Ci sono corse veloci su percorsi bruttini, dove si va per fare il tempo, ci sono corse belle e abbastanza veloci, ci sono corse belle e basta, dove si va perché è già un regalo esserci.
La “Corsa da Re” è una di queste.
Ed in questo periodo dell’anno è anche giusto così. Perché domenica prossima sarà il momento buono per coloro che, in preparazione ad una maratona autunnale, devono mettere su i chilometri del lungo e per coloro che, avendo già corso in gara più veloci, vogliono passare una giornata senza lo stress del “personal best”.
E allora godiamoci la giornata, sin dall’inizio: già arrivare alla Venaria e infilarsi nei lunghi viali dei giardini che sono la zona di partenza è emozionante.
Poi la musica, le parole dello speaker, la gente intorno e poi lo sparo di inizio.
Via.
Il percorso è tracciato in un giardino di stupefacente bellezza: qualche curva e si è fuori, verso il parco della Mandria.
Un luogo talmente bello che guardare il cronometro ed il battito sembra veramente senza senso.
Allora alziamo la testa e ammiriamo le montagne che fanno da cornice naturale a questo angolo di Piemonte, gli alberi secolari, i laghetti.
Corriamo su sterrati molto ben tenuti, il dislivello è lieve ma c’è. Lasciamo andare le gambe senza affanno, magari parliamo con qualcuno e, in un amen, ci ritroviamo al giro di boa e stiamo puntando verso il traguardo.
La Venaria, con le sue abitazioni storiche ci attende.
Siamo ormai vicini e rientriamo nel giardino della Reggia.
Qualche curva ed ecco la via principale del Borgo, il traguardo è lì, sotto l’arco che ci porta nella piazza della Reggia.
24 settembre 2006, Maratona di Torino. Il primo europeo, undicesimo assoluto, si chiama Alessandro Giannone. Oggi fa correre gli altri: è il Direttore Tecnico di Base Running Team, 450 podisti da allenare e una task force con cui organizzare almeno cinque grandi gare all’anno.
Quando hai iniziato a correre?
Dal 1988 (avevo 14 anni) al 2000 ho gareggiato su pista, con buoni risultati a livello nazionale. Poi a 26 anni sono approdato all’attività su strada. Ho aumentato il chilometraggio e mi sono concentrato su mezza maratona e maratona. Il mio miglior piazzamento è stato quello di Torino, nel 2006.
Chi erano i tuoi modelli da ragazzo?
Ho vissuto l’atletica negli anni dei grandi campioni, quando noi italiani vincevamo le Olimpiadi. Ho avuto la fortuna di correre con numeri uno come Gennaro Di Napoli, di crescere mentre Bordin, Antibo e Panetta incantavano il mondo con le loro imprese. Se proprio devo scegliere le emozioni più forti me le ha regalate Gelindo Bordin. Ma il periodo d’oro degli italiani è durato solo fino al 1995.
Oggi non ci sono campioni in azzurro?
Purtroppo soprattutto nel mezzo fondo prolungato siamo deboli, perché c’è stata poca continuità negli anni. L’ultimo a vincere è stato Stefano Baldini ad Atene nel 2004. Dopo di lui non siamo riusciti ad essere molto competitivi, tranne qualche comparsa: grossi atleti però non ne vedo. Gli unici due sono Lalli e Meucci: sono due talenti. Potrebbe rappresentare il futuro della nostra maratona.
Tu hai smesso di gareggiare?
Non del tutto, ma ho dovuto rallentare molto il ritmo degli allenamenti. Il lavoro di allenatore e organizzatore di eventi da qualche anno è la priorità. Nel 2007 ha aperto il negozio, nel 2008 abbiamo fondato il Base Running Team, ereditando la squadra di Sport City di Alessandro Rastello. Insieme siamo cresciuti da 30 elementi a 450 in cinque anni: proponiamo due allenamenti collettivi nei due parchi principali della città, il Valentino e il Ruffini. Dividiamo i runners in gruppetti a seconda della velocità: così ognuno può crescere con le indicazioni degli allenatori ed è stimolato dal confronto con i compagni.
Perché sessioni collettive, se la corsa è uno sport individuale?
Perché può essere un po’ noiosa, sopratutto quando le sedute sono lunghe e frequenti. Il gruppo è un ottimo incentivo per non scoraggiarsi e arrivare fino in fondo: il piacere della corsa si sente dopo la fatica.
Possono iscriversi anche i neofiti?
Certo. Abbiamo un allenamento apposta per loro, di avviamento alla corsa, il mercoledì. E stiamo provando a strutturarci anche a livello giovanile: ci piacerebbe istituire una Running School. Speriamo che sia pronta per il 2014!
Com’è cambiato il podismo in questi anni?
Una volta eravamo di meno ma la maggioranza aveva velleità agonistiche. Oggi tantissimi corrono solo per stare bene o per piacere. E’ evidente se guardiamo le scarpe. Le tipologie sono aumentate, perché sono aumentati i tipi di corridori: ci sono, ad esempio, molte persone di peso medio alto che iniziano a correre. Per loro servono scarpe più robuste e sostenute. In generale, le calzature sono diventate più tecniche ma anche più delicate: durano meno.
Si spende ancora per i materiali o la crisi ha costretto a tagliare anche su quelli?
No. Gli appassionati investono volentieri perché conoscono l’importanza di avere la scarpa giusta nei piedi. E quelli che sono alle prime armi se ne accorgono subito: escono un paio di volte con quello che hanno in casa, poi si fanno male e allora vengono da noi. Ogni cliente ha le sue caratteristiche: ci sforziamo di consigliare la scarpa più adatta.
Il 13 ottobre è il giorno de “Una corsa da re”. Siete pronti?
Sì! La prepariamo dall’estate. E’ una manifestazione complessa, perché comprende tre corse in un solo giorno. Sono previsti, com’è stato lo scorso anno, 5000 partecipanti. Ho potuto contare su uno staff tecnico molto valido oltre che su i nostri straordinari volontari.
Quali altre manifestazioni gestite?
La “Valentino“, una gara serale in estate (l’ultima lo scorso 4 luglio). Poi la “LingottoRun” (il prossimo 10 novembre), la mezza “Un Po di corsa” (15 dicembre), la “RunTogheter” in occasione del derby Juve-Toro (23 febbraio 2014). Tutte le informazioni sono online sul nostro sito.
E’ più difficile allenarsi per una maratona o organizzarla?
Sono sensazioni diverse: la gestione di un evento richiede un grande impegno mentale, paragonabile a quello fisico di chi corre. E quando vedo che va tutto bene, che tanta gente lavora… beh, mi dà la stessa soddisfazione di un risultato ottenuto con le mie gambe.
Che cos’hanno in comune Vitalia e Base Running?
La qualità del servizio: ottimo da entrambi!
[message type=”info”] La prossima settimana pubblicheremo i consigli per preparare al meglio la “Corsa da re”. Tenete d’occhio i nostri canali social: la pagina Facebook e il profilo Twitter Vitalia Informa. [/message]
Immaginiamo di dover fare esercizio con cadenza quotidiana, perché, in molte situazioni, la ripetizione dello stimolo è fondamentale.
Immaginiamo di non avere troppo tempo a disposizione.
Immaginiamo di voler continuare ad allenarci a casa o nella palestra dove siamo sempre andati, ma di faticare a ricordare quei particolari movimenti.
Allora, ancora una volta, tablet e smartphone possono darci una bella mano e Vitalia è pronta a questo nuovo passo tecnologico a supporto del benessere.
Come funziona
Durante le sedute di allenamento, o di rieducazione funzionale, si imparano gli esercizi. Quando si è in grado di farli bene, si passa alla registrazione video. I video costituiscono il programma individuale e vengono inviati al paziente che li può visualizzare su smartphone, tablet (Apple o Android) o PC.
A casa, o dalla palestra, si accede al programma e si ripetono gli esercizi tenendo d’occhio i video per essere sicuri di non commettere errori.
Periodicamente si ritorna da Vitalia per una seduta di verifica e per un aggiornamento del programma.
I vantaggi
Gli esercizi da fare per conto proprio vengono prima imparati con la supervisione dello staff Vitalia.
L’app registra tutti gli allenamenti svolti.
Il programma è sempre a portata di mano, ovunque.
Ci sembra un bel modo per allenarsi o recuperare da un infortunio massimizzando risultati e tempo.
Contattaci per iniziare subito ad allenarti con noi.
L’anno scorso avevamo affrontato il tema dell’allenamento muscolare del podista. In questi dodici mesi ci siamo ulteriormente convinti dell’importanza di tale lavoro nell’ottica del miglioramento della performance, della prevenzione degli infortuni e del recupero dagli infortuni.
Il concetto su cui ci stiamo muovendo è quello dell’allenamento delle abilità motorie: un concetto semplice e rivoluzionario al tempo stesso. Si tratta infatti di spostare il paradigma dell’allenamento che finora aveva avuto il muscolo al suo centro e mettere invece il movimento o i movimenti in primo piano.
In pratica l’allenamento delle abilità motorie ripercorre lo sviluppo delle capacità motorie dall’età neonatale fino all’adolescenza. Si parte dalla posizione prona statica, si passa a quella dinamica (il gattonamento), ci si alza in piedi e, dalla posizione verticale, ci si comincia a muovere. Durante le varie fasi si ricerca costantemente il controllo del core (i muscoli intorno alla vita) e si modificano i punti di appoggio rendendo gli esercizi progressivamente più difficili.
Proseguendo nell’allenamento si introducono altre variabili come la tridimensionalità del movimento e l’uso dei sovraccarichi che aumentano il lavoro necessario a stabilizzare la postura.
Il programma si sviluppa passando da una fase all’altra con i tempi di progressione legati alle capacità di apprendimento individuali.
Qual è lo scopo di tutto ciò? Quello di allenare la muscolatura ed il sistema nervoso che ne comanda le azioni a lavorare in modo sinergico mantenendo stabile il baricentro corporeo e controllando i movimenti di torsione-flessione-estensione del tronco che si succedono ad ogni appoggio.
Qui di seguito un blocco di esercizi specifici per il podista.
Qualche giorno fa ho scritto che la corsa è uno sport “stupido”, era chiaramente una provocazione e non intendevo certo offendere i praticanti di questa disciplina verso cui nutro passione e rispetto. Volevo piuttosto sottolineare che la corsa richiede metodo e applicazione e che non c’è spazio per improvvisazione e fantasia.
In questo periodo di inizio autunno che precede le grandi maratone di ottobre e novembre, ogni sportivo dovrebbe infatti conoscere con una buona approssimazione i valori della propria prestazione ed usarli per ogni allenamento.
Essenzialmente i dati da controllare sono la frequenza cardiaca e il passo al km.
Attraverso test di laboratorio e da campo è infatti possibile conoscere con buona precisione a che velocità e FC impostare i lunghi, i medi e le ripetute.
I lunghi devono infatti essere svolti ad una velocità pari all’80-85% della velocità di soglia ed a una FC compresa tra i 75 e l’80% di quella di soglia.
I medi devono invece essere corsi a velocità pari al 90-93% della velocità di soglia con una FC del 90% circa di quella di soglia.
Le ripetute, parliamo di quelle sui 1000 m, infine devono essere corse a velocità e FC di soglia.
Ma come determinare questa fantomatica soglia anaerobica?
Sicuramente il metodo migliore è rappresentato dal test incrementale con misurazione del lattato, ovvero della concentrazione di acido lattico nel sangue.
E’ noto infatti che man mano che aumenta la velocità di corsa, aumenta la quantità di lattato nel sangue. Questo parametro ha un andamento che dipende da caratteristiche individuali e dal tipo di allenamento svolto.
L’analisi della curva del lattato e della frequenza cardiaca saranno interpretate dal tecnico e forniranno una precisa “fotografia” della situazione individuale e orienteranno il piano d’allenamento.
Al podista non resterà che armarsi di cardiofrequenzimetro, magari con GPS ed iniziare a correre rispettando i numeri.
Contattaciper avere informazioni sul test del lattato svolto nel nostro centro
Tutti i podisti con qualche anno di attività alle spalle conoscono bene i rischi di incorrere nelle patologie più frequenti tra i runners: le tendinopatie.
Che cosa sono le tendinopatie
Il termine tendinopatia sottintende una serie di patologie infiammatorie-degenarative che possono coinvolgere l’inserzione del tendine (entesopatia), la guaina (peritendinite), la borsa (tenosinovite) o che comportano la degenerazione del tessuto connettivale che costituisce il tendine (tendinosi).
Esse sono più frequenti dai 30-35 aa. di età in poi perché i tendini iniziano a perdere la loro elasticità e ad essere meno vascolarizzati. In queste condizioni la ripetizione di eventi microtraumatici e di sforzi muscolari intensi può causare delle microlesioni sulle quali insorge la patologia. Per i podisti la sede elettiva è rappresentata dal tendine di Achille e dalla fascia plantare. Altre sedi meno frequenti sono il tendine rotuleo e il tendine prossimale degli ischio crurali.
Che cosa le provoca
La contrazione muscolare eccentrico concentrica tipica di ogni passo di corsa sottopone il tendine di Achille ad un notevole stress meccanico. Tale situazione si ripete per decine di migliaia di volte alla settimana in un podista che corra distanze preparatorie alla maratona o alla mezza maratona. Tuttavia non tutti i runners che preparano tali eventi vanno incontro a patologie tendinee: è quindi lecito pensare che i fattori genetici e biomeccanici giochino un ruolo determinante nell’insorgenza del problema.
I calcagni sporgenti e l’iperpronazione sono tra i fattori predisponenti che dovrebbero essere tenuti sotto controllo con calzature adeguate e supporti plantari “su misura”.
Come si manifestano
Il dolore è il sintomo più eclatante, nelle fasi iniziali esso è caratteristicamente limitato ai primi passi dopo il riposo notturno o ai momenti iniziali della camminata o della corsa dopo prolungato mantenimento della posizione seduta o distesa. Dopo pochi passi il dolore tende infatti a scomparire. Ciò comporta che il podista sia portato a sottovalutare l’iniziale infiammazione del tendine che in effetti non provoca dolore durante la corsa salvo poi peggiorare dopo un’ora circa dalla fine dell’allenamento.
Il gonfiore nella zona dolente può essere presente e a volte si apprezza aumento dello spessore del tendine a causa dell’essudato infiammatorio che si forma nello spazio tra il tendine stesso e la sua guaina.
Nel caso di entesopatia o di calcificazioni periinserzionali tuttavia, il tendine è di spessore normale e non è dolente alla palpazione mentre la zona di inserzione è estremamente sensibile.
Come curarle
I rimedi utilizzati finora sono rappresentati da farmaci non steroidei (antiinfiammatori), crioterapia (applicazione di ghiaccio), stretching, onde d’urto e TECAR. In ultima analisi, nei casi particolarmente resistenti, si interviene chirurgicamente con la scarificazione del tendine e con successivi lunghi tempi di recupero.
PRP, (platelet rich plasma) una soluzione efficace e senza effetti collaterali
L’uso del gel piastrinico trova le sue origini, una decina di anni fa, nell’ambito della chirurgia maxillo-facciale per favorire la cicatrizzazione e la generazione di matrice ossea nel campo degli impianti dentari.
Negli ultimi anni si è iniziato ad utilizzarlo nei casi di tendinite resistenti alle terapie incruente. La terapia è basata sul prelievo di sangue del paziente (il quantitativo pari a quello di una donazione). Il sangue contiene plasma, globuli rossi, globuli bianchi, piastrine. Il plasma è la componente liquida del sangue, costituito soprattutto da acqua, e serve a trasportare le cellule ematiche. Inoltre contiene fibrinogeno, una proteina che agisce come una rete per catturare le piastrine ed arrestare l’emorragia derivante da una ferita. I globuli rossi trasportano l’ossigeno dai polmoni ai tessuti, mentre i globuli bianchi proteggono l’organismo dall’attacco dei germi patogeni. Le piastrine sono, come detto, responsabili dell’emostasi, della costruzione di nuovo tessuto connettivo e della rivascolarizzazione. In genere un campione di sangue contiene il 93% di globuli rossi, il 6% di piastrine e l’1% di globuli bianchi. Il processo di preparazione consiste nel ridurre la percentuale di GR al 5% e di aumentare quella piastrinica al 94% per stimolare la guarigione.
Il preparato finale assume una consistenza simile ad un gel e viene congelato. Poco prima del trattamento la sacca contenente il gel viene scongelata e ciò provoca la rottura delle piastrine e la liberazione dei fattori di crescita (PDGF, TGFbeta, VEGF, e EGF), che hanno, come detto, la capacità di stimolare la formazione di nuovi capillari che migliorano la vascolarizzazione ed il nutrimento della parte da trattare e di stimolare la migrazione cellulare per i processi di riparazione.
L’assenza di effetti collaterali e la sensibile riduzione dei tempi di guarigione hanno fatto sì che la pratica si diffondesse in campo traumatologico ed ortopedico.
La riabilitazione
Il processo di riabilitazione nel caso di lesioni muscolari deve tener conto che, se anche al controllo ecografico la lesione appare guarita, ciò non significa che il muscolo sia pronto per essere nuovamente sollecitato al massimo. Diciamo quindi che se i tempi di guarigione clinica possono essere dimezzati con tale procedura, i tempi di riabilitazione dovranno seguire la normale tempistica.
Più controversa è invece la situazione nel caso di problematiche tendinee dove abbiamo messo a punto un protocollo riabilitativo che dovrebbe rispettare le seguenti fasi:
[list type=”plus”]
immobilità per 1 settimana successiva all’infiltrazione
lavoro isometrico nella 2 settimana ad angoli di caviglia progressivamente inferiori ma che comunque non evochino dolore
se la sintomatologia dolorosa non scompare, si può fare ricorso ad una seconda infiltrazione
inizio del lavoro di contrazione concentrica al cicloergometro e di esercizi propriocettivi dalla fine della 2° alla 4° settimana
dalla 4° sett. ripresa della corsa lenta su superfici morbide per periodi inizialmente brevi (15-20’) e continuazione di lavoro specifico di equilibrio propriocettivo
dalla 6° sett. vengono introdotte esercitazioni di pliometria e si inizia a lavorare sull’appoggio-spinta del piede
[/list]
Come si può notare, questi tempi sono estremamente ridotti rispetto a quelli che si rispettano nel caso di trattamento chirurgico e permettono di risolvere efficacemente una patologia tanto temuta quanto frequente nell’ambito della corsa.
La terapia con gel piastrinico viene svolta in ambiente ospedaliero presso l’Ospedale Molinette di Torino mentre la rieducazione funzionale nel nostro centro di Medicina dello Sport.
Oggi comincia il Pre-Event del Mondiale di Marsiglia in programma dal 21 al 29 settembre. Jacopo, 22 anni, porterà in barca anche Vitalia.
Anno di nascita 1991. Dopo quanto la prima regata?
A 9 anni ho cominciato con gli optimist, intorno ai 13 è diventato un impegno agonistico e sono passato ai 420. Recentemente il grande salto: 49ers, classe olimpica.
Sei nato in barca.
Quasi. Fino alle medie ho provato di tutto per gioco, poi è scoppiato l’amore. In realtà sono sempre stato innamorato: sono cresciuto nei racconti di mio padre e di mio zio, entrambi professionisti.
Il tuo obiettivo a Marsiglia?
Puntiamo almeno ad un piazzamento nei primi 20. Siamo giovani, nel nostro sport la maturità è intorno ai 26 anni. A me e Umberto (Umberto Molineris, classe 1990, compagno di Jacopo – ndr) manca l’esperienza delle “coppie” più anziane.
La vela non è solo una questione di fisico.
No, anzi, qualcuno non ci considera nemmeno atleti. In realtà è necessario distinguere: la nostra classe richiede una certa prestanza. Siamo in due a fare tutto: o ci muoviamo per manovrare oppure siamo appesi al trapezio. Oppure siamo in acqua e dobbiamo rialzarci…
Nelle barche più grandi il ritmo è diverso.
Gli equipaggi comprendono tante persone, e solo chi gestisce le vele fa un vero sforzo, anche se ormai persino la Coppa America sta diventando più fisica (e per questo si sta aprendo ai giovani). Ma l’idea che lo sport non sia faticoso rimane: le barche grandi sono le più famose, le uniche su cui investono gli armatori. La Coppa America è la nostra Serie A.
Quanto vi allenate?
Abbiamo circa 180 giorni di vela all’anno (compresi allenamenti e regate) e la nostra base è il lago di Garda; quando arriva il freddo ci spostiamo in posti più caldi.
Non ti manca il mare quando sei lassù?
No, non ne ho bisogno. La mia simbiosi è con l’aria. Questo sì: dovunque vada studio il vento…
365 meno 180, rimangono 180 giorni.
Tutto tempo che spendiamo per la preparazione a terra. La stagione va da primavera a settembre: in questi mesi cerchiamo di mantenere il fondo che facciamo in autunno e inverno.
Quanto conta per voi la preparazione atletica?
È fondamentale. Per questo dobbiamo proprio ringraziare il dott. Massarini e lo staff di Vitalia. Con loro il miglioramento è stato sensibile e continuo e finalmente abbiamo capito l’importanza di uno stile di vita sano e attivo. E poi siamo più consapevoli del nostro corpo, perché Massimo ci spiega ogni aspetto del programma. Ci ha aperto un mondo (che in Italia dovrebbe essere considerato di più).
Che mondo?
La nostra idea di ginnastica si limitava alla corsa e a qualche peso. Adesso alterniamo al potenziamento l’allenamento funzionale. Ci concentriamo sulla schiena (moltissimo sulla core stability!) che è la parte più sollecitata in barca, insieme alle caviglie e alle ginocchia. A casa, a Ravenna, abbiamo una palestra, ma ci siamo attrezzati con Kettle Bell, palloni, tavolette ecc. in modo che ovunque andiamo possiamo fare un buon lavoro.
Venite spesso a Torino?
Veniamo per i test periodici. Per il resto ci sentiamo sempre al telefono e utilizziamo un software, Restwise, che permette a Massimo di analizzare i dettagli di ogni nostra seduta. Il supporto della tecnologia per noi è indispensabile.
Torniamo al Lago. La vostra giornata tipo.
Sveglia presto, usciamo in acqua verso le otto e mezza. Rientriamo dopo due ore, mangiamo, ci riposiamo e ripartiamo per altre due ore. Poi sistemiamo le barche.
Quanto dedicate alla cura del mezzo?
Tantissimo: deve andare più forte possibile! Nella vela le componenti sono due: l’atleta che conduce (cioè svolge la parte decisionale in base alla tattica e alle condizioni atmosferiche), il mezzo che naviga. Entrambi devono essere performanti.
C’è qualcuno che vi aiuta?
Il nostro allenatore, Luca Bursich, e quello della Squadra azzurra, Luca De Pedrini (Jacopo e Umberto sono in Nazionale – ndr). Poi, in generale, la federazione.
In che acque naviga la FIV?
Nuove. È appena cambiato il Direttore Sportivo e la situazione è un po’ complessa. I fondi sono pochi e non bastano per copiare (come si vorrebbe) i progetti delle federazioni più ricche. E poi il tentativo italiano arriva troppo tardi.
Come va il settore giovanile?
Bene! C’è un continuo ricambio di ragazzi bravi. Manca però qualcosa a livello strutturale che trasformi un talento in un campione. E poi mancano mamme coraggiose: fidatevi! La vela a livello agonistico è uno sport fantastico, che aiuta i vostri figli a crescere e a diventare indipendenti in fretta.
Sogni la Coppa America o il giro del mondo in solitaria?
Per la prima non c’è fretta, si va avanti oltre i 40 anni, chissà. Chi gira il mondo da solo ha tutta la mia stima: spesso sono “eroi” giovanissimi, che suppliscono all’inesperienza con tanto studio e ancora più coraggio (ma non dimentichiamoci che hanno qualcuno più “motivato” di loro alle spalle). Non azzarderei mai un’impresa del genere: non ne sarei in grado e non mi piace l’idea un viaggio così da solo. Le esperienze straordinarie vanno condivise! Insomma, punto alla Volvo Ocean Race, la regata-giro del mondo su barche grandi. Ma prima bisogna vincere una medaglia olimpica: il focus è su Rio.
La preparazione atletica ha subito negli ultimi dieci anni un radicale cambiamento. Se infatti, negli anni ’90 ci si focalizzava sull’allenamento dei vari gruppi muscolari, in tempi più recenti si è passati al cosiddetto allenamento funzionale in cui le macchine a contrappesi sono state quasi soppiantate da piccoli attrezzi (kettle bell, tavolette, bosu, sacchi da boxe e quant’altro).
Questa moda è stata abbracciata dai personal trainer che vi hanno visto la possibilità di proporre qualcosa di nuovo alla clientela. Molto spesso gli esercizi proposti non sono però adeguati alle capacità individuali.
Il vero passo in avanti è rappresentato dalla ricerca dell’allenamento delle abilità e cioè del controllo neuromuscolare ed del controllo posturale dinamico.
Il controllo neuromuscolare detta la velocità delle reazioni dei muscoli alle situazioni esterne mentre il controllo posturale dinamico fa in modo che il corpo assuma sempre la posizione più adatta al tipo di movimento da eseguire.
Per capire meglio il concetto proviamo a fare un esempio: immaginiamo di far correre due atleti con uguale resistenza su una strada con fondo regolare; tutti e due andranno più o meno alla stessa andatura. Se questa strada si trasforma però in un sentiero impervio ecco che le differenze si evidenzieranno e l’atleta più abile andrà più veloce. Perché? Perché il suo sistema neuromuscolare ed il controllo posturale dinamico gli permetteranno di adattare il passo, gli appoggi, l’azione del tronco e delle braccia alle caratteristiche del terreno ed il tutto si tradurrà in una corsa più veloce e redditizia, oltreché sicura.
Ecco, l’allenamento delle abilità consiste nel migliorare tutti quei fattori che si traducono in efficienza del movimento come sintesi di capacità di base (forza, resistenza e flessibilità) e di qualità più specifiche (coordinazione, rapidità, controllo del core, propriocettività).
[button color=”red” size=”large”] L’atleta, ma anche la persona comune, riesce, curando l’allenamento delle abilità, ad essere più efficace e sicura in ogni espressione motoria.[/button]
Questo è il concetto di allenamento che Vitalia utilizza e che viene trasversalmente applicato alla preparazione atletica, alla prevenzione ed alla riabilitazione, scegliendo gli esercizi in modo che essi siano sempre adeguati alle capacità motorie della persona.
Nei prossimi articoli daremo seguito al tema dell’allenamento delle abilità sia in chiave di prevenzione che di riabilitazione.
[message type=”info”]Speciale World Master Games – I campioni sono fatti così: si allenano tutti i giorni e trovano il tempo per famiglia, amici e lavoro. Costruiscono i risultati con tre “p”: passione, pazienza, perseveranza.
Le campionesse invece sono fatte così: mandano avanti la famiglia mentre si allenano tutti i giorni (anche due volte) e incastrano commissioni, amici e lavoro. Costruiscono i risultati con tre “m”: sono “mamme” e il resto è riscaldamento.
Cristina è una campionessa così. Quattro ori e un argento ai Wmg, un titolo italiano e molte altre medaglie in appena due stagioni master; la carriera nel canottaggio abbandonata a 25 anni e ripresa a 40: un sogno nel cassetto riscoperto e avverato accanto alla figlia… [/message]
Hai portato tua figlia a remare e lei ha riportato te in barca. Com’è andata?
Un giorno l’ho accompagnata ad una gara. L’ho seguita, c’era un tramonto stupendo. Ho sentito un richiamo fortissimo, quel paesaggio mi ha aperto il cuore: dovevo ricominciare anch’io.
Hai un passato da ex?
Sì. Ho gareggiato dai 15 ai 25 anni con buoni piazzamenti a livello internazionale ed ottimi a livello italiano. Avevo iniziato per rinforzare la schiena; ho smesso quando sono mancate le soddisfazioni. Il ritmo era troppo alto e non ce la facevo più: volevo finire di studiare.
Diletta segue le tue orme?
Diletta ha cominciato senza ambizioni, poi ad un certo punto è scattata la molla: un po’ l’esempio delle sue compagne più forti, un po’ il gruppo, un po’ i primi piazzamenti… adesso non si perde un allenamento né una gara. Ha la stoffa, ma la strada è ancora lunghissima (lei ha solo 14 anni) e bisogna saper dosare le energie: il suo bel “sacrofuoco” che oggi brucia così intensamente, non si dovrà spegnere troppo presto!
Frequentate lo stesso circolo?
Siamo entrambe al Cus Torino di piazza Zara: avevo mandato lì mia figlia perché c’era (c’è!) il mio allenatore di vent’anni fa, Mauro Tontodonati, che è bravissimo. Si è subito trovata bene e poi mi sono inserita io, nel 2011.
Da madre e da sportiva, quanto è importante la figura dell’allenatore?
Fondamentale. Lo capisco soprattutto ora: quando i figli sono adolescenti è normale che prendano le distanze dai genitori e cerchino anche altri esempi. A quell’età spesso si ha più confidenza e più fiducia in un altro adulto piuttosto che in mamma e papà: quello che conta è che i principi passino! Sono contenta che mia figlia cresca circondata da belle persone in un ambiente sano: alcool, droga, eccessi in discoteca, sono vizi non compatibili con un’attività quasi professionistica.
Lo sport è scuola di vita?
Senza dubbio. L’agonismo ha un valore: s’impara a soffrire e a stringere i denti per un obiettivo. Sono virtù che hanno in pochi. Oggi domina la cultura del “tutto facile” e del “tutto subito”. Lo sport educa al contrario: tempo e dedizione, fatica e sacrificio, testa e sguardo al futuro. Nel canottaggio poi, se semini adesso magari raccoglierai tra dieci anni.
Tu hai raccolto in abbondanza!
L’attività giovanile mi ha lasciato un’ottima base: quando ho ripreso è stata dura ma sono migliorata tanto e in fretta. E poi le nuove regole mi hanno aiutata: una volta con le categorie uniche le più esili correvano contro le più massicce, sulle stesse barche. Quelle come me erano chiaramente penalizzate, mentre le atlete più vigorose come le nord europee erano sempre davanti. Oggi mi confronto con i pesi leggeri (max 59 kg) e devo stare attenta alla dieta!
E hai una barca tutta tua.
Sì, adattata in ogni dettaglio su di me. E poi, non più in legno, ma in fibra: con la stessa fatica sono molto più veloce!
Ai WMG sei stata un fulmine. Seconda nel quattro di coppia del 7 agosto, poi prima per quattro volte: nel singolo del 8, nel doppio del 9, ieri nelle gare miste sia nel doppio che nel quattro di coppia. Come ti senti?
Sono davvero contenta. Il mio obiettivo era eguagliare i tempi degli allenamenti di questi mesi. Di solito patisco la gara – per esempio mi blocco e sbaglio la respirazione- e rendo meno rispetto al mio potenziale.
È più forte la Cristina di oggi o quella di vent’anni fa?
Difficile stabilirlo. Certamente la mia attività di master è più gratificante. E poi mi alleno meglio: allora ero una delle poche donne, spesso ero da sola, non c’era attenzione né cura del settore femminile. Era sottovaluto e invece oggi le ragazze sono numerosissime. Al Cus abbiamo un gruppo meraviglioso, e io faccio un po’ da sorella maggiore alle nostre piccole.
Vitalia è in festa per i tuoi successi!
Mi sono trovata benissimo con il dott. Massarini. Sono andata da lui per la visita agonistica, mi ha fatto notare che avevo uno squilibrio, il mio corpo era sbilanciato. Ho lavorato in palestra con Eva e Claudia, su esercizi che non avevo mai provato prima. Ho rinforzato il core, la schiena e in generale il mio fisico: sono movimenti a corpo libero molto armonici. L’idea di fondo è che bisogna potenziare in modo uniforme tutti i muscoli e non solo alcuni. Con Massimo poi abbiamo rivisto il mio programma atletico: meno corsa e più resistenza specifica, un canottiere deve costruire il fiato vogando!
Gli inglesi e gli svizzeri sono all’avanguardia. Spendono un sacco di soldi per i ritiri e partono con veri e propri tir: prima di Londra sono venuti a Varese. Si sono portati dietro tonnellate di attrezzatura… Inutile sottolineare quanto investano sulla ricerca. Quella italiana invece è una federazione poverissima, che non riesce a guardare al futuro (complice il Coni che non dà finanziamenti). Nella preparazione fisica, ad esempio, siamo fermi a convinzioni ormai datate: gli atleti azzurri sono sottoposti a sessioni massacranti affinché arrivati a una certa soglia di stanchezza procedano per inerzia. Sono tecniche che non mi convincono più. E poi il metodo Vitalia per ora ha dato i suoi frutti!
Oggi ci sarà la cerimonia di chiusura dei WMG. Qual è il tuo bilancio sulla manifestazione?
È stata una festa dello sport, il clima era piacevolissimo. Dispiace però che la città non abbia colto fino in fondo l’occasione: sono spuntate le pubblicità dieci giorni prima dell’apertura, tant’è che non solo i residenti ma persino i negozianti sono cascati dalle nuvole. Penso a Varese, dove tra poco ci saranno i mondiali: da un anno le vie sono invase dagli striscioni. Per me invece è stata un’emozione straordinaria e una conferma: negli sport di resistenza come il canottaggio l’età (e quindi l’esperienza) può essere un plus. Si può competere ad alto livello ancora passati i 40 anni!
[button color=”blue” size=”small”] More [/button]
Clicca qui per leggere le altre interviste dello Speciale WMG:
[message type=”info”] Speciale World Master Games – Andrea non si ferma mai. Su Facebook lo dice così: “Go, go, go!”. È il ritornello che accompagna le foto delle sue gare. Ma quando si allena niente musica: “mi piace sentire il mio corpo. E stare bene”.[/message]
Domani ti attende la mezza maratona. Come stanno andando i tuoi WMG?
Sono contento: la sfida era vedere se riuscivo a fare tutto. Ho cominciato sabato scorso con il duathlon, poi i 5000m, poi i 10000m e domani l’ultima tappa. Il recupero è stato ottimo e sono soddisfatto delle mie prestazioni: ho corso i 5000 in 20’ 53’’, insomma sotto la soglia dei 21’, il mio miglior tempo fino ad allora. Il duathlon è stato un’altra piccola vittoria: pedalo da appena un anno, pensavo di arrivare ultimo. Invece ho strappato un piazzamento a metà classifica.
Da quanto tempo corri?
La mia carriera sportiva è molto breve: fino al mio quarantesimo compleanno non avevo mai praticato nessuno sport. Ero in sovrappeso, nonostante avessi già perso chili con la dieta, e i miei esami del sangue allertarono la dottoressa: avevo bisogno di muovermi.
Pronti via.
Ricordo che un sabato ne parlai con mia moglie. Le chiesi un consiglio, lei non ebbe dubbi: “Costa poco e puoi cominciare subito: comprati un paio di scarpe da ginnastica e vai a correre!”. La domenica andai da Decathlon, il lunedì indossai le scarpe. Per due mesi ho lavorato così: 5 minuti di corsa e 5 di camminata.
Il peso diminuiva e la passione cresceva.
È stato un colpo di fulmine: non avrei mai pensato di innamorarmi! Oggi ho 43 anni (ndr – è nato nel 1970), 15 kg in meno e non posso passare più di una settimana senza correre: mi serve per stare bene con me stesso!
Sarà contenta tua moglie…
Ha molta pazienza. Mi ha sostenuto tantissimo e mi viene a vedere a tutte le gare, trasferte comprese. Infatti dopo i WMG ho promesso di portarla in vacanza e staccare per un po’…
Quanto ti alleni di solito?
Corro tre volte alla settimana e dedico il giorno di riposo alla bici. Uso la pausa pranzo per andare al Valentino, con cambi rocamboleschi in auto (non ho un posto dove farmi la doccia e devo arrangiarmi come posso) prima di tornare in ufficio.
Qual è stata la cosa più difficile all’inizio?
Ritagliarmi del tempo. Staccare dalla routine casa-ufficio-spesa-casa-ufficio… Mia moglie ed io eravamo piuttosto pigri e sedentari: con la mia corsa abbiamo cambiato vita. Io riesco ad organizzarmi bene, lei si è messa a dieta con me. E poi abbiamo ripreso a nuotare: per me in realtà si tratta di una nuova sfida, perché non ne sono mai stato capace. Pochi mesi fa ho deciso di imparare e così ogni quindici giorni andiamo in piscina. Mia moglie è in gran forma!
Tu lo fai per il mare o pensi al triathlon?
Il triathlon è il mio sogno nel cassetto! Ma è un traguardo ancora molto lontano. Per ora voglio lavorare sulla maratona.
Nei hai già corse?
Ho partecipato a quella di Roma a marzo. Mi sono preparato per mesi intensificando le sedute (una in più, quattro alla settimana) ma comunque sono arrivato al fondo della gara distrutto. Ero commosso, un’emozione straordinaria, ma il mio orribile 4h 16′ aspetta di essere abbassato a Torino, il prossimo novembre.
In due anni da 5 minuti a 4 ore non è male.
Ho fatto passi da gigante! Ed è proprio vero che non è mai troppo tardi né troppo difficile cominciare uno sport. Ce la possiamo fare tutti.
Con chi ti alleni?
A marzo ho conosciuto i ragazzi di Base Running e frequento i loro allenamenti collettivi all’una. Siamo una squadra straordinaria: Corrado Vinesia, Roberto Prete, Lorenzo Bertoldini, Alessandro Iacovelli, Paolo Loggia… Con loro ho fatto il salto: da solo non riuscivo a schiodarmi dai miei 5’ e 20’’ al km. Era come se il mio corpo si fosse abituato.
Il gruppo ha una marcia in più.
Anch’io, che sono un solitario, mi sono convinto. L’entusiasmo degli altri mi ha contagiato: sono migliorato tantissimo. E poi nel nostro team ci sono atleti esperti come Alessandro Giannone e Viviana di Fiore, che mi ha accolto e seguito da subito: con i suoi consigli non potevo che crescere. Lei e Alessandro, insieme agli altri (Andrea Di Giuseppe, Fabrizio Voltolini, Saverio Della Donna) sono i miei punti di riferimento: il confronto con loro mi permettere di puntare sempre più in alto.
Il tuo obiettivo alla maratona di Torino?
È molto, molto ambizioso. Vorrei farcela in 3h 30′: ci proverò con il sostegno del dott. Massarini. Sono stato da lui per la visita medica agonistica e per il test del lattato, poi mi ha seguito per una settimana a distanza: mi ha assegnato dei test da svolgere indossando il mio Garmin e ha monitorato i risultati sul mio profilo Garmin online. Quelle prove hanno confermato i dati ottenuti in laboratorio e così ha potuto tracciare un quadro medico sportivo molto preciso. Dopo la pausa costruiremo insieme la preparazione per la maratona.
Puoi iniziare dagli esercizi che trovi sul nostro canale di Youtube…
Li sto già provando! Sono belli ed è molto utile la dimostrazione video che avete postato. Mi piacciono anche gli articoli del blog: sono semplici, concreti e affidabili, perfetti per chi come me è appassionato ma ancora alle prime armi. Nella rete è pieno di gente che scrive cretinate: è importante farsi indirizzare bene e non lasciarsi fregare!
Chi è il tuo podista preferito?
Orlando Pizzolato, vincitore di due maratone di New York (1984 e ‘85): per me tutto è partito dal suo libro. Quest’anno ho avuto l’onore di conoscerlo perché ho seguito uno stage ad Asiago con lui. Lo stimo tantissimo come atleta e come divulgatore: il suo “Correre” è un capolavoro, è scritto bene ed è estremamente diretto e “terra a terra”. Non mi stanco mai di rileggerlo e ogni volta scopro qualcosa di nuovo. Pizzolato è un esperto che sa di parlare a neofiti: ti avvicina alla corsa e lo fa con un tocco tecnico. Ti aiuta a capire quanto sei bravo e quanto sei in grado di correre, ti dà indicazioni e consigli con tabelle utilissime. E dopo la lettura non ti resta che mettere in pratica.