Buona la prima: nel ponte del 25 aprile si è conclusa la stagione di Filippo Barazzuol, scialpinista della Nazionale classe ’89 che quest’anno ha scelto di allenarsi con Vitalia. Il lavoro è cominciato in autunno (qui raccontiamo come) e proseguirà nell’estate: Barazzuol è anche un ottimo ciclista e con il caldo le sue salite continuano sulle due ruote. Prima però, un po’ di pausa e un bilancio sull’inverno.
Torinese, classe ’89, Il miglior risultato di “Pippo” Barazzuol, quest’anno, è il terzo posto agli Italiani Individuali
Fine della fatica. Bottino pieno?
Sì. Sono riuscito a replicare i risultati dello scorso anno e sono migliorato sul tecnico: ho reso di più. Con il terzo posto nei campionati italiani individuali ad Ahrntal mi sono tolto una bella soddisfazione.
Il clima ha reso tutto difficile.
Il calendario subiva continue modifiche ed era impossibile programmare la preparazione a lungo termine. Con Massarini abbiamo lavorato di settimana in settimana, anzi di giorno in giorno, modificando il piano in base al meteo e alle mie condizioni. Le valutiamo quotidianamente.
E per gli allenamenti?
Uso Strava e Massarini dal suo pc analizza la mia prestazione. Così ogni giorno capiamo come sto rendendo e adattiamo su misura le sedute successive. Il confronto con lui è prezioso: ragiona dal punto di vista fisiologico e conosce la disciplina. Nello scialpinismo non esiste la figura del preparatore…
Come facevi prima di appoggiarti a Vitalia?
Da solo. Ero seguito per la mountain bike: modulavo quella preparazione sullo sci alpinismo. Lavoravo su volume e intensità acquisiti in bici, per trasformare gli stimoli dalla Mtb allo scialpinismo. Invece con Massarini abbiamo deciso di concentrarci sull’intensità: il volume che faccio d’estate, sulle due ruote, va bene anche per l’attività sulla neve.
Sul fronte alimentazione?
Sono seguito da Ettore Pelosi, nutrizionista di Vitalia. Con lui effettuo periodicamente test bioimpedenziometrici, che rivelano peso e idratazione: più che i valori assoluti, studiamo i trend e l’andamento della stagione.
Sei anche tu del settore?
Sono un biologo. Sono cresciuto a Torre Pellice, ma da quest’anno lavoro e vivo a Mondovì: vicino alle montagne.
Sei in nazionale ma non sei un professionista?
La squadra conta 8 atleti, con un allenatore e i tecnici che ci aiutano per logistica e burocrazia. La maggior parte dei miei compagni appartiene ai gruppi militari. Io e un altro invece lavoriamo. Sono fortunato, però, ho orari flessibili.
Giornata tipo?
Mattina in ufficio, nel pomeriggio sempre almeno un’oretta di allenamento: bici, skiroll e se ci sono le condizioni due uscite alla settimana con gli sci.
Niente corsa?
Non la amo. Mi piace solo la salita: in discesa ho male alle ginocchia e non sento la velocità, la mia passione.
Sulla neve la discesa è il tuo forte.
Ho praticato lo sci alpino: ho smesso perché non mi piaceva rimanere in pista. Così ho iniziato a girare fuori, era il 2008, l’anno delle grandi nevicate: poi nel 2010 le prime gare. Il mio passato è un vantaggio importante: come nella Mtb, anche nello scialpinismo servono tecnica e motore. È difficilissimo guadagnare un minuto in salita: in discesa invece è un attimo…
Com’è il livello degli italiani nell’ambiente?
Altissimo. In media, in una gara di Coppa del Mondo, cinque dei primi dieci sono azzurri.
Perché non se ne parla?
È uno sport in crescita, ma difficile da seguire. Per coinvolgere più spettatori si sta puntando sui Vertical e le sprint. Non mi piacciono, però, perché snaturano lo ski alp, che nasce come l’evoluzione dell’andare in montagna.
Gli sponsor che sostengono Filippo sono Karpos, Movement, Scarpa, ATK, CAMP e Penta Power
Problema di cultura?
E tradizioni. Penso alla Pierra Menta: la manifestazione simbolo del movimento. Nel passaggio sul Grand Mont ci sono due ali di folla e 4 mila persone. Ma in quel paesino francese il calcio è meno importante dello scialpinismo…
Due gare che ti porti nel cuore?
Il Tris Rotondo in Svizzera: la più bella. E poi il Monterosa Ski Alp di due anni fa: la più emozionante. Tre ore di fatica giocate tutte su una salita di 30”.
Propositi per la prossima stagione?
Essere più costante in Coppa del Mondo. Mi focalizzerò su questo anche nella preparazione. Comincerò tra poco in bici!
Il nostro nutrizionista Ettore Pelosi (lo presentiamo qui) ci illustra la sua “OmeoDieta”: come e perchè funziona, quali rinunce richiede e quanti (tanti!) vantaggi porta. Un metodo adatto agli atleti ma non solo. Buona lettura e buon appetito!
L’OmeoDieta si sviluppa da alcuni anni sulla base delle nuove evidenze scientifiche nel campo dell’alimentazione e sulla base delle risposte osservate in ambulatorio nei pazienti e negli sportivi cui è stata adattata. Integra alimentazione e attività fisica e poggia il suo razionale su due principi fondamentali:
l’alcalinizzazione, per contrastare l’acidosi metabolica latente, punto di origine per lo sviluppo della gran parte delle patologie tipiche delle società occidentali e legate con quel tipo di alimentazione;
le risposte ormonali determinate dall’assunzione dei cibi ed in particolare i concetti di indice insulinico e indice/carico glicemico degli alimenti.
La qualità degli alimenti e la loro alternanza nell’arco della settimana sono i punti essenziali di OmeoDieta, una dieta che incoraggia a mangiare di tutto, senza focalizzarsi troppo sulle quantità (tranne in alcuni casi particolari, soprattutto per gli sportivi, nei quali queste possono essere fondamentali). Infatti, il risultato finale è dato dalle risposte ormonali determinate dall’alimento: risposte che sono maggiormente correlate con le sue caratteristiche nutrizionali, piuttosto che con le quantità che ne vengono assunte.
Cosa vuol dire dieta “alcalinizzante”?
Per il nostro organismo un elevato apporto di sostanze alcaline è fondamentale e aiuta a prevenire l’insorgenza dell’acidosi metabolicalatente, responsabile della riduzione generale della nostra qualità di vita, della stanchezza cronica (soprattutto quella mattutina) ed elemento predisponente allo sviluppo di numerose patologie tipiche della società del benessere. Ogni alimento può essere classificato sulla base del suo residuo in acidificante o alcalinizzante, all’interno di una scala definita PRAL (potential renal acid load): alimenti ricchi di proteine e anioni come i formaggi, la carne, il pesce e in minor misura i cereali e i legumi, sono acidificanti; alcalinizzanti quelli ricchi in cationi (frutta e verdura). Perciò una dieta in cui frutta e verdura tornano ad essere gli alimenti quantitativamente più rappresentati (come OmeoDieta o le diete su base vegetale), risulta alcalinizzante.
L’indice insulinico e l’indice/carico glicemico degli alimenti.
Indice e carico glicemico degli alimenti sono concetti ormai noti alla maggior parte degli addetti ai lavori in campo nutrizionale e non. Alcune diete molto famose sono state basate su di essi. Esprimono, rispettivamente, la velocità con cui il glucosio contenuto in una certa quantità di alimento passa nel sangue e la quantità totale di zuccheri presenti in quell’alimento che passa nel sangue. Le tabelle che esprimono per ogni alimento indice e carico glicemico chiariscono come oltre agli zuccheri semplici, ai primi posti, vi siano le farine e i cerali raffinati, ma anche pane e pizza, la maggior parte dei prodotti di pasticceria, ecc.
L’indice insulinico di un alimento indica l’incremento dell’insulina che si ottiene a seguito dell’assunzione di 1000Kj (239 Kcal) dello stesso. Questo parametro è più significativo dei primi due; infatti, alimenti che non contengono zuccheri come lo yogurt e il latte presentano un indice insulinico uguale o superiore a quello del pane bianco. Lo studio della risposta insulinica determinata dagli alimenti è fondamentale per prevederne gli effetti complessivi sulla nostra salute.
Ricapitoliamo dunque le basi razionali dell’OmeoDieta. E’ una dieta:
alcalinizzante
costituita da alimenti e combinazioni alimentari di basso indice insulinico e glicemico
povera di grassi saturi
povera di sostanze pro-infiammatorie come glutine e grassi animali
con apporto ridotto e controllato di sostanze nervine
Principi che tradotti in azioni concrete diventano:
mangiare in quantità libere verdure e alcuni frutti per alcalinizzare
seguire prevalentemente una dieta dissociata, per ridurre l’indice insulinico e glicemico del pasto. Cioè utilizzare verdure e ortaggi in associazione a carboidrati complessi o proteine (esempio: riso venere con verdure saltate; minestra di lenticchie, petto di pollo al limone con verdure grigliate)
limitare la carne, i formaggi, gli alimenti contenti strutto, burro, margarine, per ridurre i grassi saturi.Prediligere invece le proteine vegetali che si ritrovano nei cereali, nei legumi, nella frutta secca e in piccole, ma significative quantità, nelle diverse verdure, ortaggi, frutta.
limitare il glutine, utilizzando spesso i cereali senza glutine e gli pseudo cereali a rotazione (pseudo cereali: grano saraceno, quinoa e amaranto; cereali senza glutine: riso, miglio, mais; cereali con glutine: frumento, farro, orzo, segale, avena e grano karasau).
limitare le sostanze nervine come quelle contenute in caffè, tè, cacao, cola e alcol.
OmeoDieta: i grandi “no”
“Dottore, posso fare qualche volta colazione al bar con cappuccino e cornetto?”
“No, perché questo classico della colazione ha un effetto iperinsulinemizzante e ipoglicemizzante. L’insulina infatti viene stimolata contemporaneamente da farina raffinata, zucchero e grassi idrogenati contenuti nel cornetto e da latte e zucchero del cappuccino…”
“Dottore… ma la pizza?”
“Devo proprio ripeterlo ;-)?”
Primo articolo del dott. Ettore Pelosi,medico, nutrizionista e maratoneta, appena entrato nel team Vitalia. In attesa di conoscerlo potete assaggiare qui la sua “Omeodieta” e scoprire perché sono importanti i carboidrati nell’alimentazione di chi pratica sport di fatica.
Da sempre l’alimentazione è fondamentale nella preparazione atletica e non c’è sportivo di qualunque livello che non abbia maturato le proprie convinzioni sul tema. Ma, soprattutto, su una ideale supplementazione: termine con cui s’intende l’assunzione di elementi nutrizionali necessari a supportare il surplus di energia richiesto dal metabolismo dell’atleta. Insieme ad allenamento e recupero, l’alimentazione è oggi considerata la base per la preparazione dello sportivo professionista ed amatoriale. E non ci sono più dubbi sul ruolo preminente dei carboidrati per lo svolgimento dell’attività sportiva: sono la fonte energetica essenziale e limitante di qualsiasi disciplina.
Le riserve
Bisogna sapere infatti che durante i periodi di allenamento intenso i depositi muscolari di glicogeno vanno incontro ad ampie fluttuazioni giornaliere: le riserve corporee sono limitate e possono durare da un minimo di 90 minuti fino ad un massimo di 3 ore per allenamenti di moderata/elevata intensità (65-85% VO2max). La riduzione di tali riserve si associa ad esaurimento durante l’esecuzione di un esercizio intenso e prolungato, ma anche all’aumento degli infortuni muscolari ed alla depressione del sistema immunitario.
Per sostenere le migliori performance atletiche sono quindi indicate diete ad alto contenuto di carboidrati, basso contenuto di lipidi e moderato contenuto di proteine. Infatti, il principale obiettivo nutrizionale è quello di garantire il fabbisogno energetico per i muscoli e gli altri tessuti, onde ritardare la comparsa della fatica, promuovere gli adattamenti muscolari attivati con l’allenamento e consentire il ripristino delle riserve di glicogeno muscolare e la riparazione delle fibre danneggiate.
L’equilibrio energetico
Un’adeguata assunzione energetica è insomma condizione necessaria (purtroppo non sufficiente) per il raggiungimento di una prestazione atletica ottimale. Un regime equilibrato rispetto ai fabbisogni è il pilastro portante dei condizionamenti anatomo-funzionali promossi dall’allenamento e finalizzati al raggiungimento della migliore forma atletica. Un corretto bilancio energetico si ottiene quando l’assunzione calorica (risultante della somma dell’energia ricavata da alimenti, liquidi e supplementi) eguaglia la spesa energetica (risultante dalla somma del metabolismo basale, effetto termico degli alimenti e spesa energetica per lo svolgimento delle attività giornaliere e dell’allenamento).
È importante che durante i periodi di allenamento gli sportivi assumano quantità sufficienti di calorie per mantenere peso e composizione corporea appropriati. Livelli inadeguati di assunzione calorica determinano la compromissione delle prestazioni e dei benefici derivanti dall’allenamento: la perdita della massa magra determina perdita di forza e resistenza muscolare così come compromissione delle funzioni del sistema immunitario, endocrino e muscolo-scheletrico. Il perdurare di un basso introito calorico può anche determinare uno stato di malnutrizione con alterazioni metaboliche secondarie a deficienze di nutrienti e riduzione del metabolismo basale.
Per far fronte a tutto questo, il nutrizionista deve stimare correttamente le necessità caloriche dell’atleta, che variano in funzione del sesso, dell’età, dei principali valori antropometrici, della composizione corporea, del tipo di sport praticato e delle ore di allenamento. Dovrà inoltre impostare una supplementazione adeguata e personalizzata.
Qualche numero
La dieta di uno sportivo è equilibrata se i vari carboidrati (fonte energetica primaria e limitante per qualsiasi disciplina sportiva) coprono il 55-70% delle calorie totali giornaliere (idealmente 10-15% oligosaccaridi, 40-60% polisaccaridi). In realtà, più che di percentuale di apporto calorico è opportuno parlare di introiti in grammi per kilo di peso corporeo.
Si tenga inoltre presente che recenti raccomandazioni circa l’assunzione giornaliera di carboidrati riconoscono per i diversi gruppi di atleti quantità diverse in funzione della dimensione corporea e del carico di lavoro in allenamento. I target di 7-10 g/Kg (ma anche fino a 12) per carichi più intensi e 5-7 g/Kg per carichi più moderati rappresentano una raccomandazione generica che deve essere, tuttavia, adeguata agli obiettivi nutrizionali ed ai riscontri prestazionali di ogni singolo atleta. Infatti l’elemento più importante nella determinazione delle riserve di glicogeno muscolare è la quantità di carboidrati assunta; gli studi dedicati, sebbene estremamente eterogenei, suggeriscono che esista una relazione diretta e positiva tra quantità di carboidrati assunta e deposito intramuscolare di glicogeno, almeno fino a che non sia stata raggiunta la soglia di accumulo muscolare. Attenzione: a differenza dei depositi di lipidi, quelli di glicogeno sono molto limitati e, quando massimali, sufficienti per coprire dispendi energetici nell’ordine di 2000 kcal. Così con la riduzione del glicogeno muscolare si riducono sia l’intensità del lavoro muscolare che quella dell’esercizio fisico. La riduzione del glicogeno muscolare si associa anche ad infortuni muscolari e depressione del sistema immunitario.
L’importanza del recupero
Atleti di ogni disciplina devono pertanto essere in grado di ristabilire le riserve muscolari di glicogeno tra due sessioni di allenamento giornaliere e/o tra due allenamenti in giorni consecutivi. Assunzioni elevate di carboidrati migliorano la performance nella singola sessione di allenamento così come il recupero e la performance nella sessione successiva. Talvolta però, nonostante un’adeguata assunzione di carboidrati, le concentrazioni di glicogeno muscolare possono non essere completamente ristabilite nelle 24-48 h successive ad una gara/allenamento molto stressante (come per esempio nella maratona). In questo caso l’allenamento dovrebbe essere ridotto o i tempi di recupero tra due sessioni aumentati, onde evitare il rischio di infortuni. E’ chiaro che i benefici che si possono trarre favorendo un recupero rapido e completo tra due sessioni di allenamento si possono trasformare nel tempo in un migliore adattamento all’allenamento stesso e, di conseguenza, in un miglioramento delle performance in gara.