Il nostro nutrizionista Ettore Pelosi (lo presentiamo qui) ci illustra la sua “OmeoDieta”: come e perchè funziona, quali rinunce richiede e quanti (tanti!) vantaggi porta. Un metodo adatto agli atleti ma non solo. Buona lettura e buon appetito!

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L’OmeoDieta si sviluppa da alcuni anni sulla base delle nuove evidenze scientifiche nel campo dell’alimentazione e sulla base delle risposte osservate in ambulatorio nei pazienti e negli sportivi cui è stata adattata. Integra alimentazione e attività fisica e poggia il suo razionale su due principi fondamentali:

La qualità degli alimenti e la loro alternanza nell’arco della settimana sono i punti essenziali di OmeoDieta, una dieta che incoraggia a mangiare di tutto, senza focalizzarsi troppo sulle quantità (tranne in alcuni casi particolari, soprattutto per gli sportivi, nei quali queste possono essere fondamentali). Infatti, il risultato finale è dato dalle risposte ormonali determinate dall’alimento: risposte che sono maggiormente correlate con le sue caratteristiche nutrizionali, piuttosto che con le quantità che ne vengono assunte.

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Cosa vuol dire dieta “alcalinizzante”?

Per il nostro organismo un elevato apporto di sostanze alcaline è fondamentale e aiuta a prevenire l’insorgenza dell’acidosi metabolica latente, responsabile della riduzione generale della nostra qualità di vita, della stanchezza cronica (soprattutto quella mattutina) ed elemento predisponente allo sviluppo di numerose patologie tipiche della società del benessere. Ogni alimento può essere classificato sulla base del suo residuo in acidificante o alcalinizzante, all’interno di una scala definita PRAL (potential renal acid load): alimenti ricchi di proteine e anioni come i formaggi, la carne, il pesce e in minor misura i cereali e i legumi, sono acidificanti; alcalinizzanti quelli ricchi in cationi (frutta e verdura). Perciò una dieta in cui frutta e verdura tornano ad essere gli alimenti quantitativamente più rappresentati (come OmeoDieta o le diete su base vegetale), risulta alcalinizzante.

Qui un esempio di scala PRAL.

L’indice insulinico e l’indice/carico glicemico degli alimenti.

Indice e carico glicemico degli alimenti sono concetti ormai noti alla maggior parte degli addetti ai lavori in campo nutrizionale e non. Alcune diete molto famose sono state basate su di essi. Esprimono, rispettivamente, la velocità con cui il glucosio contenuto in una certa quantità di alimento passa nel sangue e la quantità totale di zuccheri presenti in quell’alimento che passa nel sangue. Le tabelle che esprimono per ogni alimento indice e carico glicemico chiariscono come oltre agli zuccheri semplici, ai primi posti, vi siano le farine e i cerali raffinati, ma anche pane e pizza, la maggior parte dei prodotti di pasticceria, ecc.

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L’indice insulinico di un alimento indica l’incremento dell’insulina che si ottiene a seguito dell’assunzione di 1000Kj (239 Kcal) dello stesso. Questo parametro è più significativo dei primi due; infatti, alimenti che non contengono zuccheri come lo yogurt e il latte presentano un indice insulinico uguale o superiore a quello del pane bianco. Lo studio della risposta insulinica determinata dagli alimenti è fondamentale per prevederne gli effetti complessivi sulla nostra salute.

Qui un esempio di tabella degli indici glicemici.

Dalla teoria alla pratica

Ricapitoliamo dunque le basi razionali dell’OmeoDieta. E’ una dieta:

  1. alcalinizzante
  2. costituita da alimenti e combinazioni alimentari di basso indice insulinico e glicemico
  3. povera di grassi saturi
  4. povera di sostanze pro-infiammatorie come glutine e grassi animali
  5. con apporto ridotto e controllato di sostanze nervine

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Principi che tradotti in azioni concrete diventano:

  1. mangiare in quantità libere verdure e alcuni frutti per alcalinizzare
  2. seguire prevalentemente una dieta dissociata, per ridurre l’indice insulinico e glicemico del pasto. Cioè utilizzare verdure e ortaggi in associazione a carboidrati complessi o proteine (esempio: riso venere con verdure saltate; minestra di lenticchie, petto di pollo al limone con verdure grigliate)
  3. limitare la carne, i formaggi, gli alimenti contenti strutto, burro, margarine, per ridurre i grassi saturi. Prediligere invece le proteine vegetali che si ritrovano nei cereali, nei legumi, nella frutta secca e in piccole, ma significative quantità, nelle diverse verdure, ortaggi, frutta.
  4. limitare il glutine, utilizzando spesso i cereali senza glutine e gli pseudo cereali a rotazione (pseudo cereali: grano saraceno, quinoa e amaranto; cereali senza glutine: riso, miglio, mais; cereali con glutine: frumento, farro, orzo, segale, avena e grano karasau).
  5. limitare le sostanze nervine come quelle contenute in caffè, tè, cacao, cola e alcol.

OmeoDieta: i grandi “no” 

“Dottore, posso fare qualche volta colazione al bar con cappuccino e cornetto?”
“No, perché questo classico della colazione ha un effetto iperinsulinemizzante e ipoglicemizzante. L’insulina infatti viene stimolata contemporaneamente da farina raffinata, zucchero e grassi idrogenati contenuti nel cornetto e da latte e zucchero del cappuccino…”
“Dottore… ma la pizza?”
“Devo proprio ripeterlo ;-)?”

Vuoi una dieta personalizzata? Prenota una visita con il dott. Pelosi.

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Capita di correre per dimagrire e non… dimagrire. Capita di fare scialpinismo per dimagrire e non… dimagrire. Capita. Ma perché? Lo abbiamo spiegato sull’ultimo numero di Ski-Alper: ecco l’articolo.

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Come siamo fatti

Il nostro corpo è costituito da ossa, visceri, muscoli e tessuto adiposo, ma soprattutto di acqua che rappresenta dal 50-60% del peso totale. Il tessuto adiposo è distribuito nel sottocute e tra i visceri. La sua funzione è quella di proteggere dagli urti, dal freddo, dare sostegno agli organi interni ma il grasso corporeo concorre a produrre sostanze (adipochine) responsabili di uno stato di infiammazione cronica che favorisce l’insorgenza di malattie cardiovascolari.

Il dimagrimento come perdita di massa grassa

Nell’atleta che pratica corsa in montagna o scialpinismo il grasso corporeo rappresenta una zavorra da dover portare in salita e quindi si cerca di tenerlo al minimo. La percentuale di massa grassa non dovrebbe comunque superare il 12-15% del peso corporeo. Le metodiche più diffuse per determinarla sono la plicometria, misurazione delle pliche cutanee con apposito strumento, e la bioimpedenza. Una tecnica che determina la percentuale di grasso corporeo valutando l’impedenza misurata da una micro corrente che attraversa il corpo e calcolando la composizione corporea in funzione del fatto che il tessuto muscolare, essendo più ricco di acqua, è un migliore conduttore.

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Il dimagrimento come effetto del bilancio negativo tra spesa e incasso

Innanzitutto è bene precisare che per perdere un kilo di massa grassa è necessario bruciare 7-9000 kcal, ovvero creare un deficit tra entrate ed uscite pari a tale quantitativo calorico. L’obiettivo può essere raggiunto con un aumento del volume di allenamento, riducendo l’assunzione di alimenti o con entrambe. Purtroppo molte persone vivono più di percezioni che di realtà e, sulla base di queste, capita che si tenda a sovrastimare la quantità di allenamento ed a sottostimare la quantità di cibo. Per ovviare al problema, il suggerimento è quello di rendere il più obiettivi possibili i dati relativi agli allenamenti e dell’alimentazione seguita. Per l’allenamento, basterà utilizzare con regolarità un cardio-GPS (come vi consigliamo qui) e scaricare i dati su PC o installare una delle molte app di monitoraggio sportivo; tra tutte, forse la migliore è Strava (ne parliamo qui). Più difficile tenere conto di ciò che si mangia. Capita infatti di “spizzicare” qualcosa qui e là senza ammetterlo neanche con noi stessi. Il consiglio è di tenere in tasca carta e penna o di scrivere nelle note di uno smart phone tutto quello che si mette in bocca. Con un po’ di pratica o con l’aiuto di un esperto (medico, nutrizionista) si dovrebbe riuscire a capire se mediamente il saldo calorie spese/calorie assunte è negativo o positivo. Attenzione comunque a non abbassare troppo l’apporto calorico giornaliero. Negli sportivi è infatti essenziale mantenere un regime alimentare adeguato agli allenamenti che vengono svolti altrimenti si rischia di incorrere in un drastico calo della performance.

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I fattori che influenzano il dimagrimento: tipi di alimenti, distribuzione dei pasti nella giornata

A volte però, anche se i “numeri di bilancio” sono negativi, l’ago della bilancia non scende. Come mai? In questi casi bisogna indagare su come e quando si mangia. In altre parole, le stesse calorie giornaliere distribuite in modo diverso durante la giornata e con percentuale di nutrienti corrette possono generare effetti diversi sul metabolismo.

Ecco gli errori più frequenti:
• tendenza ad assumere la maggior quantità di calorie con il pasto serale
• assumere pasti ricchi di carboidrati lontano dagli allenamenti
• assumere carboidrati ad alto indice glicemico (pane di farina 00, pasta, riso, patate, bevande dolcificate, alcol)
• assumere una limitata quantità di verdure
• tenere bassi, non più del 10% delle calorie giornaliere, i grassi saturi

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Vediamo quindi come correggere questi errori:
• assumere una piccola quantità di carboidrati a basso indice glicemico 1-2h prima dell’allenamento se si prevede che esso sia intenso
• ristabilire le scorte di glicogeno muscolare nella fase immediatamente successiva all’allenamento. L’ideale è reintrodurli entro 40’ perché in tal modo andranno a ricostituire le scorte di glicogeno muscolare evitando che essi vengano trasformati in grassi di deposito
• scegliere carboidrati a basso indice glicemico da alimenti ricchi di fibra, selezionare quindi farine integrali e cereali grezzi
• dare rotazione alla fonte di carboidrati. Alternare per esempio, farine integrali, orzo, kamut, riso integrale.

La perdita di peso dovrebbe essere di circa 0,5 kg/sett e dovrebbe essere costituita essenzialmente da massa grassa, mentre le oscillazioni di peso legate alle perdite di liquidi con il sudore dovrebbero essere rapidamente corrette con la reintroduzione di bevande leggermente ipotoniche per essere più velocemente assorbite. In conclusione, la quantificazione esatta della spesa calorica, la scelta degli alimenti e la loro distribuzione nell’arco della giornata in funzione degli allenamenti garantiranno il raggiungimento del risultato e del miglioramento prestativo.

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A piedi, in bici, sulla neve: le fatiche estreme sono l’ultima frontiera dello sport. Se siete entrati nel tunnel, fate attenzione: non bastano le tabelle e i programmi d’allenamento, serve anche una dieta adeguata. Ne avevamo parlato qui, oggi ci torniamo con uno speciale sulle gare: che cosa e quanto mangiare per arrivare (sani, salvi e in fretta) al traguardo?

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Il mondo dell’ultra-endurance e quello dell’ultra-trail (che ne fa parte) sono in continua crescita sia come numero di eventi che di partecipanti. Si classificano come ultra-endurance tutte quelle attività che si prolungano oltre le 4-6 ore e comunemente riguardano corsa, trail, ciclismo, scialpinismo e triathlon (mezzo Ironman ed Ironman). Cimentarsi con l’ultra-endurance vuol dire andare alla ricerca del proprio limite, fisico e mentale, nel tentativo di raggiungerlo e di spostarlo. Per fare questo è fondamentale un’organizzazione meticolosa e razionale che non preveda solo grandi dosi di allenamento ben strutturato, bensì anche il giusto recupero, insieme all’alimentazione più appropriata e alla preparazione psicologica.
E nel momento della gara, oltre a lavoro, condizione e motivazione, è necessaria una perfetta strategia nutrizionale. Le principali problematiche riscontrate in questo tipo di prove sono infatti tutte strettamente correlate con l’alimentazione. Tre in particolare: la deplezione di glicogeno, la disidratazione o il sovraccarico idrico, i disturbi gastro-enterici. Ecco qualche consiglio.

Chi mangia di più arriva prima

Il dispendio calorico di queste prestazioni è altissimo; si stimano circa 350-750 Kcalorie per ora; in media per un ultra 18.000-80.000 Kcalorie! Queste quantità non sono colmabili nell’arco della competizione e il deficit energetico è da considerarsi la norma. In una gara di ultra, si assiste in tutti i partecipanti ad una riduzione di massa grassa e massa muscolare, ma si evidenzia anche una chiara relazione inversa tra assunzione calorica e tempo finale nella competizione (in poche parole chi mangia di più arriva prima!!!).

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Bastano 3/4 ore per esaurire le scorte di carboidrati accumulati nei giorni prima della gara

L’alimentazione in gara dovrebbe principalmente essere basata su carboidrati con alto indice glicemico; infatti le scorte di glicogeno epatico e muscolare sono limitate. In attività con intensità pari a quelle mantenute nell’ultra-endurance (che non superano il 70% della VO2max) il muscolo necessita sia dei carboidrati che dei lipidi. Ma se i lipidi sono presenti nel nostro corpo in quantità sufficienti a competere per settimane, i carboidrati viceversa sono molto limitati e possono venire a mancare già dopo 3-4 ore dalla partenza. Perciò i carboidrati devono essere consumati in grandi quantità durante la gara (oltre che accumulati in precedenza con il carico glicidico da effettuare negli ultimi due-tre giorni prima della stessa), per mantenere elevati i livelli di glicogeno muscolare, epatico e la glicemia. La quantità di carboidrati dovrebbe rappresentare circa il 70% delle calorie totali (più di 10gr/kg/die), da assumersi attraverso bevande zuccherate (tra il 5 e il 10%), gel iso- ipotonici e alimenti ad elevato indice glicemico, in quantità comprese tra i 30 e gli 80gr per ora.

Bere, ma non troppo

Ma l’area su cui si sono concentrate la maggior parte delle ricerche di questi ultimi anni è quella dell’equilibrio idro-salino. In questo campo, inizialmente, le principali preoccupazioni erano legate al pericolo della disidratazione che si osserva in molti atleti a seguito di un sforzo di lunga durata. Basta infatti una disidratazione del 2% del peso corporeo perché si presentino i primi sintomi legati alla riduzione delle capacità cognitive e fisiche. I lavori più recenti hanno però messo in evidenza che nelle gare di ultra-endurance più che la disidratazione deve preoccupare il sovraccarico idrico e il conseguente rischio della “sindrome iponatriemica associata a sforzo”.

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Troppi liquidi appesantiscono. Nella corsa meglio non superare i 300-500mL/h 

Oggi l’iponatriemia associata a sforzo, insieme ai problemi gastro-enterici, è la più comune complicanza medica che si riscontra in queste competizioni. Numerosi studi hanno evidenziato una chiara correlazione inversa tra cambiamenti del peso e concentrazione del sodio, con gli atleti che incrementano di peso durante la gara (a causa dell’eccessiva assunzione di liquidi), che mostrano le maggiori riduzioni di concentrazione del sodio plasmatico (iponatriemia)! Gli esperti concordano inoltre sul fatto che l’iponatriemia sia legata al sovraccarico idrico e non alle perdite di sodio dovute alla sudorazione. Gli atleti delle ultra-endurance perciò devono limitare l’assunzione di liquidi a 300-500mL/h nella corsa (500-800 mL/h durante la bici) con un’ulteriore limitazione nelle donne e nei soggetti più magri.

Zuccheri e sodio per l’intestino

Oggi si ritiene che bevande contenenti un 5-10% di glucosio, polimeri del glucosio (maltodestrine) e altri zuccheri semplici non determinino alterazioni della funzione gastro-enterica, e la loro assunzione consente di provvedere contemporaneamente al reintegro dei liquidi e degli zuccheri necessari per la competizione. Nelle prove di Ironman, l’assunzione orale di sodio (500-1000 mg/litro) è stata associata ad un lieve ma non significativo aumento delle concentrazioni di sodio e ad una riduzione della perdita di peso, evidenziandone un possibile ruolo nel mantenimento dell’equilibrio idro-salino. Inoltre la presenza di sodio in bevande contenenti glucosio o altri zuccheri semplici, ne facilita l’assorbimento intestinale. L’insorgenza di problemi gastro-enterici è stata correlata con l’assunzione di soluzioni ipertoniche (con concentrazioni di zucchero troppo elevate), fibre, grassi e proteine.

_MG_5399Per gli sci alpinisti c’è una difficoltà in più: il freddo non aiuta la digestione 

La comparsa di disturbi intestinali obbliga a ridurre l’intensità dell’esercizio sostenuta fino a quel momento e ad interrompere l’assunzione di tutto (liquido o alimento che sia). In queste fasi, l’unica alternativa per aiutare la mente è rappresentata dal periodico risciacquo della bocca con soluzioni di acqua e zucchero (al 5-10%) per alcuni secondi (5”); sembra infatti che attraverso recettori presenti nella cavità orale, il glucosio sia in grado di stimolare aree del sistema nervoso centrale legate alla motivazione ed alla percezione di fatica (con aumento della motivazione e riduzione della sensazione di fatica).

In conclusione nelle prove di ultra-endurance è essenziale pianificare la più appropriata delle strategie nutrizionali, onde ottenere una migliore performance e completare la gara in sicurezza. Per tutti gli atleti che intendono cimentarsi in queste competizioni è importante che durante gli allenamenti si tenga conto anche di questi aspetti e che si alleni la capacità di alimentarsi e di idratarsi con gli alimenti/liquidi più appropriati.

Clicca qui per leggere la bibliografia.

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Primo articolo del dott. Ettore Pelosi, medico, nutrizionista e maratoneta, appena entrato nel team Vitalia. In attesa di conoscerlo potete assaggiare qui la sua “Omeodieta” e scoprire perché sono importanti i carboidrati nell’alimentazione di chi pratica sport di fatica. 

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Da sempre l’alimentazione è fondamentale nella preparazione atletica e non c’è sportivo di qualunque livello che non abbia maturato le proprie convinzioni sul tema. Ma, soprattutto, su una ideale supplementazione: termine con cui s’intende l’assunzione di elementi nutrizionali necessari a supportare il surplus di energia richiesto dal metabolismo dell’atleta. Insieme ad allenamento e recupero, l’alimentazione è oggi considerata la base per la preparazione dello sportivo professionista ed amatoriale. E non ci sono più dubbi sul ruolo preminente dei carboidrati per lo svolgimento dell’attività sportiva: sono la fonte energetica essenziale e limitante di qualsiasi disciplina.

Le riserve

Bisogna sapere infatti che durante i periodi di allenamento intenso i depositi muscolari di glicogeno vanno incontro ad ampie fluttuazioni giornaliere: le riserve corporee sono limitate e possono durare da un minimo di 90 minuti fino ad un massimo di 3 ore per allenamenti di moderata/elevata intensità (65-85% VO2max). La riduzione di tali riserve si associa ad esaurimento durante l’esecuzione di un esercizio intenso e prolungato, ma anche all’aumento degli infortuni muscolari ed alla depressione del sistema immunitario.

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Per sostenere le migliori performance atletiche sono quindi indicate diete ad alto contenuto di carboidrati, basso contenuto di lipidi e moderato contenuto di proteine. Infatti, il principale obiettivo nutrizionale è quello di garantire il fabbisogno energetico per i muscoli e gli altri tessuti, onde ritardare la comparsa della fatica, promuovere gli adattamenti muscolari attivati con l’allenamento e consentire il ripristino delle riserve di glicogeno muscolare e la riparazione delle fibre danneggiate.

L’equilibrio energetico

Un’adeguata assunzione energetica è insomma condizione necessaria (purtroppo non sufficiente) per il raggiungimento di una prestazione atletica ottimale. Un regime equilibrato rispetto ai fabbisogni è il pilastro portante dei condizionamenti anatomo-funzionali promossi dall’allenamento e finalizzati al raggiungimento della migliore forma atletica. Un corretto bilancio energetico si ottiene quando l’assunzione calorica (risultante della somma dell’energia ricavata da alimenti, liquidi e supplementi) eguaglia la spesa energetica (risultante dalla somma del metabolismo basale, effetto termico degli alimenti e spesa energetica per lo svolgimento delle attività giornaliere e dell’allenamento).

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È importante che durante i periodi di allenamento gli sportivi assumano quantità sufficienti di calorie per mantenere peso e composizione corporea appropriati. Livelli inadeguati di assunzione calorica determinano la compromissione delle prestazioni e dei benefici derivanti dall’allenamento: la perdita della massa magra determina perdita di forza e resistenza muscolare così come compromissione delle funzioni del sistema immunitario, endocrino e muscolo-scheletrico. Il perdurare di un basso introito calorico può anche determinare uno stato di malnutrizione con alterazioni metaboliche secondarie a deficienze di nutrienti e riduzione del metabolismo basale.

Per far fronte a tutto questo, il nutrizionista deve stimare correttamente le necessità caloriche dell’atleta, che variano in funzione del sesso, dell’età, dei principali valori antropometrici, della composizione corporea, del tipo di sport praticato e delle ore di allenamento. Dovrà inoltre impostare una supplementazione adeguata e personalizzata.

Qualche numero

La dieta di uno sportivo è equilibrata se i vari carboidrati (fonte energetica primaria e limitante per qualsiasi disciplina sportiva) coprono il 55-70% delle calorie totali giornaliere (idealmente 10-15% oligosaccaridi, 40-60% polisaccaridi). In realtà, più che di percentuale di apporto calorico è opportuno parlare di introiti in grammi per kilo di peso corporeo.

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Si tenga inoltre presente che recenti raccomandazioni circa l’assunzione giornaliera di carboidrati riconoscono per i diversi gruppi di atleti quantità diverse in funzione della dimensione corporea e del carico di lavoro in allenamento. I target di 7-10 g/Kg (ma anche fino a 12) per carichi più intensi e 5-7 g/Kg per carichi più moderati rappresentano una raccomandazione generica che deve essere, tuttavia, adeguata agli obiettivi nutrizionali ed ai riscontri prestazionali di ogni singolo atleta. Infatti l’elemento più importante nella determinazione delle riserve di glicogeno muscolare è la quantità di carboidrati assunta; gli studi dedicati, sebbene estremamente eterogenei, suggeriscono che esista una relazione diretta e positiva tra quantità di carboidrati assunta e deposito intramuscolare di glicogeno, almeno fino a che non sia stata raggiunta la soglia di accumulo muscolare. Attenzione: a differenza dei depositi di lipidi, quelli di glicogeno sono molto limitati e, quando massimali, sufficienti per coprire dispendi energetici nell’ordine di 2000 kcal. Così con la riduzione del glicogeno muscolare si riducono sia l’intensità del lavoro muscolare che quella dell’esercizio fisico. La riduzione del glicogeno muscolare si associa anche ad infortuni muscolari e depressione del sistema immunitario.

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L’importanza del recupero

Atleti di ogni disciplina devono pertanto essere in grado di ristabilire le riserve muscolari di glicogeno tra due sessioni di allenamento giornaliere e/o tra due allenamenti in giorni consecutivi. Assunzioni elevate di carboidrati migliorano la performance nella singola sessione di allenamento così come il recupero e la performance nella sessione successiva. Talvolta però, nonostante un’adeguata assunzione di carboidrati, le concentrazioni di glicogeno muscolare possono non essere completamente ristabilite nelle 24-48 h successive ad una gara/allenamento molto stressante (come per esempio nella maratona). In questo caso l’allenamento dovrebbe essere ridotto o i tempi di recupero tra due sessioni aumentati, onde evitare il rischio di infortuni. E’ chiaro che i benefici che si possono trarre favorendo un recupero rapido e completo tra due sessioni di allenamento si possono trasformare nel tempo in un migliore adattamento all’allenamento stesso e, di conseguenza, in un miglioramento delle performance in gara.

Clicca qui per leggere la bibliografia.

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Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo trovato la strada per la salute. (Ippocrate 460-377 a.C.)

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Questo concetto, così antico, e all’apparenza così elementare ha in sé una forza incredibile. Eppure, a distanza di 2500 anni, la popolazione si ammala sempre di più per malattie che trovano nella cattiva alimentazione e nella sedentarietà la propria radice più profonda. Di esercizio ci occupiamo quotidianamente, di alimentazione abbiamo parlato meno, pensiamo sia quindi giusto affrontare l’argomento perché gli errori commessi ogni giorno portano le cellule del nostro organismo ad invecchiare precocemente e concorrono all’instaurarsi di uno stato di infiammazione silente che precede il manifestarsi della sindrome metabolica (ipertensione, obesità e ipercolesterolemia), delle malattie cardiovascolari (aterosclerosi, ictus ed infarto) e dell’Alzheimer.

Come s’instaura uno stato di infiammazione silente?

Un’alimentazione ricca di carboidrati, soprattutto quelli presenti nella pasta di farina 00, nel riso, nei dolci, nel pane e nelle patate, provoca un aumento della glicemia che viene regolato da un ormone secreto dal pancreas, l’insulina, che ha la funzione di mantenere entro livelli “normali” lo zucchero nel sangue. L’insulina abbassa la glicemia spingendo lo zucchero all’interno delle cellule. Qui si aprono due possibilità: utilizzarlo come carburante per il movimento o immagazzinarlo. Quando questo zucchero è in eccesso rispetto alla richiesta di energia viene però trasformato in grassi che si accumulano e che innescano la produzione di fattori che determinano lo stato di infiammazione silente. A ciò si aggiunge che nella dieta attuale assumiamo grandi quantità di acidi grassi saturi i quali contribuiscono all’aggravamento del quadro generale.

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Cercare l’equilibrio

Le proteine, macronutriente presente nelle carni, nel pesce, nelle uova, nei latticini e nei legumi, stimolano la secrezione di un altro ormone, il glucagone, anch’esso prodotto dal pancreas e che ha un effetto opposto a quello dell’insulina: libera infatti gli zuccheri immettendoli in circolo. Cominciamo quindi a capire come, attraverso un’alimentazione in cui proteine e carboidrati siano in equilibrio, possiamo controllare la secrezione di questi due ormoni ed i processi ad essi correlati. Stesso discorso per gli acidi grassi saturi, che dovrebbero essere assunti in quantità inferiori al 10% delle calorie totali giornaliere ed bilanciati con i grassi insaturi (Omega 3). Gli acidi grassi saturi sono presenti soprattutto nelle carni, nei latticini e nel tuorlo dell’uovo, mentre gli insaturi si trovano nel pesce e nell’olio di oliva.

Che cosa provoca l’invecchiamento precoce delle nostre cellule? Il fattore principale che determina l’invecchiamento precoce delle cellule e quindi dei tessuti che costituiscono è rappresentato dai radicali liberi che sono specie chimiche instabili in grado di alterare la struttura della membrana cellulare danneggiandone e alterandone l’integrità. In condizioni ottimali, lo stress ossidativo viene controbilanciato da sostanze antiossidanti prodotte dall’organismo stesso o introdotte dall’esterno con gli alimenti.

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Come difendersi dallo stress ossidativo

La natura ci offre la possibilità di assumere cibi ricchi di sostanze antiossidanti che prendono il nome di polifenoli. Essi sono contenuti nelle verdure e nella frutta, soprattutto nelle bucce e sono i responsabili della loro colorazioneUna tavola piena di colori è quindi un riscontro che stiamo assumendo una buona varietà di queste preziose sostanze. Inoltre i polifenoli regolarizzano la flora batterica intestinale.

Proviamo a capire il problema: nel nostro intestino vive una enorme quantità di batteri che viene condizionata dal tipo di dieta seguito. Un’alterazione della flora batterica può provocare un’infiammazione cronica: nell’intestino si viene a creare una porta di ingresso per batteri, tossine e frammenti proteici come ad esempio il glutine. Una delle cause più frequenti di modificazione della flora batterica è l’assunzione di carne proveniente da animali di allevamento che spesso vengono trattati con antibiotici per accelerarne la crescita.

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La “vera” dieta mediterranea

Da quanto detto fin qui, si potrebbe dire che la famosa dieta mediterranea, quella rappresentata dalla piramide alla cui base troviamo pasta e pane sia rovesciata da evidenze scientifiche che dimostrano come l’eccesso di carboidrati e di grassi saturi favorisca l’instaurarsi di uno stato pro-infiammatorio predisponente al diabete di tipo II ed alla malattia cardiovascolare (aterosclerosi) oltre che favorire un invecchiamento precoce dei tessuti. Per contro una dieta equilibrata dovrebbe essere ricca di verdura, frutta, proteine di alta qualità e con una ridotta quantità di zuccheri e grassi saturi ed infine integrata con acidi grassi Omega 3 e polifenoli. E forse era proprio questa la “vera” dieta mediterranea che trovava nelle verdure di stagione, nell’olio di oliva, nel pesce azzurro e nella frutta le sue principali fonti caloriche a cui si aggiungeva una modesta quantità di cereali integrali forniti dal farro, dall’orzo e dal kamut.

Senza dimenticare l’esercizio fisico, che potenzia ulteriormente i meccanismi di difesa naturali.

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Dopo la chiacchierata con Max Lelli è la volta di un altro Max ai “microfoni” di Vitalia. Quello di oggi si chiama Testa ed è il medico di squadra della BMC cyclingDoctor Testa è un vecchio amico ed è uno che di Tour ne ha seguiti più di venti (qui l’intervista con la sua storia). Lo raggiungiamo al telefono mentre è all’arrivo di Oyonnax in attesa dei corridori.

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Max con i suoi ragazzi del Team BMC

Allora Max, come sta andando?

E’ un Tour durissimo. Tra cadute, fratture e farmacie dove andare a fare “shopping” non ho avuto un minuto di tregua in questi primi dieci giorni.

Come stanno i tuoi corridori?

Devo medicarne tre e ognuno tre volte giorno: la mattina, dopo l’arrivo e la doccia e prima di andare a letto. Ho consumato due valigie di farmaci e medicazioni negli ultimi tre giorni. Burghardt ha avuto una rottura del legamento acromio-claveare e sta correndo con un taping semirigido che gli faccio tutte le mattine. Soffre comunque moltissimo e fa fatica a spingere sul manubrio: è una lesione molto simile a quella che ha tolto di gara Froome.

Poi c’è stata la caduta di Atapuma…

Ha riportato una frattura al femore. Per la cronaca, una frattura che non avevo mai visto: si spiega solo con un tremendo colpo al ginocchio che scaricandosi sull’asse del femore ha procurato una linea di infrazione verticale.

Le Tour de France 2014 - Stage Seven

Non si contano le cadute al Tour 2014: vince chi resiste

Insomma un bollettino di guerra.

Il motivo principale è che c’è stato un tempo orrendo. Anche Tejay è un po’ provato dalle cadute, ma spero si riprenda bene nei prossimi giorni perché ha un’ottima condizione e può ancora dire la sua, soprattutto nella crono di 55 km.

Che cosa sai della caduta di Contador?

I nostri ci hanno raccontato che Alberto è arrivato dall’esterno della curva, velocissimo. La ruota anteriore è andata nel fango al lato della strada e lui è stato sbalzato di sella: la sua bici è rimbalzata al centro della carreggiata dove è stata schivata per un pelo dagli altri.

E adesso? Giochi chiusi e Nibali in carrozza fino a Parigi?

C’è ancora tanto da fare, i francesi gli faranno la guerra. Gli avrebbe fatto comodo avere un altro uomo da classifica (Contador o Froome) con cui dividere il peso degli attacchi. Ora lui è l’unico uomo da battere e con Alpi, Pirenei e lunga crono finale tutto può ancora succedere. Certo che Vincenzo è in gran forma e sta correndo benissimo.

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Contador si è dovuto ritirare per una frattura alla tibia

La sorpresa di quest’anno?

Il ritorno del ciclismo francese con pretendenti di tutto rispetto: Bardet, Gallopin e Pinot. Sono tre ciclisti forti e con buone squadre. Ai Francesi il podio manca da secoli…

E il doping?

Il livellamento è segno che lo sport è diventato più pulito. Nessuno riesce a fare un attacco di quelli che si vedevano dieci anni fa: si ha paura di sparare un’azione e di restare sui pedali. Invece ormai tutte le squadre hanno il nutrizionista che dà ordini allo chef.

Che ordini?

Rispetto al passato la dieta si è leggermente modificata. Oggi si tende a non superare il 55% di carboidrati, ma sono aumentate le proteine e i grassi vegetali. Ad esempio, noi usiamo molto l’avocado.

Ci si vede sull’Izoard?

Vi aspetto! E’ così vicino a voi!

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Qualche dritta per godersi la corsa. 

Giocate d’anticipo

La corsa inizia due giorni prima.

Venerdì sgambata leggera con qualche allungo di 50 m nel finale.

Da venerdì sera, ogni pasto deve contenere una porzione abbondante di carboidrati (70-80 g di pasta o 60 di riso o 2 patate bollite). Questo è più importante per chi corre la mezza.

Colazione leggera per chi corre la 10 km (2 fette di pane integrale tostato con miele o marmellata, spremuta, tè o caffè) mentre chi parte per la mezza può seguire lo schema del toast, cereali con yogurt, spremuta e caffè o tè.

Nell’ora prima della partenza, la solita borraccia da 500 cc con maltodestrine.

Farà freddo?

Domenica sono previsti 7-9 gradi con un po’ di brezza e forte umidità. Se così fosse, meglio stare coperti fino a poco prima del via e continuare a muoversi anche in griglia.

Utile massaggiare le gambe con un olio da riscaldamento.

 

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