pranzo per andare al Valentino, con cambi rocamboleschi in auto (non ho un posto dove farmi la doccia e devo arrangiarmi come posso) prima di tornare in ufficio.

bici

Qual è stata la cosa più difficile all’inizio?

Ritagliarmi del tempo. Staccare dalla routine casa-ufficio-spesa-casa-ufficio… Mia moglie ed io eravamo piuttosto pigri e sedentari: con la mia corsa abbiamo cambiato vita. Io riesco ad organizzarmi bene, lei si è messa a dieta con me. E poi abbiamo ripreso a nuotare: per me in realtà si tratta di una nuova sfida, perché non ne sono mai stato capace. Pochi mesi fa ho deciso di imparare e così ogni quindici giorni andiamo in piscina. Mia moglie è in gran forma!

Tu lo fai per il mare o pensi al triathlon?

Il triathlon è il mio sogno nel cassetto! Ma è un traguardo ancora molto lontano. Per ora voglio lavorare sulla maratona.

Nei hai già corse?

Ho partecipato a quella di Roma a marzo. Mi sono preparato per mesi intensificando le sedute (una in più, quattro alla settimana) ma comunque sono arrivato al fondo della gara distrutto. Ero commosso, un’emozione straordinaria, ma il mio orribile 4h 16′ aspetta di essere abbassato a Torino, il prossimo novembre.

In due anni da 5 minuti a 4 ore non è male.

Ho fatto passi da gigante! Ed è proprio vero che non è mai troppo tardi né troppo difficile cominciare uno sport. Ce la possiamo fare tutti.

Con chi ti alleni?

A marzo ho conosciuto i ragazzi di Base Running e frequento i loro allenamenti collettivi all’una. Siamo una squadra straordinaria: Corrado Vinesia, Roberto Prete, Lorenzo Bertoldini, Alessandro Iacovelli, Paolo Loggia… Con loro ho fatto il salto: da solo non riuscivo a schiodarmi dai miei 5’ e 20’’ al km. Era come se il mio corpo si fosse abituato.

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Il gruppo ha una marcia in più.

Anch’io, che sono un solitario, mi sono convinto. L’entusiasmo degli altri mi ha contagiato: sono migliorato tantissimo. E poi nel nostro team ci sono atleti esperti come Alessandro Giannone e Viviana di Fiore, che mi ha accolto e seguito da subito: con i suoi consigli non potevo che crescere. Lei e Alessandro, insieme agli altri (Andrea Di Giuseppe, Fabrizio Voltolini, Saverio Della Donna) sono i miei punti di riferimento: il confronto con loro mi permettere di puntare sempre più in alto.

Il tuo obiettivo alla maratona di Torino?

È molto, molto ambizioso. Vorrei farcela in 3h 30′: ci proverò con il sostegno del dott. Massarini. Sono stato da lui per la visita medica agonistica e per il test del lattato, poi mi ha seguito per una settimana a distanza: mi ha assegnato dei test da svolgere indossando il mio Garmin e ha monitorato i risultati sul mio profilo Garmin online. Quelle prove hanno confermato i dati ottenuti in laboratorio e così ha potuto tracciare un quadro medico sportivo molto preciso. Dopo la pausa costruiremo insieme la preparazione per la maratona.

Puoi iniziare dagli esercizi che trovi sul nostro canale di Youtube…

Li sto già provando! Sono belli ed è molto utile la dimostrazione video che avete postato. Mi piacciono anche gli articoli del blog: sono semplici, concreti e affidabili, perfetti per chi come me è appassionato ma ancora alle prime armi. Nella rete è pieno di gente che scrive cretinate: è importante farsi indirizzare bene e non lasciarsi fregare!

Chi è il tuo podista preferito?

Orlando Pizzolato, vincitore di due maratone di New York (1984 e ‘85): per me tutto è partito dal suo libro. Quest’anno ho avuto l’onore di conoscerlo perché ho seguito uno stage ad Asiago con lui. Lo stimo tantissimo come atleta e come divulgatore: il suo “Correre” è un capolavoro, è scritto bene ed è estremamente diretto e “terra a terra”. Non mi stanco mai di rileggerlo e ogni volta scopro qualcosa di nuovo. Pizzolato è un esperto che sa di parlare a neofiti: ti avvicina alla corsa e lo fa con un tocco tecnico. Ti aiuta a capire quanto sei bravo e quanto sei in grado di correre, ti dà indicazioni e consigli con tabelle utilissime. E dopo la lettura non ti resta che mettere in pratica.

Go! Go! Go!

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Leggi un altro articolo sui World Master Games

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La partenza per le vacanze è un momento abbastanza stressante e allora quest’anno ho deciso di affrontarla a modo mio.

La meta è tradizionale: Sardegna, meno di due ore di macchina fino a Genova e poi traghetto. Però…

Però si può renderla più avventurosa. Per esempio partendo da casa in bici. Pianifico l’itinerario e via. Appuntamento a Voltri con la famiglia che arriva in ammiraglia.

La prima parte è noiosa, tra campi di granturco piatti come quelli dell’Illinois, poi il percorso migliora con i saliscendi dolci ed i boschi dell’Astigiano. Seguono le vigne bellissime del Monferrato e si plana su Nizza Monferrato per panino e Coca. Avanti verso Acqui con la sua bellissima piazzetta con l’acqua delle terme. Si riprende, sempre tra le vigne, verso Ovada, pedalando su crinali spettacolari. Fa caldo. Nella testa mi risuona Paolo Conte: “Genova per noi“, “Una giornata al mare“, “Bartali“.

C’è un po’ di venticello ma il sole picchia.

Le borracce vanno via una dopo l’altra. Inizia la dolce risalita verso il Turchino. Ora fa più fresco nei boschi della valle Bormida. I borghi, RossiglionePrato Ligure, che non avevo mai visto facendo l’autostrada, sono delle perle.
Arriva il valico che, nella sua modesta altitudine, è comunque un luogo significativo. Una galleria di 200 m e poi la vista sul mare. Meritato gelato al bar del valico e poi stupenda planata su Genova.

È fatta. In solitudine e pensando a quanto è maledettamente bella la nostra Italia.

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Le foto della pedalata: riconoscete i paesaggi?

[message type=”info” title=”Speciale WMG”] Il nostro viaggio nei World Master Games di Torino comincia da Roberto. Lettore di Vitalia Informa, un giorno ci ha scritto su Twitter: è il primo “paziente web” di Vitalia. Chissà che i nostri consigli non lo portino sul podio… sicuramente la sua passione è da medaglia. In bocca al lupo! [/message]

Roberto Re, classe 1974, è un atleta polivalente: sottratto al calcio dall’ennesimo infortunio (giocava nei Dilettanti), prestato al golf, negato alla corsa dalla medicina ma podista nel cuore, ciclista, nuotatore e sciatore. Un uomo infine redento dal Triathlon: “Avevo bisogno di una sfida”.

Calcio, golf e atletica. Che sportivo sei?

Quando ho smesso di giocare ho iniziato a correre da amatore. Ma le mie ginocchia non hanno retto e tre anni fa, per pigrizia, mi sono dato al golf: non avevo voglia di affrontare il mio problema né di cominciare la riabilitazione. Poi sono andato da uno specialista, che mi ha parlato chiaro: “tu non puoi più correre, le tue ginocchia non ce la fanno”.

Ed è crollato il mondo.

No. È scattata la molla. Ho pensato: “Adesso ti faccio vedere che posso correre e anche ad un buon livello”. Ho recuperato con la fisioterapia e ho puntato alla maratona. Poi mi sono ridimensionato: per il mio problema era troppo. Dovevo trovare una sfida ma evitare la corsa esasperata. Così ho scelto il Triathlon: mi piacevano bici, corsa e nuoto e mi sono innamorato subito.

SOMMARIVA - Copia

Come ti alleni?

Mi segue Andrea Gabba, tecnico della nazionale turca. Avevo bisogno di capire come impostare la preparazione: ho iniziato un percorso che prevede sei sessioni a settimana. Uso il giorno di riposo per allungarmi e aiutare la mia schiena con il Pilates.

Ti alleni quanto un professionista.

…ma devo portare avanti una famiglia e il lavoro mi impegna dalle 7 alle 7 tutti i giorni. Il Triathlon mi costa sacrifici enormi: pedalate in pausa pranzo o corse alle 5 del mattino o alle 10 di sera quando la bambina dorme. Noi amatori rispetto agli olimpionici dobbiamo metterci lo stesso impegno e la stessa fatica, ma in più combattere con i doveri di una persona normale: serve una grande passione.

Chi sono i tuoi modelli sportivi?

Nessuno di famoso, ma chi fa bene il proprio mestiere e “sacrifica” il tempo libero per lo sport.

Tra pochi giorni sarai in gara anche tu.

Sì, ho 39 anni e saranno i miei primi World Master Games. Li ho scoperti per caso un anno fa. Inizierò con il Duathlon, poi ci sarà il Triathlon la settimana prossima: non vedo l’ora. Si correrà al Valentino e sarò di casa, abito molto vicino e lo frequento spesso.

Il prossimo traguardo?

L’obiettivo, lontano –andiamo per gradi-, è l’Iron Man.

Ti piace sfidare i  tuoi limiti…

Ho lasciato il calcio a 25 anni: lo facevo solo per divertirmi. Mi piaceva il gioco e non la preparazione. Dopo i 30 anni è cambiato qualcosa (e lo vedo anche nei miei amici): dal bisogno di divertimento sono passato alla voglia di mettere alla prova il mio fisico.  È un nuovo approccio mentale all’attività sportiva, più complesso.

Il Triathlon ti impone un ritmo massacrante, mentre il golf è uno sport più statico, tanto che alcuni non lo considerano tale. Che idea ti sei fatto, praticando entrambi?

Lo spiego sempre così, con un’immagine. Dopo una giornata di golf ero stremato, non avevo neanche più la forza di uscire a cena. Dopo una gara di Triathlon sono contento, eccitato, stanco, ma non esausto. Con una doccia sono pronto per la serata! Nella mia vita è stato più faticoso il golf: richiede uno sforzo mentale e quindi fisico pazzesco. Nessuno mi crede mai…

Come hai conosciuto Vitalia?

Girovagando su Twitter. Ho visto che state seguendo i WMG e poi  ho trovato qualche link al vostro blog. Ho letto alcuni articoli e mi sono piaciuti. Bravi!

Sei uno sportivo 2.o?

Abbastanza. Seguo soprattutto blog e forum sul Triathlon e la corsa, e dove sono competente cerco di partecipare. Il web è una grande risorsa per imparare e migliorarsi, anche nello sport.

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