Le diete con basso contenuto di carboidrati ed alto contenuto di grassi migliorano la performance nell’endurance?
Le diete con basso contenuto di carboidrati ed alto contenuto di grassi (LCHF), compresa
la chetogenica, vengono normalmente utilizzate allo scopo di perdere peso e, in ambito
clinico, per la gestione di alcune condizioni patologiche come obesità, diabete, alcune
malattie cardio-vascolari, malattie neurologiche e neuro-degenerative, tumori.
L’uso di queste diete in ambito sportivo è attualmente dibattuto e controverso: alcune
evidenze scientifiche suggeriscono che gli adattamenti metabolici indotti da queste siano
in grado di migliorare la performance negli sport di endurance (in particolare adattamenti
mitocondriali e capacità di ossidazione lipidica), mentre altre ne sconsigliano l’applicazione
non evidenziandosi vantaggi concreti nella pratica quotidiana per gli atleti di elite.
Proviamo pertanto a fare un po’ di chiarezza, sulla base di quanto presente in letteratura
scientifica, su vantaggi e svantaggi dei regimi LCHF nell’attività sportiva.
Per atleti che praticano sport in cui il peso è fondamentale, tali diete possono essere
estremamente utili in quanto consentono, in tempi relativamente rapidi, la riduzione del
peso e della massa grassa, mentre preservano la massa magra. Risultano dunque di
interesse, almeno in alcuni periodi, per gli atleti di endurance e per quelli che praticano
sport basati su categorie di peso.
L’ossidazione degli acidi grassi, in atleti sottoposti a regimi LCHF, tende ad incrementare
fino a raggiungere livelli di 1.5 g/min, risparmiando sull’ossidazione dei carboidrati pur in
presenza di un contenuto muscolare di glicogeno simile a quello di atleti che utilizzano
diete ad alto contenuto di carboidrati e basso contenuto di grassi.
L’elevata ossidazione degli acidi grassi è un elemento favorevole per gli sport di ultra-
endurance; in particolare, gli adattamenti metabolici indotti possono prevenire la perdita di
performance, caratteristica delle fasi più avanzate di queste competizioni, a carico di
gruppi muscolari responsabili di movimenti ripetitivi ad alta intensità, per i quali il
metabolismo aerobico è fondamentale.
D’altra parte: elevate concentrazioni plasmatiche di acidi grassi non esterificati e
ammoniaca che si producono durante attività sportiva in soggetti che seguono diete LCHF
possono condurre ad insorgenza precoce di fatica centrale (paradossalmente, i corpi
chetonici sono responsabili di effetti anti-epilettici, neuro-protettivi ed anti-infiammatori e
questo favorisce l’uso delle diete chetogeniche nell’epilessia e nelle malattie
neurodegenerative).
Non esistono studi ben controllati sull’uomo che dimostrino i benefici, in termini di
prestazioni, derivanti della limitazione dei carboidrati.
Secondo Jeukendrup, l’aumento dell’ossidazione degli acidi grassi in atleti che si
sottopongono a diete LCHF può essere valutato da tre differenti punti di vista:
1 può esserci un adattamento migliorativo, dunque, un effetto positivo (questa è
l’interpretazione più comune ma non necessariamente quella corretta);
2 una seconda possibilità è che l’aumento dell’ossidazione dei grassi sia il risultato di alterazioni
della capacità di ossidare i carboidrati. In generale, tali alterazioni non sarebbero un adattamento positivo perché è noto che per ogni atleta, ad alte intensità, il combustibile richiesto è fornito dai carboidrati (i grassi non possono essere usati nella via anaerobica);
3 infine, è anche possibile che alle intensità intermedie non faccia molta differenza l’origine
del carburante (carboidrati o lipidi). Questo è forse il motivo per cui nelle ultramaratone
(intensità media relativamente bassa) gli atleti hanno successo sia con diete con elevata percentuale di carboidrati che viceversa.
Quindi, cosa possiamo concludere?
Secondo le ultime pubblicazioni, per sportivi che hanno bisogno di competere ad alta
intensità e desiderano migliorare le loro prestazioni, le diete LCHF non sembrano essere
quelle più appropriate. Sembrerebbe più indicato un approccio basato sulla
periodizzazione dell’alimentazione, con alternanza di periodi e allenamenti sostenuti con
un basso apporto di carboidrati e ad intensità minore (più lontani dai periodi delle gare) a periodi in cui gli
allenamenti sono sostenuti con diete ad alto contenuto di carboidrati.
Vale infine la pena di spendere due parole sull’integrazione con corpi chetonici.
Negli ultimi anni, gli studi sull’integrazione con questi prodotti si sono concentrati sugli
esteri dei chetoni (KE), mentre i primi passi in questo campo erano stati fatti con i sali dei
corpi chetoni.
L’integrazione con KE sembra essere efficace per determinare un rapido e sostenuto
incremento dei corpi chetonici a livello ematico. Esistono diverse formulazioni di KE, e la
più utilizzata è quella con beta-idrossi-butirrato. Alcuni studi riportano infatti che questo
KE, quando preso in combinazione con carboidrati, è risultato in grado di determinare un
aumento del 2% delle prestazioni in ciclisti allenati. Tuttavia, non tutti gli integratori di KE
aumentano le prestazioni dell’esercizio, creando dubbi tra necessità di una formulazione
precisa del KE e, viceversa, necessità dell’aggiunta di un substrato come i carboidrati. Da
notare che, gli studi disponibili si sono concentrati sulla prestazione fisica in atleti di
endurance di alto livello, mentre non è nota l’efficacia della stessa integrazione in atleti
non professionisti o semplicemente negli appassionati di fitness.
Dott. Ettore Pelosi
Medico Nutrizionista
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Re-Examining High-Fat Diets for Sports Performance: Did We Call the ‘Nail in the Coffin’
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