Nuovo anno, nuovi progressi. Che cosa porterà il 2016 a Vitalia? Sicuramente ancora più tecnologia, numeri, analisi. Il futuro è studiare il movimento in modo sempre più preciso: nella nostra palestra è già presente. Ecco alcuni strumenti che abbiamo sperimentato negli scorsi mesi e siamo pronti ad usare con voi. 

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Lo skialper Filippo Barazzuol (qui la sua storia) al lavoro con Riablo

Si fissano i sensori al torace, alle cosce ed alle gambe, si inizia un movimento ed ecco che sullo schermo davanti a noi appare la nostra silhouette; adesso alziamo una gamba e vediamo che con lo spostamento del corpo facciamo passare un’oggetto attraverso un cerchio. Oppure saliamo su una tavoletta sensorizzata e facciamo uno slalom tra gli ostacoli del video spostando il peso da una gamba all’altra.

Prepariamoci a fare un salto da fermi, siamo in posizione, in mezzo a due barre sul pavimento che attraverso un fascio di luce a infrarossi calcolano quanto per quanto tempo ci stacchiamo da terra, due telecamere filmano il movimento e immediatamente è disponibile il video dell’esercizio pronto ad essere analizzato. Corriamo su un tapis roulant e lunghezza di ogni passo, durata dell’appoggio a terra, simmetria della falcata vengono calcolate e analizzate. Sono le nuove tecnologie, quelle che ci permettono di guardare il movimento, di misurare gli angoli delle articolazioni, di capire come vengono attivati i muscoli. Analizzare, correggere, migliorare.

Queste sono le direzioni verso cui stiamo andando e queste sono le nuove strade che ci piace percorrere per aumentare le capacità di curare e far tornare in attività i nostri pazienti. Il nostro obiettivo è cercare attrezzature innovative ma al contempo facili che, senza procedure complicate, permettano di aggiungere informazioni ad ogni seduta. Crediamo che la rieducazione al movimento debba inevitabilmente passare dalla ricostruzione di schemi motori che, partendo da movimenti semplici, arrivi all’esecuzione di esercizi sempre più complessi. Per raggiungere l’obiettivo, il biofeedback fornito da strumentazione e software fornisce un enorme aiuto al medico, al trainer ed al paziente.

Riablo, esercizi guidati e test

I cinque sensori inerziali di Riablo, ad esempio, si indossano con fasce elastiche e trasmettono i movimenti degli arti e del tronco ad un tablet o ad un PC via Bluetooth. Insieme alla pedana di pressione acquisiscono informazioni tridimensionali della persona che esegue l’esercizio. I dati vengono poi elaborati dal software e l’utente può vedere in tempo reale il proprio movimento sul video. Tutti i movimenti eseguiti dall’utente sono preparati e selezionati dal professionista: Riablo permette in modo semplice di guidare verso la perfetta esecuzione di ogni esercizio fornendo importanti elementi di valutazione del gesto.

Tra le varie funzioni disponibili, Riablo ne ha una particolarmente utile per il trattamento di pazienti infortunati al ginocchio. L’azienda produttrice, CoRehab, ha infatti rilasciato il software “Back in action”, una batteria innovativa di test composta da 7 esercizi (inventati assieme al FIFA Medical Center of Austria) per valutare la capacità di ritornare allo sport di un paziente che ha subito un intervento chirurgico di ricostruzione del LCA (legamento crociato anteriore). Tutti i risultati sono confrontati con dati normativi della stessa età e sesso del paziente e, se un solo test viene misurato al di sotto del valore di norma, l’indicazione fornita è che al paziente non è permesso tornare allo sport. Il test è anche ampiamente utilizzato come strumento di valutazione per gli arti inferiori dal momento che è in grado di misurare Equilibrio, Agilità, Forza e Velocità separatamente o insieme, fornendo una chiara indicazione su eventuali asimmetrie. Il test viene utilizzato da atleti e non in tutto il mondo, con particolare attenzione allo sci, al calcio, il basket e la pallavolo.

Lo usiamo anche noi di Vitalia: insieme a tanta altra tecnologia che ci permette di rendere il nostro servizio sempre più efficace e risolutivo.

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E’ uscito in questi giorni il numero di giugno e luglio di Ski Alper, cifra tonda: è il centesimo. Nella consueta rubrica di Vitalia parliamo di running: meglio ammortizzati” o al naturale, con scarpe così minimal da farci sentire a piedi nudi? Ci sono pro e contro per ogni runner: valutate con attenzione quali sono le vostre caratteristiche. 

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C’è chi lo chiama barefoot running, natural running, pose running o chi running, ma la sostanza non cambia: la moda di correre con scarpe minimal sembra affascinare il mondo del trail. Il sogno di migliorare la tecnica di appoggio, ridurre gli infortuni e andare più forte spinge molti appassionati a orientarsi verso scarpe leggerissime con sistemi di ammortizzazione e stabilizzazione ridotti all’osso che promettono di far sentire il piede libero e a contatto con il terreno. Articoli di tecnica di corsa postulano teorie secondo le quali la suola pochissimo ammortizzata spinge il runner a correre meglio con appoggi sull’avampiede e con una frequenza di passi più alta. La teoria (e il messaggio di marketing delle aziende) su cui si è sviluppata questa tendenza è: l’uomo è nato scalzo e quindi è stato fatto per correre in maniera naturale, le calzature super ammortizzate hanno alterato la tecnica di corsa favorendo l’appoggio di tallone e addormentando la sensibilità del piede, ergo, riduciamo al minimo la suola e torneremo a correre come natura vuole. Affascinante? Sì. Vero? Vediamo.

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Per evitare di farci prendere da soggettivismi su base empirica del tipo ‘un mio amico che aveva male al ginocchio…, mio fratello che aveva la tallonite….’ , siamo partiti dai più recenti lavori scientifici pubblicati su riviste indicizzate (clicca qui per la bibliografia), ne abbiamo selezionati tre, li abbiamo letti e interpretati e riassunti nei punti salienti per presentarvi la versione più scientifica possibile della diatriba in maniera comprensibile.

Alcune doverose premesse

Primo punto: negli ultimi 50.000 anni l’uomo ha sviluppato calzature sempre più confortevoli adattandosi a esse. Dagli anni ’70 a oggi il numero di runner è aumentato esponenzialmente e molti di essi sono pesanti, non adeguatamente preparati muscolarmente o con problematiche biomeccaniche. Forse se non ci fossero le calzature ammortizzate i traumi sarebbero ancora più numerosi. Secondo punto: non c’è correlazione tra traumi e tipo di calzature. Sia che usino scarpe ammortizzate o minimal, l’eziologia degli infortuni risiede in complesse cause biomeccaniche. Terzo punto: non si possono trarre conclusioni univoche. Non lo permette la dinamiche delle cause e nemmeno la natura degli studi effettuati, che per di più sono stati condotti con modalità differenti (ad esempio su treadmill o su superfici fisse).

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La questione infortuni

Perché si dice allora che il barefoot running riduca gli infortuni? Il postulato di base trova il suo fondamento nel fatto che correre con una protezione minima o assente modifichi la tecnica di corsa portando il soggetto ad atterrare con il mesopiede o sull’avampiede. Ciò comporterebbe una miglior assorbimento delle forze di impatto e un miglior utilizzo della fascia plantare che agirebbe da ammortizzatore. Tale tecnica di corsa prevede anche un aumento della frequenza dei passi che dovrebbe essere di circa 170- 180/min. Il conseguente accorciamento della falcata comporterebbe angoli di lavoro meno accentuati nell’articolazione del ginocchio mentre aumenterebbe l’angolo di flessione plantare del piede. Purtroppo l’origine degli infortuni è molto complessa e dal punto di vista biomeccanico non sempre è possibile individuare un singolo fattore che sia assolutamente predittivo. Inoltre anche se così fosse non sarebbe facile correggerlo. Quali sono i più comuni infortuni del podista e come vengono influenzati da calzature minimal? Per semplificare le problematiche, i lavori analizzati hanno classificato le più comuni patologie da sovraccarico in cui incorrono i podisti confrontandole con i fattori predisponenti, su come essi vengano influenzati dal barefoot running e quindi sui potenziali risultati attesi.

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La tabella qui sopra, che abbiamo pubblicato su Skialper, dimostra ulteriormente che alcune patologie possono essere aggravate mentre altre possono beneficiare dall’uso di scarpe minimal. Studiandola è evidente, e lo ripetiamo di nuovo, che le conclusioni sull’effetto del barefooot running nelle varie patologie non sono univoche. Nelle fratture da stress della tibia e dei metatarsi, un aumento della pressione nell’impatto con il suolo causato dal barefoot running può aumentare il rischio di incorrere in queste patologie. Nella sindrome femoro-rotulea, si ritiene che un miglior allineamento del ginocchio e minor forze di impatto grazie all’appoggio sul meso e avampiede tipici del barefoot possano essere di beneficio nel prevenire e nel favorire la regressione delle problematiche. Per quanto riguarda la caviglia e le patologie del tendine d’Achille, a fronte delle teorie a favore del minimal, fondate sulle considerazioni del passo più corto e con minori forze di impatto, si associa una maggiore flessione plantare e una più alta sollecitazione dell’Achille che verrebbe quindi esposto a un maggior rischio di patologie da sovraccarico. Nella fascite plantare si può invece ipotizzare che il rinforzo dei muscoli che sostengono l’arco plantare causato dal correre con poca ammortizzazione possa essere di beneficio, ma anche in questo caso la conclusione è che è necessario approfondire gli studi e le ricerche.

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Ad ognuno la sua scarpa

Si può modificare la tecnica di corsa? Conviene farlo? I pareri sono anche qui discordi: quello che senz’altro si deve consigliare è la gradualità nel passaggio da scarpe ammortizzate a calzature minimal. Soprattutto chi corre con appoggio sul retropiede deve fare particolare attenzione nelle prime fasi in quanto la tecnica di corsa richiede tempo per modificarsi e il rischio è quello di aumentare piuttosto che diminuire gli infortuni nella prima fase. Le nuove calzature andranno quindi utilizzate per brevi tratti di corsa, qualche centinaio di metri, alternati a tratti di camminata. Da uno degli studi pubblicati si evince comunque che non è detto che chi corre con appoggio sul tallone riesca a modificare stabilmente la sua tecnica di corsa e quindi potrebbe essere ancora più esposto al rischio di infortunio con le scarpe minimal. Alla luce di quanto esposto finora, si può affermare che se si è trail runner non più giovanissimi e con una struttura fisica non leggerissima, l’opzione barefoot diventa ancora più rischiosa: si pensi a quanto vengano sollecitate le strutture muscolo tendinee del polpaccio e le articolazioni metatarsali che, per effetto dell’età, tendono naturalmente a essere meno elastiche. Infine, non dimentichiamo che, soprattutto nei trail lunghi, la fatica tende a causare un rallentamento dei riflessi e delle reazioni muscolari ed in queste situazioni l’uso di calzature scarsamente protettive può aumentare il rischio di infortuni.

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Il lavoro del nostro team per preparare RunningCharlotte alla DeeJayTen di Firenze procede spedito. L’abbiamo sottoposta all’esame della tecnica di corsa (qui il suo resoconto): il primo passo per migliorarsi è conoscersi! 

L’analisi del passo nella corsa e nella camminata

L’analisi della tecnica di corsa e camminata è stato fino a qualche anno fa appannaggio esclusivo di strutture dedicate alla ricerca in campo universitario o industriale. I costi e la complessità dei sistemi ne precludevano l’uso su larga scala e questo tipo di valutazioni restava accessibile ad atleti o tecnici addetti allo sviluppo di prodotti come ad esempio le scarpe da running.
Negli ultimi anni la diffusione di tecnologie a prezzi “democratici” ha reso accessibili anche ai centri minori le dotazioni strumentali, così che oggi si può offrire il servizio anche a sportivi dilettanti e a persone in fase di riabilitazione (e con risultati significativi).

Vitalia è dotata di tecnologia Optogait che permette di valutare il passo e la corsa su tapis roulant su due livelli: l’acquisizione dei dati (lunghezza e frequenza di falcata, tempo di contatto del piede a terra e tempo di volo) e la ripresa video del gesto (con due telecamere: frontale e laterale).

[Chi è la runner nel video? Te la presentiamo qui]

Come funziona

Optogait è un sistema di rilevamento ottico, composto da una barra trasmittente ed una ricevente. Ciascuna barra di un metro contiene 96 led (risoluzione 1,041 cm.). I led posizionati sulla barra trasmittente comunicano di continuo con quelli sulla barra ricevente. Il sistema rileva eventuali interruzioni e ne calcola la durata.
Questo permette la misurazione dei tempi di volo e di contatto durante l’esecuzione di una serie di balzi, con una precisione di 1/1000 di secondo o, nel caso in cui si applichino le barre lungo il tapis roulant, l’acquisizione dei dati della corsa o della camminata. Partendo da questi numeri di base, il software dedicato consente di ottenere con la massima precisione ed in tempo reale una serie di parametri legati alla prestazione del soggetto. L’assenza di parti meccaniche in movimento assicura precisione e grande affidabilità. Ma non è finita: le due telecamere associate al sistema registrano l’esecuzione del gesto in HD e grazie a ciò, in pochi minuti, è possibile visualizzare il gesto della corsa a diverse velocità e comparare i dati numerici con un’analisi video qualitativa.

Il dott Massarini e Charlotte in azione

Running Charlotte alle prese con il test

Perché analizzare il gesto della corsa

L’analisi computerizzata del passo permette di evidenziare eventuali asimmetrie nell’appoggio e nei tempi di contatto al suolo, rende visibili problematiche di prono-supinazione e di varismo-valgismo e molto altro. In base a queste osservazioni si potranno scegliere le calzature più idonee al proprio stile di corsa o si potranno pianificare lavori di rinforzo/allungamento muscolare personalizzati. Nel campo della rieducazione funzionale, è possibile posizionare il video del pc davanti al treadmill per visualizzare in tempo reale le informazioni sul passo. In tale modo si attiva un meccanismo di biofeedback che fornisce stimoli continui alla persona che si sta riabilitando.

In sintesi, l’uso di uno strumento come Optogait per l’analisi del passo nell’ambito medico arricchisce la possibilità di fornire indicazioni individualizzate per l’allenamento e la rieducazione e consente di analizzare con precisione la causa di patologie da sovraccarico funzionale presenti in molti podisti. Con questo tipo di test si completa quindi l’analisi funzionale del runner, nei suoi due aspetti della valutazione di parametri metabolici (lattato, FC) e di quelli di tipo kinesiologico-biomeccanico.

Contattaci per avere informazioni sul test con Optogait da Vitalia.

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