E’ uscito in questi giorni il numero di giugno e luglio di Ski Alper, cifra tonda: è il centesimo. Nella consueta rubrica di Vitalia parliamo di running: meglio ammortizzati” o al naturale, con scarpe così minimal da farci sentire a piedi nudi? Ci sono pro e contro per ogni runner: valutate con attenzione quali sono le vostre caratteristiche. 

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C’è chi lo chiama barefoot running, natural running, pose running o chi running, ma la sostanza non cambia: la moda di correre con scarpe minimal sembra affascinare il mondo del trail. Il sogno di migliorare la tecnica di appoggio, ridurre gli infortuni e andare più forte spinge molti appassionati a orientarsi verso scarpe leggerissime con sistemi di ammortizzazione e stabilizzazione ridotti all’osso che promettono di far sentire il piede libero e a contatto con il terreno. Articoli di tecnica di corsa postulano teorie secondo le quali la suola pochissimo ammortizzata spinge il runner a correre meglio con appoggi sull’avampiede e con una frequenza di passi più alta. La teoria (e il messaggio di marketing delle aziende) su cui si è sviluppata questa tendenza è: l’uomo è nato scalzo e quindi è stato fatto per correre in maniera naturale, le calzature super ammortizzate hanno alterato la tecnica di corsa favorendo l’appoggio di tallone e addormentando la sensibilità del piede, ergo, riduciamo al minimo la suola e torneremo a correre come natura vuole. Affascinante? Sì. Vero? Vediamo.

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Per evitare di farci prendere da soggettivismi su base empirica del tipo ‘un mio amico che aveva male al ginocchio…, mio fratello che aveva la tallonite….’ , siamo partiti dai più recenti lavori scientifici pubblicati su riviste indicizzate (clicca qui per la bibliografia), ne abbiamo selezionati tre, li abbiamo letti e interpretati e riassunti nei punti salienti per presentarvi la versione più scientifica possibile della diatriba in maniera comprensibile.

Alcune doverose premesse

Primo punto: negli ultimi 50.000 anni l’uomo ha sviluppato calzature sempre più confortevoli adattandosi a esse. Dagli anni ’70 a oggi il numero di runner è aumentato esponenzialmente e molti di essi sono pesanti, non adeguatamente preparati muscolarmente o con problematiche biomeccaniche. Forse se non ci fossero le calzature ammortizzate i traumi sarebbero ancora più numerosi. Secondo punto: non c’è correlazione tra traumi e tipo di calzature. Sia che usino scarpe ammortizzate o minimal, l’eziologia degli infortuni risiede in complesse cause biomeccaniche. Terzo punto: non si possono trarre conclusioni univoche. Non lo permette la dinamiche delle cause e nemmeno la natura degli studi effettuati, che per di più sono stati condotti con modalità differenti (ad esempio su treadmill o su superfici fisse).

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La questione infortuni

Perché si dice allora che il barefoot running riduca gli infortuni? Il postulato di base trova il suo fondamento nel fatto che correre con una protezione minima o assente modifichi la tecnica di corsa portando il soggetto ad atterrare con il mesopiede o sull’avampiede. Ciò comporterebbe una miglior assorbimento delle forze di impatto e un miglior utilizzo della fascia plantare che agirebbe da ammortizzatore. Tale tecnica di corsa prevede anche un aumento della frequenza dei passi che dovrebbe essere di circa 170- 180/min. Il conseguente accorciamento della falcata comporterebbe angoli di lavoro meno accentuati nell’articolazione del ginocchio mentre aumenterebbe l’angolo di flessione plantare del piede. Purtroppo l’origine degli infortuni è molto complessa e dal punto di vista biomeccanico non sempre è possibile individuare un singolo fattore che sia assolutamente predittivo. Inoltre anche se così fosse non sarebbe facile correggerlo. Quali sono i più comuni infortuni del podista e come vengono influenzati da calzature minimal? Per semplificare le problematiche, i lavori analizzati hanno classificato le più comuni patologie da sovraccarico in cui incorrono i podisti confrontandole con i fattori predisponenti, su come essi vengano influenzati dal barefoot running e quindi sui potenziali risultati attesi.

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La tabella qui sopra, che abbiamo pubblicato su Skialper, dimostra ulteriormente che alcune patologie possono essere aggravate mentre altre possono beneficiare dall’uso di scarpe minimal. Studiandola è evidente, e lo ripetiamo di nuovo, che le conclusioni sull’effetto del barefooot running nelle varie patologie non sono univoche. Nelle fratture da stress della tibia e dei metatarsi, un aumento della pressione nell’impatto con il suolo causato dal barefoot running può aumentare il rischio di incorrere in queste patologie. Nella sindrome femoro-rotulea, si ritiene che un miglior allineamento del ginocchio e minor forze di impatto grazie all’appoggio sul meso e avampiede tipici del barefoot possano essere di beneficio nel prevenire e nel favorire la regressione delle problematiche. Per quanto riguarda la caviglia e le patologie del tendine d’Achille, a fronte delle teorie a favore del minimal, fondate sulle considerazioni del passo più corto e con minori forze di impatto, si associa una maggiore flessione plantare e una più alta sollecitazione dell’Achille che verrebbe quindi esposto a un maggior rischio di patologie da sovraccarico. Nella fascite plantare si può invece ipotizzare che il rinforzo dei muscoli che sostengono l’arco plantare causato dal correre con poca ammortizzazione possa essere di beneficio, ma anche in questo caso la conclusione è che è necessario approfondire gli studi e le ricerche.

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Ad ognuno la sua scarpa

Si può modificare la tecnica di corsa? Conviene farlo? I pareri sono anche qui discordi: quello che senz’altro si deve consigliare è la gradualità nel passaggio da scarpe ammortizzate a calzature minimal. Soprattutto chi corre con appoggio sul retropiede deve fare particolare attenzione nelle prime fasi in quanto la tecnica di corsa richiede tempo per modificarsi e il rischio è quello di aumentare piuttosto che diminuire gli infortuni nella prima fase. Le nuove calzature andranno quindi utilizzate per brevi tratti di corsa, qualche centinaio di metri, alternati a tratti di camminata. Da uno degli studi pubblicati si evince comunque che non è detto che chi corre con appoggio sul tallone riesca a modificare stabilmente la sua tecnica di corsa e quindi potrebbe essere ancora più esposto al rischio di infortunio con le scarpe minimal. Alla luce di quanto esposto finora, si può affermare che se si è trail runner non più giovanissimi e con una struttura fisica non leggerissima, l’opzione barefoot diventa ancora più rischiosa: si pensi a quanto vengano sollecitate le strutture muscolo tendinee del polpaccio e le articolazioni metatarsali che, per effetto dell’età, tendono naturalmente a essere meno elastiche. Infine, non dimentichiamo che, soprattutto nei trail lunghi, la fatica tende a causare un rallentamento dei riflessi e delle reazioni muscolari ed in queste situazioni l’uso di calzature scarsamente protettive può aumentare il rischio di infortuni.

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E’ in edicola il nuovo Outdoor Running (qui puoi vedere il video di presentazione), numero speciale della rivista Ski-Alper dedicato al trail. Come sempre trovate la rubrica firmata Vitalia, questa volta dedicata alle tendiniti del podista: vogliamo ora approfondirla e cercare di spiegarvi alcuni esercizi (tranquilli: c’è la video dimostrazione!). L’argomento è delicato e ne avevamo già parlato qui, suggerendovi alcune terapie. Non dimenticate che il consiglio migliore è quello personalizzato e quindi rivolgetevi ad uno specialista!

Che cosa fare nella riabilitazione delle tendiniti dell’Achille?

Certo va capita la gravità della tendinopatia, ma in molti casi vale la regola: l’esercizio è il miglior farmaco. Ci si può insomma curare con il rinforzo muscolare e il principale esercizio è rappresentato dal sollevamento sull’avampiede: si comincia in appoggio su entrambi i piedi, ci si solleva e si ritorna alla posizione di partenza con un solo piede. Questo permette di sollecitare il muscolo, e quindi il tendine, con una contrazione eccentrica (abbassamento) in cui il carico è maggiore rispetto a quello esercitato nella fase di contrazione concentrica (sollevamento). L’ampiezza del movimento sarà dettata dal dolore in quanto ci si dovrà fermare nella discesa pochi gradi dopo la sua insorgenza. La velocità di esecuzione deve essere sempre lenta e controllata, evitando i rimbalzi.

Sarà opportuno svolgere l’esercizio sia a ginocchia distese che a ginocchia semiflesse. In tal modo si solleciteranno le fibre del gastrocnemio (ginocchia estese) e del soleo (ginocchia semiflesse).

Gli esercizi illustrati fanno parte del protocollo riabilitativo di Alfredson che è al momento quello con maggiori evidenze mediche.

Al variare del dolore (diminuzione o scomparsa) si assoceranno lavori di propriocettività e reattività muscolare del piede con andature in rullata (tallone-punta) ed esercizi in spinta sull’avampiede.

Buon allenamento! E non dimenticatevi i fondamentali: mettete sempre il ghiaccio e verificate di aver scelto le scarpe giuste!


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Charlotte chiama Vitalia è una storia di amore per i dettagli. E’ l’incontro digitale-podistico di una runner-blogger e di un medico dello sport 2.0.

Running Charlotte registra ogni km sul suo blog. Vive a due passi da Vitalia, ma ci ha conosciuti su Twitter… quando ci ha cercati non abbiamo avuto dubbi: un’atleta così bisogna allenarla online!

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Per questo da oggi il nostro blog ospiterà una sezione speciale con il racconto dei suoi progressi. Di settimana in settimana vi aggiorneremo: i ritmi saranno serrati, abbiamo un obiettivo preciso. Anzi, un traguardo: quello della DeeJay Ten di Firenze, il prossimo 18 maggio. La gara richiede di curare alla perfezione ogni aspetto della corsa: sono solo dieci km, bisogna andare a tutta.

Il lavoro di Charlotte si dividerà in varie fasi, e prevede, oltre all’allenamento individuale, test specifici e sedute da Vitalia.

Si parte con un classico test del lattato sul treadmill per verificare la velocità e la frequenza cardiaca a cui correre il lungo, il medio e le ripetute. In base al risultato del test si costruirà anche il programma d’allenamento finalizzato ad una gara ad alta intensità come sarà appunto la DJ10.

Eseguiremo quindi l’analisi biomeccanica della corsa per capire il tipo di corsa di Charlotte e verificare che le scarpe scelte siano adatte al suo tipo. Il test è condotto sempre sul treadmill con il sussidio di un sw che analizza gli impulsi che arrivano da due barre a raggi infrarossi collocate sui bordi del tappeto. Ad ogni impatto del piede, le barre mandano un impulso che viene elaborato dal programma calcolando così tempo di contatto e tempo di volo, tipo di appoggio, simmetria dx-sx, frequenza e lunghezza della falcata. Il tutto è anche filmato con due telecamere che permettono di approfondire, fotogramma per fotogramma, tutte le fasi della corsa.

Da ultimo, si passa alla valutazione della forza e della core stability, perché come abbiamo detto spesso, non si corre solo con le gambe.

Gli esercizi del piano di allenamento di Charlotte serviranno a migliorare la sua tecnica di corsa e la sua stabilità, contribuendo attivamente alla prevenzione di infortuni.

A presto!

Qui puoi leggere l’articolo di Charlotte:

Vitalia chiama Charlotte

Chiamaci per allenarti anche tu come Charlotte.

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Bisogna trasmettere che la corsa è una bella cosa. Si deve correre contro se stessi, il cronometro, l’età che avanza… ma con uno spirito un po’ leggero.

Nella fretta degli ultimi preparativi per la “Corsa del Re”, Alessandro Rastello, atleta di successo, direttore di Sport City e presidente di Base Running ASD, racconta il suo podismo.

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Presidente, come si allena la sua squadra?

Con “leggerezza”. Cerchiamo di mantenere alto il profilo tecnico e bassa la pressione agonistica. L’età media dei nostri 500 soci è tra i 40 e 45 anni: non avrebbe senso esasperare la competizione. In ogni occasione ci sforziamo di trasmettere il nostro spirito “soft” e la nostra competenza. Chi si tessera sa che riceverà i consigli che desidera e che se passerà in negozio troverà sempre qualcuno che parla di corsa. Questo clima piace e continuiamo a crescere.

Che cosa prevede la stagione di Base Running?

Gli allenamenti, le gare e vari incontri: ma lasciamo indipendenza totale alle persone. Da noi nessuno è obbligato a fare niente, non chiediamo presenze: ognuno ha l’assoluta libertà di partecipare agli appuntamenti. In questo modo l’aspetto individuale, fondamentale nella corsa, è salvaguardato, ma si aggiunge il piacere di far parte di un gruppo. Si crea appartenenza: alcuni sono davvero affezionati a noi!

Qual è il suo ruolo nel team?

Sono allenatore di triathlon e duathlon dagli anni ’90, quando ho cominciato come istruttore da Sport City. Da molto tempo collaboro con Base Runnig e adesso, insieme ad Alessandro Giannone, gestisco la squadra e l’organizzazione degli eventi. Ci piace mettere a disposizione la nostra esperienza, competenza e passione: le manifestazioni ci lasciano stremati ma soddisfatti. E’ bello vedere la gente contenta.

Mancano poche ore alla “Corsa da Re”. Siete pronti?

Sì! Siamo oltre i 5000 iscritti: più di 1200 nella mezza maratona, 3000 nella 10 km, 1000 sui 4000 m e 300 “principini”. Speriamo nel meteo, ma la location farà dimenticare le bizzarrie del cielo.

La Bellezza può tutto.

Infatti i numeri sono da record: centinaia di podisti che vengono da altre province, decine da altre regioni e ci sono addirittura diversi francesi. Per una corsa non competitiva, senza premi né caratteristiche oltre alla bellezza dei luoghi, è un risultato straordinario. Resta solo il rammarico dello staff: non poterla correre!

Lei continua a gareggiare?

Continuo a correre per divertirmi.

Da istruttore è diventato direttore di Sport City. Su quali progetti si sta impegnando?

Ci siamo spostati al Lingotto, dove abbiamo uno spazio maggiore per le esercitazioni outdoor. Possiamo usare la pista e andare al Valentino sarà più comodo. Ci sono poi in programma sessioni di ginnastica nell’area del centro commerciale. E il 10 novembre lo start ufficiale: esordiamo (sarà l’edizione zero!) con la “Ling8run”, una corsa tutta all’interno del complesso. I partecipanti sfreccieranno tra i negozi, sulla rampa, e persino sulla passerella olimpica.

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Com’è cambiato il fitness in questi anni?

C’è molta più competenza da parte chi si avvicina. Gli istruttori “fai da te” vengono emarginati; anche nella corsa, dove cresce la richiesta di consigli su dieta e tabelle. Non è più tempo di approssimazioni: tutti leggono perciò c’è più richiesta di attività salutari. Ma non è solo una moda: le persone vogliono stare bene! Nella testa e nel fisico. Anche per questo stanno tramontando i pesi e il potenziamento specifico: c’è più bisogno di esercizi funzionali alla vita di tutti i giorni.

Da quanti anni corre?

Ho cominciato nel ’76 con l’atletica leggera, al Cus Torino. Poi mi sono dedicato alla marcia e successivamente sono tornato in pista seguendo le orme di mia sorella, una vera campionessa. Dal ’80 ho cominciato seriamente con la corsa. Da allora sono passate quasi cento maratone e più di 250000 km. Ho un personale di 2h15′ sulla maratona e 1h3′ sulla mezza. Sono stato più volte in nazionale, anche con il duathlon: sono arrivato ventesimo ai mondiali e ho vinto tre titoli italiani a squadre.

Il suo miglior risultato?

Due a pari merito: il titolo italiano assoluto sui 30 km, davanti a Bordin già campione olimpico, e ai grandissimi Poli e Pizzolato. E poi la vittoria alla 100 km Torino-Saint Vincent, in 7h20′.

Ha mai pensato di smettere?

No, ma ho avuto un momento di difficoltà tra i 30 e i 40 anni. Pensavo di riuscire a sostenere il ritmo dell’agonismo nonostante il lavoro e l’età, e invece non era possibile. Mi ci è voluto un po’, ma mi sono reinventato.

La cosa più bella del suo sport.

Il benessere e il raccoglimento mentale che ho quando corro. Il cervello ragiona molto meglio quando il sangue è più ossigenato. Se ho un problema prendo le scarpe…

 

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Tutti i podisti con qualche anno di attività alle spalle conoscono bene i rischi di incorrere nelle patologie più frequenti  tra i runners: le tendinopatie.

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Che cosa sono le tendinopatie

Il termine tendinopatia sottintende una serie di patologie infiammatorie-degenarative che possono coinvolgere l’inserzione del tendine (entesopatia), la guaina  (peritendinite), la borsa (tenosinovite) o che comportano la degenerazione del tessuto connettivale che costituisce il tendine (tendinosi).

Esse sono più frequenti dai 30-35 aa. di età in poi perché i tendini iniziano a perdere la loro elasticità e ad essere meno vascolarizzati. In queste condizioni la ripetizione di eventi microtraumatici e di sforzi muscolari intensi può causare delle microlesioni sulle quali  insorge la patologia. Per i podisti la sede elettiva è rappresentata dal tendine di Achille e dalla fascia plantare. Altre sedi meno frequenti sono il tendine rotuleo e il tendine prossimale degli ischio crurali.

Che cosa le provoca

La contrazione muscolare eccentrico concentrica tipica di ogni passo di corsa sottopone il tendine di Achille ad un notevole stress meccanico. Tale situazione si ripete per decine di migliaia di volte alla settimana in un podista che corra distanze preparatorie alla maratona o alla mezza maratona. Tuttavia non tutti i runners che preparano tali eventi vanno incontro a patologie tendinee: è quindi lecito pensare che i fattori genetici e biomeccanici giochino un ruolo determinante nell’insorgenza del problema.

I calcagni sporgenti e l’iperpronazione sono tra i fattori predisponenti che dovrebbero essere tenuti sotto controllo con calzature adeguate e supporti plantari “su misura”.

Come si manifestano

Il dolore è il sintomo più eclatante, nelle fasi iniziali esso è caratteristicamente limitato ai primi passi dopo il riposo notturno o ai momenti iniziali della camminata o della corsa dopo prolungato mantenimento della posizione seduta o distesa. Dopo pochi passi il dolore tende infatti a scomparire. Ciò comporta che il podista sia portato a sottovalutare l’iniziale infiammazione del tendine che in effetti non provoca dolore durante la corsa salvo poi peggiorare dopo un’ora circa dalla fine dell’allenamento.

Il gonfiore nella zona dolente può essere presente e a volte si apprezza aumento dello spessore del tendine a  causa dell’essudato infiammatorio che si forma nello spazio tra il tendine stesso e la sua guaina.

Nel caso di entesopatia o di calcificazioni periinserzionali tuttavia, il tendine è di spessore normale e non è dolente alla palpazione mentre la zona di inserzione è estremamente sensibile.

Come curarle

I rimedi utilizzati finora sono rappresentati da farmaci non steroidei (antiinfiammatori), crioterapia (applicazione di ghiaccio), stretching, onde d’urto e TECAR. In ultima analisi, nei casi particolarmente resistenti, si interviene chirurgicamente con la scarificazione del tendine e con successivi lunghi tempi di recupero.

PRP, (platelet rich plasma) una soluzione efficace e senza effetti collaterali

L’uso del gel piastrinico trova le sue origini, una decina di anni fa, nell’ambito della chirurgia maxillo-facciale per favorire la cicatrizzazione e la generazione di matrice ossea nel campo degli impianti dentari.

Negli ultimi anni si è iniziato ad utilizzarlo nei casi di tendinite resistenti alle terapie incruente. La terapia è basata sul prelievo di sangue del paziente (il quantitativo pari a quello di una donazione). Il sangue contiene plasma, globuli rossi, globuli bianchi, piastrine. Il plasma è la componente liquida del sangue, costituito soprattutto da acqua, e serve a trasportare le cellule ematiche. Inoltre contiene fibrinogeno, una proteina che agisce come una rete per catturare le piastrine ed arrestare l’emorragia derivante da una ferita. I globuli rossi trasportano l’ossigeno dai polmoni ai tessuti, mentre i globuli bianchi proteggono l’organismo dall’attacco dei germi patogeni. Le piastrine sono, come detto, responsabili dell’emostasi, della costruzione di nuovo tessuto connettivo e della rivascolarizzazione. In genere un campione di sangue contiene il 93% di globuli rossi, il 6% di piastrine e l’1% di globuli bianchi. Il processo di preparazione  consiste nel ridurre la percentuale di GR al 5% e di aumentare quella piastrinica al 94% per stimolare la guarigione.

Il preparato finale assume una consistenza simile ad un gel e viene congelato. Poco prima del trattamento la sacca contenente il gel viene scongelata e ciò provoca la rottura delle piastrine e la liberazione dei fattori di crescita (PDGF, TGFbeta, VEGF, e EGF), che hanno, come detto, la capacità di stimolare la formazione di nuovi capillari che migliorano la vascolarizzazione ed il nutrimento della parte da trattare e di stimolare la migrazione cellulare per i processi di riparazione.

L’assenza di effetti collaterali e la sensibile riduzione dei tempi di guarigione hanno fatto sì che la pratica si diffondesse in campo traumatologico ed ortopedico.

La riabilitazione

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Il processo di riabilitazione nel caso di lesioni muscolari deve tener conto che, se anche al controllo ecografico la lesione appare guarita, ciò non significa che il muscolo sia pronto per essere nuovamente sollecitato al massimo. Diciamo quindi che se i tempi di guarigione clinica possono essere dimezzati con tale procedura, i tempi di riabilitazione dovranno seguire la normale tempistica.

Più controversa è invece la situazione nel caso di problematiche tendinee dove abbiamo messo a punto un protocollo riabilitativo che dovrebbe rispettare le seguenti fasi:

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Come si può notare, questi tempi sono estremamente ridotti rispetto a quelli che si rispettano nel caso di trattamento chirurgico e permettono di risolvere efficacemente una patologia tanto temuta quanto frequente nell’ambito della corsa.

La terapia con gel piastrinico viene svolta in ambiente ospedaliero presso l’Ospedale Molinette di Torino mentre la rieducazione funzionale nel nostro centro di Medicina dello Sport.

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Il metodo Vitalia